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Lo Statuto dei lavoratori e l’articolo 19: la Corte Costituzionale sbaglia ma obbliga a cambiare

Non si può separare la rappresentanza sindacale dalla contrattazione aziendale e dal rispetto degli accordi, pena l’ingovenabilità delle aziende – Ma pur avendo commesso l’errore di cancellare l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, la Corte Costituzionale ha il merito di costringere la politica a riformare le regole della rappresentanza

Lo Statuto dei lavoratori e l’articolo 19: la Corte Costituzionale sbaglia ma obbliga a cambiare

Alla fine la Corte Costituzionale, come era prevedibile, ha sentenziato che l’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori, cosi tenacemente difeso in passato proprio dalla Fiom in funzione anti Cobas, è incostituzionale. Dopo 50 anni di onorato servizio la Corte ha liquidato il principio che è alla base del sistema delle relazioni industriali nei paesi democratici e nelle economie di mercato. Il principio, cioè, che la Rappresentanza è in funzione degli accordi liberamente sottoscritti fra le parti e che, in assenza di accordi, la rappresentanza non ha ragione d’essere. In altre parole: l’impresa non è una assemblea elettiva in cui tutti hanno diritto di accedere se eletti. E’ un organismo sociale nel quale il rapporto fra le varie componenti, oltre che dalle leggi, è regolato dalla stipula di accordi di carattere privato fra le parti. Questi accordi non possono contrastare con le leggi sul lavoro che sono competenza del Parlamento e che vanno comunque rispettate, sia che il sindacato sia presente in azienda sia che non lo sia e neppure possono ledere diritti inalienabili. Riguardano invece le componenti aziendali del salario (che sono la fatica, la professionalità, la produttività e la responsabilità) e riguardano la formazione, gli inquadramenti, gli orari di lavoro, i ritmi, il welfare aziendale e gli investimenti. La rappresentanza aziendale si riferisce a questi accordi ed è finalizzata al loro rispetto. Non esiste un diritto “astratto” alla rappresentanza. Esiste, invece, il diritto alla contrattazione aziendale che in Italia, purtroppo, è mortificato proprio dal Sindacato più che dagli imprenditori.

Questo diritto esiste in tutti i paesi democratici e può essere esercitato in vari modi: in una logica individualistica, trade- unionista e corporativa come accade sovente in America o in una logica di co-gestione, di una comune assunzione di responsabilità, cioè, rispetto al futuro dell’impresa, come in Germania. Quello che non si può fare è quello che la Corte Costituzionale e la Fiom vorrebbero e ,cioè, separare la rappresentanza dalla contrattazione aziendale e ,soprattutto, dal rispetto degli accordi che sono stati liberamente approvati dalla maggioranza dei lavoratori. Se si operasse questa separazione le aziende diverrebbero ingovernabili: su questo Marchionne ha ragione da vendere.

La sentenza della Corte non risolve il problema ma crea un vuoto che la Politica dovrà cercare di colmare. Ha però il merito di avere messo a nudo l’ambiguità con la quale ,nella nostra Costituzione, è affrontato il problema dell’Impresa. Che cosa è l’Impresa per i Costituenti ? E’ un Organismo Sociale di tipo privato di cui va garantita innanzitutto la libertà, come volevano i liberali , o è una Istituzione dell’economia ,cui vanno affidate anche finalità extraeconomiche di tipo sociale, come volevano i pianificatori? Il compromesso trovato fra queste due opposte visioni non è stato particolarmente felice, nel migliore dei casi è stato ambiguo e oggi non regge più, cosi come non regge più tanta parte della legislazione in materia di diritto del lavoro, di rappresentanza e di contrattualistica che ne è derivata. E’ ora di cambiare e di avviare un profondo rinnovamento in ognuna di queste direzioni.

Un buon modo di cominciare sarebbe quello di ristabilire una corretta concezione dell’Impresa. L’Impresa, va ricordato a chi alimenta l’odio sociale verso di essa, è, in realtà, una delle più importanti conquiste storiche dell’umanità. Non è una Istituzione come il Comune e il Parlamento. Il suo compito non è quello di rendere gli uomini felici, di raddrizzare i torti o di sanare le contraddizioni sociali. Il suo compito è quello di combinare i fattori produttivi (lavoro, capitale e tecnologia) in modo tale da creare un valore aggiunto, una ricchezza che, oltre a remunerare il lavoro e il capitale, possa essere reinvestita per creare ulteriore valore e lavoro. Questa è la funzione dell’Impresa e in ciò principalmente consiste la sua responsabilità sociale.

Il sistema delle relazioni industriali e la contrattualistica dovrebbero favorire l’espletamento di questa funzione sociale dell’impresa ,non ostacolarla. Per questa ragione l’antagonismo è sbagliato, perché non si propone questa finalità ,cosi come è insufficiente un approccio di tipo corporativo e individualistico. Quella di cui ci sarebbe bisogno è una partecipazione consapevole , una comune assunzione di responsabilità dei lavoratori e degli imprenditori rispetto al futuro dell’Impresa. E’ su questo terreno e solo su questo che la rappresentanza si definisce come un diritto positivo ed è su questo terreno che dovremmo cercare di ricostruirla. La cancellazione dell’art. 19 è stato un errore ma almeno ci costringe oggi a misurarci con questo problema e prima lo facciamo meglio sarà per tutti.

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