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Manovra, questo DEF apre la strada a recessione e disoccupazione

Al di là degli effetti disastrosi provocati in Borsa e sullo spread, la vera domanda che il Def pone è: ma la manovra di bilancio del Governo è davvero capace di creare crescita e lavoro o, facendo leva sull’aumento della spesa pubblica a debito, rischia di ridurre anche la modesta crescita del Pil di oggi? – VIDEO.

Manovra, questo DEF apre la strada a recessione e disoccupazione

La scelta di una politica economica basata sull’aumento del deficit fatta dal Governo con l’aggiornamento del Def sta già provocando conseguenze molto negative sui mercati con una salita dello spread oltre 270 punti e un crollo delle quotazioni della Borsa di oltre il 2,5%. Soprattutto risultata fortemente intaccata la credibilità del ministro dell’economia Tria, sulla cui fermezza molti scommettevano al fine di tenere a freno le più strampalate istanze dei due consoli Di Maio e Salvini. Ma la vera domanda a cui si deve dare una risposta è: si tratta davvero di una manovra capace di far crescere di più l’economia italiana ridando ” fiducia, energia, speranza e lavoro” alla popolazione, come ha detto Salvini, oppure c’è la forte probabilità che l’aumento della spesa pubblica a debito possa provocare un arresto del pur modesto tasso di crescita attuale e quindi rendere più difficile trovare un lavoro?

La manovra del popolo – come dicono i grillini – invece di diffondere il diritto alla felicità rischia di trasformarsi in un incubo, a cominciare dalle speranze dei giovani che già oggi faticano a trovare un’occupazione adatta alle loro aspirazioni. E questo non tanto e non solo perché il nostro bilancio rischia di essere bocciato a Bruxelles, ma per la semplice ragione che la spesa pubblica di per sé non crea sviluppo, specie se si tratta di spesa corrente e non di investimenti.

L’economia, purtroppo, non funziona distribuendo soldi presi a prestito. Anzi in questo caso il peso dei debiti schiaccerà, come peraltro già avviene da molti anni in Italia, le possibilità di impiegare il denaro in maniera più produttiva. Insomma scambiare l’ aumento della spesa assistenziale o pensionistica per investimenti sul futuro (come ha detto Casaleggio) è un grosso errore che, come spesso avviene, la realtà si incaricherà di smentire dolorosamente. La verità è che fare troppi debiti vuol dire impoverirsi, come sanno non solo gli economisti classici, ma tutte le persone di buon senso. E non si tratta tanto di discutere se con il 2,4% di deficit il debito si ridurrà a meno.

Non è questione di decimali, ma del segno complessivo della manovra, della sua impostazione per così dire ideologica, della sua pochezza concettuale che si basa su una analisi largamente errata dei veri mali dell’ Italia e porta quindi a ricette capaci solo di aggravare il male e non di curarlo. In più è veramente fastidioso sentire il concerto di bugie di cui sono infarcite le dichiarazioni degli esponenti di questo governo. Si dice ad esempio che i 10 miliardi previsti per il reddito di cittadinanza (e della pensione di cittadinanza) dovrebbero eliminare la povertà per 6,5 milioni di italiani. Ma facendo una semplice divisione ci si accorge che i 10 miliardi consentirebbero di dare solo 128 euro al mese a persona. Una somma non sufficiente a sanare la piaga della povertà.

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Ma per rispondere alla domanda di fondo, e cioè se con questa manovra il nostro paese potrà crescere di più, bastano alcune sommarie considerazioni. In primo luogo si deve capire che il problema principale dell’ Italia è la bassa produttività di tutto il sistema. E questo è legato non solo alla scarsa produttività del lavoro ( tranne che nelle industrie esportatrici), ma anche a quella complessiva degli altri fattori produttivi che vanno dalla efficienza del governo e della PA alla Giustizia, all’ Università, alla formazione professionale, per arrivare fino alla carenza delle infrastrutture. Nessuno di questi problemi viene affrontato nel Def e, a quanto sembra, nella legge di bilancio che seguirà antro tre settimane.

Gli stanziamenti assistenziali che pure in un paese civile sono doverosi, dovrebbero essere strettamente legati alla riqualificazione professionale ed alla attiva ricerca di un nuovo lavoro. Nulla di tutti questo è previsto, perché la riforma dei centri per l’impiego sarà difficilissima visto che dipendono dalle Regioni come la formazione professionale. La riforma delle pensioni provocherà uno squilibrio nei già precari conti della nostra previdenza con il rischio che i lavoratori attivi, cioè quelli più giovani, dovranno essere chiamati a tappare il buco con un aumento delle tasse e dei contributi. E questo non faciliterà certo la creazione di nuovi posti di lavoro. Si potrebbe continuare anche con altre misure adottate o previste da questo governo, come il decreto dignità o la chiusura domenicale dei centri commerciali che sono tutte nel segno di ostacolare le imprese ed in genere il mondo del business.

Ma un punto fondamentale per capire la follia demagogica di queste scelte è rappresentato dalla sottovalutazione della situazione delle banche e dei mercati finanziari. L’aumento dei tassi d’ interesse (lo spread significa questo) colpisce le imprese e i consumatori oltre che ovviamente il bilancio del nostro Stato, che è uno dei più grandi debitori del mondo. La quotazione delle azioni delle banche sta crollando in Borsa perché il calo del valore dei titoli del Tesoro che esse posseggono provoca perdite nei loro bilanci, mentre aumentano le difficoltà per loro a raccogliere denari sui mercati internazionali. La conseguenza è che le banche saranno costrette a razionare il credito alle nostre imprese e a farlo pagare di più. Ora il nostro sistema produttivo, basato sulle piccole imprese, è storicamente dipendente dalle banche e senza credito non può andare avanti, e dovrà quindi non solo ridurre gli investimenti, ma anche rallentare l’attività produttiva.

E questo avverrà proprio mentre l’attività economica già mostra evidenti segni di rallentamento causati dalla situazione internazionale (nuovi dazi ed aumento del prezzo del petrolio) ma anche dall’incertezza della nostra situazione interna. Sarebbe stato necessario quindi sostenere la nostra produzione e puntare tutto sull’aumento dell’efficienza del sistema curando la povertà non con sussidi, ma con la creazione di nuovi posti di lavoro.

Si è scelto invece quella che sembra una scorciatoia, ma che invece rischia di condurre in un vicolo cieco. Altro che “manovra del popolo”. Qui si carica più debito sulle spalle del popolo, e soprattutto dei giovani i quali cercheranno di non pagarlo scappando da questo paese. Inoltre si mette a serio rischio il risparmio degli italiani che già oggi subiscono delle perdite per il calo delle azioni e delle obbligazioni, ma che in futuro possono aspettarsi anche misure più drastiche a loro carico, quando gli attuali governanti per cercare di riparare i danni che stanno facendo, si vedranno costretti a rivolgersi al serbatoio del risparmio privato che vale, tra immobili e titoli, 7-8 mila miliardi di euro. Un bel boccone per stimolare l’appetito dei nostri demagoghi, statisti improvvisati.

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