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Fuga dal petrolio? I soldi ora corrono sulle attività verdi

Dal super-fondo di Riad all’auto elettrica di Tesla, alla sterzata delle grandi utility come Enel, la sfida dei grandi investimenti mondiali ha innescato il conto alla rovescia per l’addio al fossile. E mentre il governo tedesco ricarica gli incentivi per la mobilità verde, Ford lavora a sinergie sul versante tecnologico e i colossi hi-tech puntano a vetture che si guidano da sé, la sfida è sui tempi. Sullo sfondo l’accordo sul clima e il fatto che ora più che l’etica sta entrando in gioco la convenienza economica

E’ iniziata la fuga dal petrolio o è solo una falsa partenza? Di sicuro, per ora, i segnali si moltiplicano e anche se mai come nelle vicende dell’energia i cambiamenti non sono né possono essere repentini (a meno di non pagarne pesanti conseguenze), gli scricchiolii nel mondo dell’energia fossile crescono e si sommano con il passare dei giorni.

LA SVOLTA DI RIAD

Vediamoli, allora. Il più recente e per certi aspetti il più fragoroso, è la svolta di Riad. L’Arabia Saudita fa dire al suo trentenne vice principe ereditario che “il Paese dal 2020 sarà in grado di vivere senza petrolio” e si prepara a gestire il programma “Vision 2030” mettendo sul piatto la cessione del 5% di Saudi Aramco, la compagnia petrolifera nazionale, e la costituzione di un super-Fondo dotato di 2 mila miliardi di dollari, una cifra colossale in grado di influire sugli investimenti finanziari mondiali. Dove investirà i suoi soldi il nuovo Fondo? E’ questo il punto. La finanza mondiale sembra intenzionata a prendere sul serio gli impegni sulla riduzione del surriscaldamento climatico (da contenere entro 2 gradi al 2030) emersi dal Cop21 di Parigi. Non per ragioni etiche, ma soprattutto economiche. Gli impegni di Parigi sono stati sottoscritti solennemente pochi giorni fa da 175 Stati riuniti  a New York nel palazzo dell’Onu. Non era mai successo, ed è il secondo indizio. Il terzo è l’adesione di 9 grandi banche e fondi d’investimento alla Catalytic Finance Initiative: Hsbc e Crédit Agricole, alleate con Bank of America e Merril Lynch, puntano ad investire 10 miliardi di dollari su tecnologie verdi e ne hanno già raccolti 8 da vari investitori tra i quali Babson Capital e MassMutual, European Investment Bank e International Finance Corp (filiale della World Bank).

UNA MONTAGNA DI INVESTIMENTI

La stessa Banca Mondiale stima che occorrano 89 miliardi di investimenti entro il 2035 per limitare l’avanzata del riscaldamento globale in base all’accordo di Parigi. Per intercettare questa domanda alcune banche si sono dunque iniziate a muovere. Altre, come JP Morgan, preoccupate dal problema degli stranded costs (i costi incagliati dell’uscita dal sistema) hanno abbandonato gli investimenti nel carbone. Gli eredi di John Rockefeller, fondatore della dinastia, pian piano stanno ripudiando il barile da cui hanno tratto la loro gigantesca fortuna. Fece scalpore nel 2014 la decisione del Rockefeller Brothers Fund di chiudere con gli investimenti petroliferi e quella del Rockefeller Family Fund di disinvestire dall’esplorazione e sviluppo: “Non c’è un motivo razionale – ha sostenuto il Fondo – per continuare a cercare nuovi giacimenti di idrocarburi. La famiglia ha goduto di una lunga storia di profitti investendo nelle compagnie petrolifere, compresa ExxonMobil (nata dalle spoglie di Standard Oil, fondata dal capostitpite, ndr). Ma la storia va avanti, com’è giusto che sia”.

RINNOVABILI E AUTO ELETTRICA

Sul fronte energetico opposto, la stella polare dei nuovi investimenti sono le rinnovabili dove il trend è in continua crescita (329 miliardi di dollari nel 2015 secondo Bloomberg) e non solo non ha rallentato, con il petrolio a 30 dollari, ma anzi ha continuato a crescere. Tanto che per la prima volta, sempre nel 2015, il 54% della nuova potenza elettrica installata nel mondo è stato generato da impianti verdi in base ai dati raccolti nel rapporto del United Nations Environment Programm.

La produzione elettrica verde, tuttavia, da sola non basterà a garantire lo stop al surriscaldamento climatico. E la vera sfida è quella sui trasporti che sono oggi, insieme al riscaldamento domestico, la principale fonte di emissioni climalteranti. Ma qui la sfida non è solo economica, coinvolge passioni ed emotività: il mondo è pronto a dare l’addio al ruggito del motore a scoppio per sostituirlo con silenziose batterie su auto e Tir? Il successo, domenica 24 aprile, della trasvolata di 62 ore sul Pacifico di Solar Impulse 2, l’aereo solare che sta proseguendo il suo giro del mondo, ha richiamato il viaggio leggendario di Charles Lindberg sull’Atlantico. Le premesse per un’aviazione verde sono ai primi passi ma sulla mobilità elettrica si stanno concentrando molti segnali.

Elon Musk ha acceso molte aspettative con la sua nuova Tesla Model 3, presentata a 35 mila dollari contro i 70 mila medi dei modelli attuali. Ha raccolto 325 mila ordini con un acconto di 1000 dollari ciascuno per consegne nel 2017-18: commenti entusiastici ed altri molto più scettici sulla reale possibilità di tenere fede, dal punto di vista industriale, alle promesse fatte di fronte ai 400 milioni bruciati ogni tre mesi dal gruppo californiano. Eppure, tutte le utility stanno spostando i piani di sviluppo sulle rinnovabili da un lato, sulle reti e sulla mobilità elettrica dall’altro. Enel in testa. E il numero uno di Ford (oltre che membro appena eletto nel board Ibm), Mark Fields, al Mobile World Congress di Barcellona in febbraio ammoniva: “La pressione per nuove forme di mobilità è fortissima. Sia dal punto di vista dell’energia utilizzata sia da quello della forma di utilizzo del mezzo di trasporto: si va sempre più verso il motore elettrico e la condivisione della vettura e del viaggio. E noi vogliamo essere pronti a queste sfide”. Ora annuncia l’alleanza con Google per l’auto che si guida da sé

Ultimo indizio: il rigoroso ministro delle Finanze Wolfgang Shaeuble sta per presentare alla cancelliera Merkel il nuovo piano di incentivi per l’auto elettrica: “premio” di 5.000 euro per chi sceglierà un’auto solo elettrica e 3.000 euro per un’ibrida plug in fino a giugno 2018, da ridimensionare rispettivamente a 3 e 2 mila euro successivamente, oltre a sgravi fiscali valutati 100 milioni. Costo complessivo 1,2 miliardi di euro. (per ora solo 250 milioni disponibili).

In conclusione: molti indizi non fanno una prova, dicono i giuristi. Nel caso dell’economia, non sembrano esserci più molti dubbi: la miccia del cambiamento è accesa, è sui tempi dell’addio al fossile che si giocherà il verdetto finale: rivoluzione vera o solo a metà.

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