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LE INTERVISTE DEL WEEK END – Venturini: “Il boom delle energie rinnovabili proseguirà”

INTERVISTA A FRANCESCO VENTURINI, Ad di Enel Green Power. “La volatilità dei prezzi del petrolio è una spinta ad investire nell’energia verde. Impennata negli Usa” – “Bilancio 2015, target centrati” – L’incorporazione in Enel: “I recessi? Trascurabili” – E sull’Italia che cambia: “Renzi fa di tutto per supportare l’innovazione ma la battaglia sarà lunga”

LE INTERVISTE DEL WEEK END – Venturini: “Il boom delle energie rinnovabili proseguirà”

Il petrolio low cost non danneggia lo sviluppo delle rinnovabili. Anzi, nel 2016 proseguirà la “marcia trionfale” di sole e vento che è stata una delle maggiori sorprese dello scorso anno, segnato dal crollo dei prezzi del greggio e dal boom d’investimenti nell’energia verde. Un business nel quale Enel, con Enel Green Power, investirà una montagna di denaro: 9,7 miliardi, quindi oltre il 50% della spesa destinata alla crescita che è prevista a quota 17 miliardi nel piano 2016-19. “Insieme alle reti, saremo noi il motore propulsore di Enel per i prossimi anni. E’ una rivoluzione energetica che ha le sue ragioni industriali e che è fortemente correlata alla volatilità delle commodities piuttosto che al loro prezzo. Questo è un fenomeno che osserviamo già da 2 o 3 anni e sono convinto che non sarò smentito nel prossimo futuro”. Francesco Venturini, amministratore delegato e direttore generale di Egp (Enel Green Power), non è per nulla preoccupato del terremoto che agita i mercati dell’oro nero. Guarda con fiducia ai target ambiziosi del business plan e considera l’incorporazione in Enel un successo: le richieste di recesso, che si chiudevano ieri, sono state del tutto “trascurabili”. Dell’Italia che cambia pensa che il governo Renzi “sta cercando di fare di tutto per supportare lo sforzo di rinnovamento che viene dalle aziende e dalla società civile, con un insieme di leggi che possono concretamente fare sbocciare l’innovazione di cui il Paese è capace”. Anche se non si nasconde che le resistenze non mancano e sono forti: “Non siamo un Paese da grandi shock, molti preferiscono i piccoli passi. Il sistema è complesso – afferma in questa intervista a FIRSTonline – e richiederà battaglie lunghe e difficili”.

Gli investimenti globali nelle energie rinnovabili hanno toccato la cifra record di 329 miliardi di dollari nel 2015. Una risposta sorprendente del mercato che fa piazza pulita della teoria secondo la quale solo un prezzo elevato del barile di petrolio avrebbe potuto sostenere la spesa in energia verde. E’ un trend che si confermerà nel 2016 o questa corsa inarrestabile subirà un rallentamento con la ripresa dei prezzi petroliferi che qualcuno indica per la seconda metà dell’anno?

“E’ un trend che non si fermerà per diverse ragioni. Al primo posto metterei il fatto che siamo ormai competitivi in termini di prezzo con le fonti convenzionali. Una convenienza che varia da Paese a Paese ma che aumenta di anno in anno. Gioca poi a nostro favore la semplicità d’installazione: ci sono Paesi come gli Stati Uniti dove riusciamo a realizzare 200 Megawatt (Mw) in circa 9 mesi, dall’approvazione alla messa in produzione, quando per una centrale a gas si va da 3 a 5 anni a seconda delle zone del pianeta. Infine spingono le rinnovabili i fattori di scala, perché gli impianti sono modulabili; il fatto che generano lavoro, aumentano l’indipendenza energetica dei Paesi che le adottano e sono sostenibili per l’ambiente. Ma c’è un fattore, su tutti che è determinante in un periodo come questo”.

Qual è?

“La volatilità dei prezzi del petrolio crea incertezza. Per questa ragione sempre più aziende o Paesi investono sulle rinnovabili e lo faranno sempre più: così bloccano la redditività per 20 anni con i contratti Ppa, di lunga durata. E’ una molla che continuerà a rafforzare il settore. Anche nel 2016. In particolare, prevedo un anno boom negli Stati Uniti dove il governo ha prorogato di 5 anni gli incentivi fiscali ed è possibile vendere l’elettricità verde ad una utility a circa 25 dollari il Megawattora”.

La Russia spinge per un taglio delle quote di produzione di petrolio del 5% e tenta di coinvolgere l’Opec. L’Arabia Saudita non si sbilancia ma tratta. Qualcosa si mette in moto?

“La mia impressione è che l’Arabia Saudita si stia cominciando a preoccupare: non ha raggiunto i suoi obiettivi di eliminare la produzione shale americana e ha bruciato 100 miliardi. Dal punto di vista di un produttore green come noi, va bene: non farà che incentivare l’utility di cui abbiamo parlato a coprirsi dal rischio volatilità dei prezzi e a comprare elettricità verde a 25 dollari”.

Lo sviluppo delle rinnovabili è diventato centrale e l’incorporazione di Egp in Enel, a cinque anni dall’Ipo, nasce innanzitutto da esigenze industriali. Su questa stessa linea si muovono concorrenti importanti come E.on e Edf. Ma ci sono anche ragioni finanziarie, come ad esempio consolidare l’intero utile di Egp (360 milioni nel 2014), e non solo il 68%, o semplificare la catena come Enel ha fatto con le controllate in Sud America. C’è da dire che le azioni Egp dall’1,6 euro del collocamento non sono mai andate oltre 2,2 euro. Un potenziale rimasto in parte inespresso?

“Egp ha scontato il peso rilevante dell’Enel nell’azionariato e la forte esposizione a prezzi di mercato in caduta in tutta Europa e particolarmente in Italia. Per questa ragione abbiamo spostato gli investimenti in altri Paesi. Dalla quotazione a novembre 2010 la capacità installata è passata da 6,1 GW a oltre 10 GW, gli investimenti di crescita sono quasi raddoppiati rispetto ai livelli del 2010, con una maggiore allocazione nei paesi emergenti passando dal 10% nel 2010 a circa l’80% del totale nel 2015. Per quanto riguarda la redditività siamo in linea con i target di piano. Un bilancio molto positivo”.

Parlando di bilancio, come si è chiuso il 2015 di Egp?

“Siamo fiduciosi di aver centrato i target, in linea con il sentimento del mercato. Non aggiungo altro in attesa delle comunicazioni ufficiali”.

E per il 2016?

“Prevediamo di portare la capacità installata addizionale da 1 ad almeno 1,5 Gigawatt. Dopo le acquisizioni di India e Germania, di tipo strategico e legate alla penetrazione del mercato, continueremo a studiare opportunità interessanti dove si presenteranno. Nei mercati maturi, come è avvenuto in Francia e Portogallo, e in altre regioni porteremo avanti l’attività di asset portfolio management per valutare nuove opportunità per potenziali cessioni e acquisizioni. Lo sviluppo proseguirà in America Latina: puntiamo molto a Messico e Perù, il Brasile rimane molto interessante, ci prepariamo per una grande gara in Cile a marzo. Ci aspettiamo buone notizie anche da Marocco ed Egitto, ottime dagli Usa. E stiamo lavorando sul Sud Est asiatico. In queste aree faremo i grandi numeri su quel pacchetto di 9,7 miliardi di investimenti del piano 2016-19”.

Il polo italiano con F2i?

“Sta lavorando su acquisizioni in Italia, analizzando quel che c’è sul mercato, promettente e molto frammentato, caratterizzato da un processo di consolidamento. Come in tutta Europa del resto”.

Venendo all’Italia, il governo Renzi ha caratterizzato la sua azione con una forte spinta al cambiamento. Per quanto si  può vedere da un gruppo a vocazione internazionale come Egp, si vede il rinnovamento dell’Italia nella sua esperienza quotidiana?

“Il cambiamento c’è, si vede un Paese che cerca di cambiare. Guardando al settore dell’energia in particolare penso si debba fare uno sforzo maggiore per farci valere in Europa perché il mercato energetico che si sta disegnando sia il più possibile funzionale all’industria e ai cittadini che ne vengono serviti”.

Più in generale, si sente supportato in questo sforzo d’innovazione implicito in un’attività come quella di Egp?

“Penso che al governo ci sia un gruppo di persone che sta cercando di fare di tutto per supportare lo sforzo di rinnovamento che viene dalle aziende e dalla società civile, con un insieme di leggi che possono concretamente fare sbocciare l’innovazione di cui il Paese è capace: dalla volontà di agevolare il trattamento fiscale sulla proprietà intellettuale all’attenzione sempre maggiore verso le infrastrutture, alle eccellenze presenti in alcune università come ad esempio i Politecnici di Milano, Torino e Genova. Certo, non siamo un Paese che ama i grandi shock, molti preferiscono i piccoli passi. Il sistema è complesso e richiederà battaglie lunghe e difficili”.

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