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Germania e Grecia: chi ha fatto i compiti a casa e quanto vale il mandato popolare

Berlino è accusata di avere un surplus commerciale eccessivo e di fare poco per stimolare la domanda interna e ridurre il gap con i Paesi periferici ma gli incrementi salariali ai metalmeccanici, il salario minimo e l’accettazione del Qe dimostrano il contrario – Quanto al mandato popolare, sventolato da Atene, quello greco non vale più di quello europeo

Germania e Grecia: chi ha fatto i compiti a casa e quanto vale il mandato popolare

Dopo cinque anni, in Grecia la crisi ancora non è finita. Anzi, la situazione peggiora di giorno in giorno. La colpa, secondo un numero crescente di osservatori, economisti e politici sarebbe dei piani di aiuti imposti dalla Troika: troppa austerità, poco tempo e mancanza di vera solidarietà.

Chi critica la cura greca ritiene che, in linea di principio, l’onere dell’aggiustamento non debba ricadere unicamente sul debitore. I creditori devono fare la loro parte anche perché, è evidente, che è nel loro interesse non far fallire il debitore. Perciò, tanto vale aiutare i paesi in difficoltà, invece che imporre loro cure massacranti e impossibili da attuare. In sostanza, anche i “paesi virtuosi” devono fare i compiti a casa e aggiustare i propri squilibri. La Germania, ad esempio, ha un surplus commerciale che supera oramai da anni il 7 per cento del Pil, e pertanto dovrebbe attuare politiche fiscali espansive per aumentare la domanda interna, e così contribuire alla riduzione del gap di competitività con i paesi periferici. In un’unione monetaria, questi ultimi non possono fare leva sul tasso di cambio (svalutandolo) e quindi tocca ai creditori agire, generando inflazione.

Tralasciando il fatto che questa tesi non considera il ruolo fondamentale delle riforme sulla competitività di un paese, in realtà, la Germania il suo contributo alla stabilità dell’area dell’euro lo sta dando, anche perché, per come è strutturata la governance europea, sfuggire non è così facile. E lo ha fatto, principalmente, attraverso due strade.

In primo luogo, attraverso incrementi salariali. Solo per fare un esempio, all’inizio di quest’anno il sindacato dei metalmeccanici IG Metall ha ottenuto per i suoi iscritti nel Baden-Wurttemberg un aumento medio del 3,5 per cento, ben al di sopra dell’inflazione (a febbraio l’indice dei prezzi al consumo ha registrato una crescita dello 0,9 per cento su base mensile e dello 0,1 per cento su base annuale): un accordo che, con ogni probabilità, servirà da modello per i rinnovi contrattuali di oltre 6 milioni di lavoratori previsti entro la fine del 2015. A questo va aggiunto l’introduzione del salario minimo (8,50 euro l’ora), fortemente voluta dai socialdemocratici e avvenuta nel 2014. Gli effetti sui consumi si cominciano a vedere. Il Pil del quarto trimestre è cresciuto dello 0,7 per cento, rispetto al trimestre precedente, grazie al contributo della domanda aggregata: una tendenza prevista rafforzarsi nella prima parte dell’anno in corso.

In secondo luogo, attraverso l’accettazione “suo malgrado” del ricorso a strumenti di politica monetaria non convenzionali, come il Quantitative Easing. Ci si è arrivati gradualmente, facendo digerire ai tedeschi strumenti intermedi come l’Outright Monetary Transactions (OMT) ancora mai utilizzato perché attivabile solo se il paese richiedente partecipa ad un programma di salvataggio (e pertanto accetta di sottoscrivere un Memorandum of Understanding con la Troika); oppure il Security Market Program (SMP), avviato tra il 2010 e il 2012, e rivelatosi fondamentale nel calmierare  gli spread grazie ad all’acquisto di circa 200 miliardi di titoli di stato, di cui quasi la metà italiani. Entrambi gli strumenti sono stati percepiti dall’opinione pubblica come una violazione della no bail-out clause, ossia quella clausola del Trattato di Maastricht che vieta il finanziamento diretto degli stati e, infatti, vi è stata una valanga di ricorsi, – mai successo prima -, per denunciare quello che in Germania è considerato un “utilizzo illegale” della politica monetaria.

Anche sull’avvio del Quantitave Easing, i tedeschi hanno cercato di far valere le loro motivazioni: inutile, inefficace, vietato dai Trattati, e, soprattutto, un vero e proprio regalo ai paesi del Sud dell’Europa, che potranno beneficiare di spread e tassi di interesse più bassi (il solo annuncio dell’operazione li ha fatti calare sostanzialmente) e di un euro svalutato: un’ottima scusa per rallentare, o addirittura interrompere -, il processo di riforme.  

Un euro debole certamente conviene anche alla Germania ma quello che proprio non conviene sono tassi di interesse ancora più bassi di quelli già esistenti prima del Quantitative Easing. In effetti, tanto più scendono i tassi, tanto più diventa problematico per le compagnie di assicurazioni che devono finanziare i loro impegni con premi definiti. Nel 2013, la Bundesbank ha stimato che in caso di un periodo prolungato di tassi bassi, più del 10 per cento delle assicurazioni sulla vita non rispetterebbe i requisiti regolamentari entro il 2018 e più di un terzo entro il 2023: uno scenario drammatico considerato che le polizze sulla vita sono uno strumento molto diffuso in Germania

Tuttavia, nonostante la ferma opposizione della Germania – il presidente della Bundesbank Weidmann non ha perso occasione per manifestare il proprio dissenso -, il Quantitative Easing è stato avviato all’inizio del mese.

In sostanza, la linea della maggiorana europea ha prevalso a scapito di quella tedesca. Esattamente ciò che sta avvenendo con la Grecia, che si è trovata sola contro gli altri 18 paesi dell’euro contrari alle sue richieste. Quando Alexis Tsipras sostiene di avere ricevuto un mandato dal popolo greco, sottovaluta, infatti, il ruolo del mandato che gli oltre 500 milioni di cittadini europei hanno conferito alle istituzioni di Bruxelles (Parlamento e Commissione) nel maggio dello scorso anno. In un’unione monetaria, che si muove verso una maggiore integrazione politica, contribuire alla stabilità e alla crescita della zona significa, anche, accettare di essere messi in minoranza, così come hanno fatto i tedeschi con il Quantitative Easing. 

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