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Elezioni Germania, a Berlino cresce il partito dei Draghi boys

Alla vigilia del voto in Germania, gli industriali chiedono più spesa pubblica e di rischiare di più. Un cambio di rotta rispetto al credo dello “zero debiti”. Ecco chi sono i volti nuovi di un fenomeno che si rafforzerà

Elezioni Germania, a Berlino cresce il partito dei Draghi boys

E GLI INDUSTRIALI DICONO: PIU’ SPESE E RISCHIARE DI PIU’

“Un’impresa famigliare che ha alle spalle una lunga storia corre il rischio di voler anteporre ad ogni cosa lo spirito di conservazione. Ma in questo modo si perde lo slancio vitale dei fondatori. Ecco, io ho voglia di ritrovare questa voglia di rischiare”. Parla così il manager che guida le attività tedesche di Headline, un fondo di venture capital che ha un ruolo chiave nella scena delle start up di Berlino, una delle piazze più vivaci della new economy europea. E le sue parole pesano quanto il cognome che porta.

Christian Miele, infatti, è il discendente di uno dei marchi più prestigiosi ma anche più tradizionali dell’industria tedesca, quello della ditta di elettrodomestici fondata dal suo trisavolo Carl Miele, ancor oggi dopo cinque generazioni al 100% nelle mani della famiglia. Fa impressione sentir parlare proprio lui della necessità di cambiare ed imprimere una svolta ad un sistema che da sempre fa della stabilità una delle chiavi di volta del successo. Ma Miele, presidente dell’associazione delle start up, è oggi una delle voci più ascoltate ed irriverenti dell’establishment, più dello zio che guida con il successo di sempre la fabbrica di lavatrici che non si rompono mai. Ha fatto sensazione un suo commento su LinkedIn: “Porto grande rispetto per Angela Merkel ma non vedo in lei la passione e la visione necessaria per il futuro, specie rispetto all’Europa”.  

La mancanza di passione, del resto, è una delle chiavi di lettura di una campagna elettorale d’oltre Reno segnata da una certa monotonia e prevedibilità, riflessa dall’andamento dei mercati finanziari, più preoccupati dalla frenata del cliente numero uno, la Cina, piuttosto che dalle piattaforme dei partiti.

 Ma, alla vigilia del voto, l’incremento di valore del rendimento dei Bund, giunti stamane a -0,22% ai massimi dall’estate, riporta d’attualità la vera questione di fondo: il prossimo esecutivo insisterà nella politica dello “zero debiti”, bandiera della politica economica dell’era Merkel/Schäuble, oppure faranno breccia le indicazioni in arrivo da industriali e sindacati che chiedono un cambio di rotta nella spesa pubblica? L’istituto Iw, vicino al padronato e l’Imk, di espressione sindacale, hanno puntato entrambi l’attenzione sul ritardo della spesa pubblica in infrastrutture, quantificato in 450 miliardi di euro, tanti quanti sarebbero necessari sia per ammodernare il Paese che, soprattutto, per rafforzare le difese contro il peggioramento del clima evidenziato dalle rovinose piogge della scorsa estate. 

Di qui, per la prima volta, la sfida all’egemonia ideologica dell’ordoliberismo ed alla politica dell’austerità culminata del fiscal compact. S’incrina così un altro Muro di Berlino, cementato dalla filosofia di Werner Sinn, il presidente dell’Ifo che per anni ha dettato la linea conservatrice di buona parte della stampa tedesca, azionando il bazooka contro il “nemico” Mario Draghi e le cicale del Sud Europa, a stento tenute a bada da Jens Weidmann alla Bundesbank. Ma si moltiplicano le voci fuori dal coro, come quella di Philippa Sigl-Glöckner, 31 anni da Monaco, un curriculum impressionante: studi ad Oxford, arruolata da una banca d’affari a Londra, poi alla World Bank prima di tornare in Germania al ministero delle Finanze. Perché? “Quando lavoravo sulla Liberia per conto della Banca Mondiale – ha dichiarato a Le Monde – ho potuto toccare con mano gli effetti catastrofici delle politiche di bilancio impostate sull’austerità. Negli stessi anni le stesse ricette sbagliate venivano imposte alla Grecia ed al resto dell’area euro. Ho avuto la sensazione che si stesse facendo l’esatto opposto di quanto ci ha insegnato in questi anni la macroeconomia moderna. E questo mi ha convinto a rientrare a Berlino”, dove oggi lavora alla segreteria di Wolfgang Schmidt, il braccio destro del candidato socialdemocratico Olaf Scholz.  

 Un’altra testa d’uovo ben inserita al ministero delle Finanze è Moritz Schularick, 46 anni, docente a Bonn, cresciuto a Cambridge ed alla New York University. A lui si deve un libro dal titolo “Lo Stato disincantato: quel che la Germania deve imparare dalla pandemia”, un atto d’accusa tanto pacato quanto preoccupato. “L’emergenza ci ha fatto capire quanto siamo inadeguati, sia sul piano della prevenzione che sui mezzi a disposizione per una risposta adeguata”. Difetti di governance, mancato coordinamento Stato/Regioni, ritardi nel digitale, lacune nella produzione di vaccini e, soprattutto, mancanza di dialogo tra scienziati e macchina pubblica che si è tradotta in una incapacità ad assumere i rischi necessari. “Lo Stato vuole evitare di correre rischi, perciò non assume decisioni”.   Ma così si perde in efficacia. Bisogna ripensare il ruolo dello Stato, insomma, e dotarlo dei mezzi necessari ad agire. E se non ora quando, visti i tassi di interesse negativi? Anzi, sfruttando la ripresa dell’inflazione si può pensare ad una serie di strumenti in linea con i bond verdi per attrarre l’enorme liquidità che si è accumulata nei portafogli.    

Parole quasi inedite a Nord delle Alpi ma che riecheggiano temi noti dalle nostre parti. Non a caso. “Il rinnovamento del pensiero economico tedesco nasce da una generazione che ha fatto carriera negli Usa ed oggi torna in patria“ sostiene Adam Tooze, professore alla Columbia di storia economica. “E’ qualcosa che ho già visto con l’Italia: tanta gente passata per Mit oggi si ritrova nello staff di Mario Draghi. In Germania il fenomeno è appena cominciato ma proseguirà”. Certo, i sacerdoti dell’austerità sono ancora i più forti. Ma i Draghi boys da Francoforte fanno rotta verso Berlino.

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