Condividi

Le cozze italiane: il frutto di mare principe dell’estate

Dalla cozza adriatica a quella pugliese, passando per Triste, dalla DOP di Scardovari alla Sardegna con le mitiche Niettiddas, al Golfo di Napoli fino alla selvaggia del Conero. I tipi di cozze che affollano i nostri mari sono tantissimi, come i modi di cucinarli. Bisogna però prestare attenzione alla provenienza: le cozze possono fare molto bene al nostro organismo grazie ai valori nutrizionali in esse contenute, ma allo stesso tempo se non vengono ben trattate possono costituire un grande rischio.

Le cozze italiane: il frutto di mare principe dell’estate

Dalla tarantina alla marinara fino a chi le fa fritte o chi le usa come guarnizione per le insalate. Le cozze possono essere cucinate nei modi più disparati, sia come antipasti o primi piatti, ma anche come secondi. Ma come scegliere quelle più gustose o pregiate? Quali sono i parametri su cui basarsi per acquistare al meglio questo straordinario mollusco?

La prima regola è quella di acquistare cozze la cui provenienza è tracciata, e quindi quelle confezionate in reticelle chiuse e, invece, diffidare di quelle sfuse. Per verificarne la freschezza, la conchiglia deve essere ben chiusa, con un guscio dal colore lucente e nero, dall’odore leggero e gradevole. Una volta arrivati a casa riporle subito in frigo, a temperature comprese tra i 3 e i 6°C, così da mantenere vivo il prodotto, ma consumarle al massimo entro 24 ore dall’acquisto.

Famose per essere considerate un cibo afrodisiaco (sebbene prive di alcun fondamento scientifico), sono ottime per una dieta ipocalorica, grazie al loro bassissimo contenuto di grassi e calorie ( circa 85 cal per 100 grammi). Ricche di sali minerali, vitamine (soprattutto C e B) e proteine nobili, le cozze sono molto utilizzate anche come antinfiammatorio naturale per proteggere il sistema immunitario.

Nonostante le diverse proprietà nutrizionali, le cozze possono essere anche molto nocive, dato che sono esposte all’inquinamento ambientale e assorbono batteri e biotossine marine. Per questo motivo bisogna prestare molta attenzione ed evitare il consumo a crudo. Molti ricorderanno l’epidemia del colera negli anni ’70 a Napoli e lo sforamento dei limiti consentiti di diossina nel mare di Taranto, causato dall’acciaieria Ilva e dagli scarichi del capoluogo pugliese. In entrambi i casi, il veicolo di trasmissione erano proprio le cozze.

Come molti alimenti, anche questi frutti di mare si trovano in commercio tutto l’anno, sia fresche che congelate. Secondo una credenza popolare, però, non andrebbero mangiate nei mesi che contengono la lettera “erre” (come per le ostriche). Questo perché a febbraio, marzo, aprile, settembre, ottobre, novembre e dicembre le cozze si riproducono e diventano meno saporite; invece tra luglio e agosto toccano l’apice in termine di gusto e sapore. Nel resto dell’anno, il prodotto che si trova tra i banchi delle pescherie non è locale, ma probabilmente di origine spagnola e greca: vengono immerse per brevi periodi nelle acque italiane, ma perdono tutti quei valori nutrizionali che differenziano le cozze nostrane dalle altre.

Le cozze sono molluschi bivalvi dalla conchiglia nera a forma di goccia. Possono differire per dimensione e colore: se il mollusco presenta un colore arancione acceso allora sono femmine ed hanno un sapore più dolce, mentre quelle di un colore giallo più spento sono maschi. 

Attualmente, il principale sistema di allevamento è a sospensione su sistemi long-line, ovvero pali uniti tra di loro da corde su cui le cozze si moltiplicano. Le corde, una volta piene di cozze, vengono tagliate e appese verticalmente ameno a 80 cm dal fondo, in modo da evitare la risalita dei parassiti.

Amate fin dall’Antica Roma, il nostro Paese è il maggior produttore di questi molluschi e ci regala diverse tipologie nell’ambito dello stesso mare, ma a distanza di pochi km. Per questo motivo i principali impianti di allevamento si trovano in zone più a rischio, soggette ad una maggiore variabilità ambientale ma che possono garantire un prodotto dai sapori e dalla sapidità differente: dal Nord al Sud d’Italia, passando per la Sardegna e la costa del Conero troviamo tantissime varietà di questo mollusco.

Vediamo nel dettaglio le diverse cozze che ci regala il nostro Paese. Iniziamo il nostro viaggio dal Golfo del Friuli Venezia Giulia, dove la produzione di cozze è esplosa dalla metà degli anni ’50, grazie all’arrivo di una cinquantina di famiglie istriane al Villaggio del Pescatore, arrivando persino a produrre circa 60 mila quintali all’anno. Tuttavia, l’arrivo del colera negli anni 70 mise in ginocchio il settore e molti mitilicoltori furono costretti a cambiare attività o ad innovare i metodi di innesto. Famosa è la cozza di Trieste che si distingue per il suo sapore delicato e la polpa dolce, ottima in guazzetto o alla marinara.

Tuttavia, la maggior produzione di cozze si trova proprio lungo le coste romagnole e copre circa l’80% del mercato italiano. La cozza adriatica è la regina dell’Emilia Romagna: da Goro a Cattolica, passando per Ravenna, Comacchio, Cervia, Cesenatico, Bellaria, Porto Garibaldi, Igea Marina, Misano Adriatico fino a Rimini e Riccione. Questo grazie all’ottima qualità delle acque del mare aperto che hanno offerto un ambiente ideale per il loro sviluppo organico, regalando un prodotto dalle ottime qualità organolettiche. La polpa succosa consente di consumare questi molluschi con una semplice spruzzata di limone oppure al forno con un pò di pangrattato e parmigiano.

Talmente amate in Lombardia, tanto da dedicargli un evento annuale: la Festa di Marina di Ravenna, che quest’anno avrebbe dovuto tenersi la settima edizione, ma a causa dell’emergenza epidemiologica e la necessità di mantenere il distanziamento sociale, non hanno consentito un evento all’aperto ma un’edizione Smart, direttamente a casa o al ristorante, per non rinunciare al gusto di questo fantastico prodotto.

Un’altra perla del nostro Paese è la cozza di Scardovari (unica DOP dal 2015), la cui produzione è controllata da un rigido disciplinare: ogni fase di lavorazione, depurazione e confezionamento prevede l’uso di acqua della Sacca di Scardovari, l’insenatura marina situata nella parte meridionale del Delta del Po. Una tipologia di cozza dalla polpa morbida ma con una grande consistenza che prevede una lavorazione manuale, tramandata da generazione in generazione. Si sposa benissimo anche con piatti più rustici, come pasta e fagioli, un pasto completo dal punto di vista nutrizionale: un connubio di proteine, carboidrati e ferro.

Ma a competere con quelle romagnole ci sono quelle pugliesi: la tarantina, la salentina e la cozza pelosa, in ogni caso qui le cozze sono cultura e tradizione. In particolare a Taranto, un tempo la maggior produttrice di cozze al mondo (tanto da aggiudicarsi il nome “l’oro nero di Taranto”), si differenzia dalle altre per un sapore più marcato, una forma bombata e tozza, con una polpa rosea o di un bel giallo, povera di grassi ma ricca di ferro. Ottime con un pò di pomodoro fresco, aglio e peperoncino, ma il piatto principe rimane la cozza gratinata, da riempire con uovo e pangrattato oppure con arancia e zenzero.

La cozza pelosa, tipica delle coste baresi, si differenzia per il suo guscio ricoperto da peli abbastanza folti, essenziali per fissarsi agli scogli o ai pali di supporto degli stabulari. È molto difficile trovarla nei mercati, perché non si riproduce in allevamento. Il suo sapore è straordinario, con una polpa callosa ma non eccessivamente sapida. Le valve decisamente più forti riescono a contenere tutte le essenze minerali del mare. Protagoniste della specialità locale, la tiella barese, con riso e patate.

Arriviamo a Napoli. Anche qui un tempo, l’attività di mitilicoltura, era al centro dell’economia locale, e anche se oggi la produzione non si avvicina minimante a quella passata, sono ben presenti sui mercati regionali, molto richieste nell’alta ristorazione partenopea. Dal sapore unico, sapido ma dolce allo stesso tempo, sono perfette da consumare con una zuppa di ceci o dei semplici spaghetti. Ma la punta di diamante rimane l’impepata di cozze.

Invece, lungo il Conero si può godere del gusto forte e persistente dei mitili selvaggi, le cozze che si riproducono spontaneamente e che vivono attaccate agli scogli del litorale marchigiano, note anche come “moscioli”. Un prodotto unico, gustoso e ricco di Omega3, dal 2004 inserito da Slow Food tra i suoi Presidi, per salvaguardarlo e valorizzarlo. I pescatori amano mangiare i moscioli appena pescati, senza condimenti con un forte profumo di mare.

Infine, ma non per importanza, ci sono le cozze di Olbia, un’eccellenza del tutto gallurese, ad un passo dalla certificazione P.A.T (Prodotti agroalimentari tradizionali). Con più di 90 anni dalla sua prima produzione, oggi si producono 40 mila quintali annui, esportando più del 60% fuori dall’isola. Tutto merito del mitilicoltore Raffaele Bigi, di origine triestina, che individuò nelle acque sarde l’ambiente perfetto per allevarle. Come tutte le cozze del mediterraneo anche quelle sarde raggiungono il loro meglio in termini di gusto nei periodi estivi, quando sono completamente mature.

Sempre in territorio sardo, direttamente dalla filiere di eccellenza dell’azienda nel Golfo di Oristano, troviamo le Nieddittas: uno dei prodotti più gustosi che il mare della Sardegna offre ai veri buongustai. Grazie al loro sapore pieno e gradevole, molti chef prediligono questa tipologia di cozza per la loro versatilità, da usare non solo per i piatti salati ma anche per creare dolci originali e freschi, come il gelato alle Nieddittas. Altrimenti si può optare per un piatto più tradizionale, come la fregola con cozze e arselle. In qualunque modo si decida di cucinarle, quando si assaggia le Nieddittas basta chiudere gli occhi per sentirsi in Sardegna.

Come abbiamo visto esistono tanti tipi di cozze quanti sono i modi per cucinarle. Tuttavia è molto facile rovinare questi molluschi veraci, dal sapore deciso. Innanzitutto, bisogna prestare attenzione alla tipologia: non sempre più grande è meglio è, anzi spesso quelle di dimensioni contenute possono essere molto più saporite.

In ogni caso, il passaggio fondamentale per gustare le cozze fresche in totale sicurezza è la pulizia e l’apertura del guscio. Si parte eliminando quelle rotte o parzialmente aperte perché vuol dire che il mollusco è morto e quindi pieno di impurità. Poi bisogna togliere le incrostazioni e la “barbetta” che esce dal guscio, stringendo bene le valve per evitare che si porti dietro anche il mollusco. Le incrostazioni bianche si chiamano “denti di cane” e sono dei parassiti che si trovano sulle cozze di scoglio, più piccole ma sicuramente più saporite. Alla fine si procede con un’ultima sciacquata e, a questo punto, sono pronte per essere cucinate.

Anche la cottura è una fase delicata, bisogna stare attenti che le cozze non cuociano troppo fino a diventare di gomma. La fiamma deve essere vivace e mano mano che iniziano a schiudersi, bisogna toglierle dal fuoco. Cucinate con la pasta, zuppe (come la famosa catalana) o risotti, da sole o con altri molluschi, le cozze offrono infinite possibilità in cucina. Basta dare spazio alla propria creatività.

Commenta