Condividi

Indonesia: non è oro quel che luccica, ma potrebbe diventarlo

Senza investimenti attivi a breve, la nuova normativa sull’export di minerali non lavorati potrebbe provocare un pericoloso aumento di deficit commerciale e disoccupazione. Ma ecco allora che potrebbero entrare in gioco gli IDE stranieri.

Indonesia: non è oro quel che luccica, ma potrebbe diventarlo

Il 12 gennaio scorso è entrato in vigore in Indonesia il bando alle esportazioni di minerali non lavorati previsto dalla legge mineraria approvata nel 2009. Sebbene approvata in una versione alleggerita rispetto a quanto previsto dal testo originario, la normativa prevede l’introduzione di un’imposta del 25% sulle esportazioni di minerali che incrementerà ogni 6 mesi raggiungendo il 60% nel 2017. Saranno esenti dal divieto, per un limitato periodo di tempo, tutte le imprese che avvieranno la costruzione di fonderie o impianti di lavorazione sul territorio indonesiano. Tale iniziativa denota la volontà del governo locale di sviluppare un’industria nazionale di lavorazione dei minerali a più elevato valore aggiunto aumentando il tasso di occupazione, spostando le produzioni verso segmenti più alti della catena del valore e attrarre investimenti nel comparto della trasformazione delle materie prime estratte. I minerali che non potranno più essere esportati, se non dopo essere sottoposti ad un processo di raffinazione o trasformazione in loco, sono: bauxite, nickel, stagno, cromo, oro e argento. Carbone, gas naturale e petrolio grezzo, vale a dire le principali commodity esportate dal paese, non saranno, per il momento, oggetto del divieto.

L’export di minerali nel 2012 (esclusi crude oil e gas naturale) ammonta a circa 31 miliardi di dolari, pari al 16,6% del totale delle esportazioni indonesiane. Il paese fornisce il 3% del rame a livello mondiale, tra il 18% e il 20% del nickel e circa il 10% di bauxite. Considerata l’importanza che il settore minerario indonesiano ricopre per l’economia dell’arcipelago e per i paesi consumatori di materie prime (come la Cina, principale paese importatore di nickel indonesiano), il provvedimento appena entrato in vigore avrà delle ripercussioni non solo su conti pubblici e mercato delle commodity coinvolte, ma anche sui risvolti politici interni, di fronte al destino di una’industria estrattiva che dovrà essere bilanciato dalla creazione di maggiori posti di lavoro in quella della trasformazione dei minerali stessi. Un compromesso che rappresenti la strategia più efficiente tra l’interesse nazionale per la tutela delle risorse naturali e gli interessi degli investitori esteri attivi nel settore minerario diventa d’obbligo.

Da questo punto di vista, l’entrata in vigore della norma potrebbe influire sulla bilancia commerciale ampliandone il deficit a causa delle minori esportazioni di minerali grezzi e della maggiore domanda di beni capitali funzionali allo sviluppo di un’industria locale di trasformazione dei minerali. Dunque, di un aumento delle importazioni di tali beni. Gli scenari individuati dalla Banca Mondiale e illustrati dal focus SACE prevedono un impatto neutrale della normativa a partire dal 2015 nel caso in cui tutti gli impianti di trasformazione siano realisticamente operativi già nel corso di quest’anno, durante il quale il paese sperimenterà un moderato deficit di parte corrente. Ipotesi che, naturalmente, peggiorerebbe qualora nel il numero di attività produttive nel breve termine si riduca sempre più, prima di una ripresa delle esportazioni di minerali lavorati. Tutto ciò non farebbe altro che accrescere la necessità di finanziamento di un paese già dipendente dall’afflusso di capitali esteri, in termini sia di investimenti di portafoglio, che sono i più sensibili a cambiamenti di policy, sia di IDE. Tali flussi di capitale potrebbero infatti essere scoraggiati da una regolamentazione maggiormente restrittiva, con ripercussioni sul prezzo stesso delle commodity, il cui rendimento sui mercati finanziari si svaluterebbe a vantaggio dei mercati concorrenti. Occorrerebbe vedere allora se le società straniere del settore, di fronte alla mancanza di investimenti produttivi che controbilancino gli sviluppi nel minerario, non siano in tutto questo incentivate a stabilire impianti di lavorazione in loco, dopo aver comparato i costi di lavorazione di metalli meno pregiati di quelli indonesiani. Con notevoli vantaggi per il mercato dei consumi (e, dunque, la popolazione locale) e gli stessi investitori, data la posizione di leader del sottosuolo indonesiano. Tutta questione di lungimiranza.

Commenta