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Giovannini: “Sì a maggiore flessibilità, ma è la formazione il vero problema”

Secondo il ministro bisogna “privilegiare il più possibile i contratti flessibili buoni, quelli a termine, rispetto a quelli cattivi, come le false partite Iva” – Per i servizi all’impiego “l’Italia spende 500 milioni l’anno, contro i cinque miliardi del governo tedesco” – Inoltre, secondo il ministro, “il nostro sistema di formazione è inadeguato”.

Giovannini: “Sì a maggiore flessibilità, ma è la formazione il vero problema”

“Sono favorevole a una sperimentazione, a privilegiare il più possibile i contratti flessibili buoni, i contratti a termine, rispetto a quelli cattivi, come le false partite Iva. Ma non può essere un intervento di deroga generalizzata senza razionalità”. Lo ha detto in un’intervista al quotidiano “La Stampa” Enrico Giovannini, ministro del Lavoro, tema sul quale inizia questa settimana l’iter della nuova riforma del governo Letta. 

“Un intervento sull’Expo tutto concentrato sui soli contratti a termine sarebbe riduttivo – ha aggiunto -. Stiamo immaginando di mettere insieme un pacchetto equilibrato di novità”. Quanto alla richiesta del Pd di alzare da 29 a 35 anni il tetto per gli incentivi fiscali, Giovannini ha precisato che “si allargherebbe la platea, non le risorse disponibili”. 

L’attenzione di Giovannini si concentra in particolare sui servizi all’impiego, per i quali “l’Italia spende 500 milioni l’anno, contro i cinque miliardi del governo tedesco”. Inoltre, secondo il ministro, “il nostro sistema di formazione è totalmente inadeguato rispetto altri Paesi europei”.

Nell’ipotesi che i servizi all’impiego vengano trasferiti dalle Province – che il governo vuole abolire – alle Regioni, Giovannini ha detto di aver avviato “una riflessione con Isfol, Italia Lavoro e Inps per studiare le migliori pratiche europee, per poi decidere entro settembre che strada scegliere”.

In ogni caso, secondo Giovannini il problema più urgente è dare lavoro a oltre due milioni di giovani Neet, ovvero i ragazzi che non studiano e non lavorano e che “ci costano ogni anno 25 miliardi di euro di perdita di capitale umano”.

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