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La ricetta di Tamburi: Borsa all’olandese, salari più alti agganciati alla produttività e meno burocrazia a Piazza Affari

INTERVISTA A GIANNI TAMBURI, fondatore e Ad di Tip -Il sistema Italia ha bisogno di una “scossa” all’olandese sulla governance delle società e sulla fiscalità per interrompere la migrazione verso altre piazze finanziarie e le imprese devono alzare i salari – “Meloni dimostra di essere brava, alcuni suoi ministri meno” – Risultati record per le società del pianeta Tip

La ricetta di Tamburi: Borsa all’olandese, salari più alti agganciati alla produttività e meno burocrazia a Piazza Affari

Una Borsa all’olandese per attrarre nuovi capitali in Piazza Affari o quantomeno per interrompere la migrazione delle grandi imprese, condizionate da un eccesso di burocrazia e costi crescenti. Un forte impegno sia da parte delle aziende che del sindacato per alzare i salari, tanto per premiare l’aumento della produttività che far da stimolo alla crescita, l’ingrediente fondamentale dello sviluppo che è a portata di mano di un Paese che ha accresciuto la sua capacità manifatturiera a livelli altissimi ma che rischia sempre di tornare indietro.  

Ecco la ricetta che Gianni Tamburi, ispirato dalla stagione record dei bilanci delle aziende che ruotano attorno al salotto buono della sua Tip, vede per l’Italia che “da almeno dieci anni cammina su un crinale sottile in perenne bilico: con i suoi gioielli può uscire dal nuovo Medioevo e rivivere il Rinascimento. Ma con le sue zavorre croniche rischia di tornare alle invasioni di barbari”. 

Una differenza che passa da un cambio di prospettiva epocale. “In Italia – spiega Tamburi – il governo è sempre stato contro il sistema delle imprese”. Ma adesso? “ Ho molto apprezzato il nuovo nome dato al Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Spero che alle parole seguano i fatti”. È ancora presto per giudicare l’azione del governo Meloni “anche se lei dimostra di essere brava. L’importante è che non si faccia distrarre dai balneari o dai tassisti ma segua una rotta lineare senza farsi troppo condizionare da alcuni ministri che mi piacciono meno. Ma questo valeva anche per i governi che l’hanno preceduta. Stiamo a vedere”. 

Intanto dai conti delle aziende emerge un quadro positivo, in linea con quanto sostenuto dalla Tip in questi anni in barba alle varie Cassandre… 

“Nei consigli di amministrazione delle nostre imprese si celebrano risultati record. Gli ultimi esempi riguardano Amplifon e Moncler: i dati più recenti in arrivo dalla Cina e non solo sono così entusiasmanti che non li abbiamo comunicati in dettaglio al pubblico.  E non parliamo di Prysmian. Ma il caso di scuola più significativo è quello di Interpump che opera con successo in vari settori in ogni parte del mondo. Dappertutto, insomma, vedo il segno più”.

È possibile sperare di trasferire questo clima in una chiave più generale?

“La prossima partita riguarda l’aumento dei salari. Io lo dico e lo ripeto agli imprenditori. È necessario trasferire una parte crescente dei profitti ai lavoratori. Oggi la forbice tra i trattamenti assistenziali, reddito di cittadinanza in testa, e chi lavora, è troppo bassa. Ma devo dire che gli imprenditori del giro Tip l’hanno capito. Ora si tratta di insistere”.

Taglio del cuneo fiscale, insomma.

“Ma non solo. L’importante è che il sistema sappia premiare la produttività. L’intelligenza del sindacato si misura dalla capacità di legare l’aumento del salario con quello della produttività. Ci vuole un aumento base, con una cifra fissa, attorno ai 100-200 euro, poi il resto deve arrivare dalla crescita. Il momento è propizio: sta rientrando l’aumento dell’energia, si è ormai ridimensionato l’allarme per la carenza dei semiconduttori. E tutto il mondo riconosce la qualità della nostra manifattura: legno, plastica, abbigliamento o meccanica.  È il momento di spingere”.

Se non ora quando, insomma. Ma i problemi al solito non mancano. Assieme alla concorrenza dei sistemi industriali più forti. Lo Stato deve tornare ad impegnarsi di più nella politica industriale?

“Quel che assolutamente non va fatto è la riedizione dei fondi speciali o sovrani all’italiana. Rispolverare la vecchia Gepi sarebbe un errore colossale. Bisogna semmai trovare gli strumenti adatti”.

Di che tipo?

“Per me la via maestra resta quella dei Pir: sgravi fiscali per il risparmiatore in cambio di investimenti a lungo termine. La formula oggi è il declino, ma può essere rilanciata con i cambiamenti opportuni”. 

Intanto cresce la concorrenza dei Btp. Con il reddito fisso oltre il 4 per cento che spazio esiste per la Borsa?

“L’equity può dare molto di più. È il momento per rivedere il classico rapporto tra azioni ed obbligazioni aumentando con prudenza quest’ultima componente. Prevedo un ritorno di interesse per le formule convertibili”.

Intanto le banche, da cui Tip si è sempre tenuta alla larga, dominano la scena di Piazza Affari. Pentito?

“Assolutamente no, L’importante è sposare una linea coerente, e questa per noi passa dalla valorizzazione degli imprenditori, del management e delle strategie aziendali. Parlando di banche, prendo atto che ormai hanno azzerato i rischi di impresa. Tra Sace e Mediocrediti vari le aziende di credito possono ridurre al lumicino gli accantonamenti ai fondi rischi a tutto vantaggio della salute dei bilanci. Il segreto dei loro profitti sta nel fatto che non sono più necessari gli accantonamenti al fondo rischi che sono coperti dalla mano pubblica”.

Tra le sue battaglie da sempre spicca l’invito ad aumentare la taglia delle imprese. È ancora valido oppure il sistema del piccolo è bello si è rivelato più efficace del previsto?

“Aumentare la taglia  delle imprese resta un obiettivo strategico. È sempre stato il momento di farlo, oggi lo è ancor di più. Lo richiedono le esigenze della logistica, il peso della componente valutaria per chi esporta-e tutto il resto che obbliga le aziende a porsi il problema di aumentare il circolante per far fronte alle esigenze della crescita: se sono più grande aumenta il mio placing power sul mercato”.

Come giudica al proposito l’asse tra Pirelli e Brembo? Può essere un modello giusto?

“Per ora è una mossa intelligente. Adesso vediamo cosa vogliono fare i cinesi. Ma quel che conta sono le fusioni per incorporazione”.

Che può fare al proposito il governo?

“Può aiutare con incentivi fiscali. La natura del capitalismo italiano è fatta da tante aziende con un capitale modesto in rapporto al valore del tutto. In sede di fusione si può valorizzare questa componente adeguando il valore storico del capitale. Vedremo. Per ora si potrebbe riattivare l’Ace scaduta a fine 2022”.

Gli imprenditori sono maturi per il salto di qualità?

Più che in passato. Ormai in azienda operano le seconde o le terze generazioni: gente che ha studiato in America, spesso ha fatto esperienze importanti prima di salire i gradini nell’azienda di casa. Certo, c’è sempre una componente di persone che non ha fame, perché premiata con la Ferrari come prima macchina. Ma il quadro ispira fiducia”.

Si parla del nuovo triangolo dell’industria: Lombardia, Emilia, Veneto.

“No, vale anche per il Piemonte, le Marche o la Puglia. È un fenomeno generazionale, non geografico. L’Italia è piena di aziende da scoprire. Io e i miei visitiamo in media dieci aziende al mese, tra vecchi e nuovi clienti”.

Resta il nodo della Borsa. I prezzi di Piazza Affari corrono, ma il listino perde i pezzi. Oggi il mercato azionario italiano vale sì e no un 25 per cento del pil e continua a perdere pezzi: Luxottica, Atlantia, Cnh. Perché le nostre imprese snobbano il mercato?

“In realtà non è proprio così. Basta vedere il costante afflusso di matricole sul mercato Egm di Borsa Italiana che è ormai salito fino a 150 matricole, a testimonianza che l’attenzione delle imprese esiste. Ma sono d’accordo: credo che sia giunta l’ora di dare una scossa al sistema”.

In che senso?

“Le società quotate sono sottoposte ad una serie di obblighi non sempre giustificati. Basta andare a leggere un prospetto di quotazione o di aumento di capitale per avere un’idea della mole di adempimenti burocratici lunghi e costosi che assorbono energie aziendali che  potrebbero essere impiegate in maniera più proficua”.

Ma non è solo questione di burocrazia. 

“Credo che in materia di governance, di voti multipli in assemblea e di fiscalità sulle quotate abbiamo molto da imparare dai partner Ue. Non ha senso continuare a regalare valore ai concorrenti. È l’ora di affrontare il tema. Ho ragione di pensare che Euronext, cui appartiene Borsa italiana, sia favorevole”. 
Una Borsa all’olandese, insomma, in attesa di un mercato dei capitali di dimensioni e con regole europee eguali per tutti che stenta a prendere quota. A meno che un Paese non prenda l’iniziativa dimostrando nei fatti che l’impresa, finalmente, possa contare su un governo amico. 

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