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Gli impianti di Taranto e Piombino sono sull’orlo del precipizio: per l’acciaio è ora di una svolta

Il ciclo del miracolo siderurgico italiano rischia di finire con la chiusura degli impianti di Taranto e Piombino – Dopo gli errori delle imprese pubbliche e private è ora di una svolta per l’acciaio italiano che ne preservi le eccellenze produttive che ancora ci sono – Ma il ministro Passera deve battere un colpo e le imprese e le banche fare la loro parte

Gli impianti di Taranto e Piombino sono sull’orlo del precipizio: per l’acciaio è ora di una svolta

La prospettiva che i siti siderurgici di Taranto e di Piombino possano essere fermati e chiusi non è poi così lontana. Anzi. L’acciaio italiano perderebbe gli unici stabilimenti a ciclo integrato (da minerale) marginalizzando il restante comparto alla sola produzione da forno elettrico e da rottame. Finirebbe inevitabilmente il ciclo del miracolo siderurgico italiano che ha portato il Paese ad essere il secondo produttore europeo e, per decenni, tra i protagonisti mondiali del settore. Finirebbe inoltre la fornitura nazionale del prodotto base dell’automotive, del “bianco” e della meccanica in generale: settori che hanno potuto contare su forniture d’acciaio a buon prezzo e di alta qualità facendone la ragione non indifferente dei propri successi commerciali e dell’export del Paese.

In questa prospettiva anche la rimanente siderurgia elettrica nei suoi distretti bresciani e veneti finirebbe accerchiata da un lato dal basso valore aggiunto del prodotto caratteristico (tondo per c.a. e laminati mercantili) e dall’altro dalla crescente insofferenza dei quartieri cittadini nati e cresciuti intorno a quegli stabilimenti.

Potrebbe accadere nel breve periodo di poter contare in Italia solo sull’acciaio inossidabile di Cogne e di Valbruna e su alcune nicchie di alta qualità come le produzioni di Ori Martin e delle Acciaierie Venete della famiglia Banzato. Può un Paese trasformatore e manifatturiero pensare a questo scenario senza mettere in discussione i livelli economici dello Stato, le ragioni di scambio delle sue imprese,i redditi di decine di migliaia di famiglie minando la stessa prospettiva di una convivenza democratica? Non credo.

I disastri gestionali della Lucchini di Piombino (prima la famiglia e poi i russi) e quelli altrettanto imputabili all’Ilva sia pubblica che privata, hanno questa radice comune: una gestione che ha reso,alla fine, oggi la ricerca di una soluzione complessiva certamente difficile, sicuramente gigantesca per i numerosi ostacoli ed incognite. Ma è affrontabile nelle soluzioni e nella svolta tecnologica ed impiantistica se si vogliono vedere i problemi senza gli occhiali delle emergenze spesso strumentalizzate e quelli ancor più cogenti e forse inevitabili al punto odierno delle disposizioni della Magistratura.

I piani di intervento strutturale sugli impianti possono cadenzarsi con le certezze degli investimenti necessari mantenendo livelli di produzione compatibili con le necessità strategiche dell’industria italiana. Intrecciare la necessaria e progressiva fermata di un altoforno di Taranto con la messa a regime di quello di Piombino è la soluzione più concreta e più percorribile. A caduta,poi,uno alla volta, gli altiforni di Taranto dovranno essere messi a manutenzione con le necessarie modifiche impiantistiche che la migliore tecnologia oggi sa offrire.

Questa strategia richiede una convergenza di interessi tra la famiglia Riva (che dispone di risorse importanti) e le Banche che, di fatto, sono le proprietarie dell’impianto di Piombino.

Altri imprenditori siderurgici che sanno di avere nei loro forni elettrici limiti produttivi e nella localizzazione storica dei loro impianti incognite ambientali non indifferenti e limitazioni crescenti, non potranno sottrarsi(se lungimiranti) ad uno sforzo finanziario di sinergia comune nella capitalizzazione di questo progetto generale.

Si tratta per il Ministro Passera di affrontare con decisione (con la famiglia Riva in primo luogo) questo piano capace di coinvolgere l’intero sistema siderurgico nazionale (meno di dieci imprenditori) e di favorire la formazione di una dirigenza professionalmente credibile e capace.

La storia anche recente della siderurgia italiana ha offerto manager di profilo,tecnici di alto livello e una preparazione professionale diffusa senza paura di confronti con altre siderurgie. La tecnologia impiantistica italiana ha ancora punte di eccellenza mondiale solo che si pensi alla Danieli. In tutti i settori vicini all’acciaio il Paese può offrire apporti di eccellenza produttiva e finanziari (dalla componentistica degli impianti alla tecnologia ambientale,dalla logistica alla commercializzazione). Questi comparti insieme a quelli dei primi utilizzatori possono anch’essi contribuire al nocciolo duro del disegno capace di prendere sulle proprie spalle il destino di Taranto e di Piombino.

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