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Grillo e l’elite italiana: chi sale sul carro del vincitore

Da Galli della Loggia a Del Vecchio e agli imprenditori del Nord-est – Il possibilismo del capo di Amplifon e di Consorte – Una classe dirigente al bivio tra realismo e opportunismo – Augias e le origini del servilismo italico – La voglia di liquidare la casta politica è comprensibile purché ci si ricordi di fare i conti con l’Europa e con l’euro.

Grillo e l’elite italiana: chi sale sul carro del vincitore

Il primo è stato Ernesto Galli della Loggia con il suo editoriale (“Atlante populista italiano”) di mercoledì scorso sul Corriere della sera. “Se si voleva mandare a casa un’intera classe politica – ha scritto sul quotidiano diretto da Ferruccio de Bortoli – quale altra via esisteva se non il voto per la lista di Beppe Grillo?”. Ma anche le parole di giovedì del patron di Luxottica, Leonardo Del Vecchio, uno degli uomini più ricchi d’Italia che per ragioni di “ottimizzazione fiscale” vive a Montecarlo, non hanno mancato di sorprendere: “Grillo premier, perché no? Non credo che sia più stupido di quelli che abbiamo avuto fino adesso”. Non la pensa così il presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, secondo il quale, se venisse applicata l’agenda di Grillo, “l’industria italiana sarebbe finita”. 

Ma la partita resta aperta: quanti altri esponenti di spicco della nostra classe dirigente saliranno sul carro del vincitore delle ultime elezioni? Sempre sul Corriere della sera Dario Di Vico ha abbozzato un primo censimento. Tra i filo-Grillo della prima o dell’ultima ora sono venuti fuori i nomi di Francesco Biasion, titolare di un’azienda di stampaggio a caldo di valore mondiale (la Bifrangi di Vicenza) che prima votava Pdl e quello di Andrea Bolla (presidente della Confindustria di Verona), mentre possibilismo sul leader del Movimento 5 Stelle hanno espresso l’ad di Amplifon Franco Moscetti e – udite, udite – l’ex gran capo di Unipol prima che lo fermasse la magistratura, Giovanni Consorte.

Opportunismo o realismo? Conoscere e studiare una novità politica come quella rappresentata da Beppe Grillo è prova di saggezza, accodarsi per cercare di lucrare qualche beneficio è un’altra cosa. Ma da una classe dirigente mediocre come quella italiana ci si può aspettare di tutto. Il servilismo è nelle corde degli italiani e un osservatore acuto come Corrado Augias ne ha spiegato le origini nel suo bel saggio “Il disagio della libertà”: la controriforma e le dominazioni straniere hanno pure contato qualcosa e l’assenza di uno Stato degno di questo nome ha fatto il resto.

Proprio su FIRSTonline, il 5 gennaio scorso il professor Elio Borgonovi (“Monti, le elezioni e tre ostacoli da superare: populismo, conformismo e disfattismo”) scriveva che tra i difetti italiani ha un posto di prim’ordine proprio il conformismo che è “anche quello di chi non si vuole schierare e aspetta di salire sul carro del vincitore”. Segnali di corteggiamento e di avvicinamento interessato a Grillo sono sicuramente destinati a moltiplicarsi tra gli imprenditori e gli intellettuali, insomma nella cosiddetta elite italiana. Avvenne così anche con la Lega e con Berlusconi dagli anni Novanta in poi e, in precedenza con la Dc, con il Psi di Craxi e con il Pci della metà degli anni Settanta: a servire i vincitori del momento sono sempre in tanti. Destra o sinistra poco importa, l’importante è servire.

Non scopriamo oggi che la nostra classe dirigente non brilla per levatura morale e intellettuale e men che mai per indipendenza: più che pensare in proprio ha spesso preferito scodinzolare dietro i trionfatori di turno. D’altronde la voglia di liquidare la casta politica è forte e per certi versi comprensibile purché il nuovo che avanza sia meglio del vecchio e ci si ricordi che l’Italia non è ancora diventata un’isola ma fa parte integrante dell’Europa a cui dobbiamo rispondere. A meno che, per amor di Grillo, non si decida di diventare tutti più poveri dalla sera al mattino uscendo dall’euro e tornando alla liretta del tempo che fu.

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