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Destra e Sinistra sono sempre più concetti del passato ma l’Italia non se ne accorge

Destra e Sinistra sono sempre più concetti obsoleti: il mondo se n’è accorto e ha cambiato i punti di riferimento ma l’Italia no – Il problema vero è come conciliare Stato e mercato.

Destra e Sinistra sono sempre più concetti del passato ma l’Italia non se ne accorge

Bompiani, nel 1982, pubblica gli atti di un convegno svoltosi a Roma nell’ottobre del 1981, con un titolo netto: “Il concetto di sinistra”. Nella relazione di Massimo Cacciari (Sinisteritas) viene proposto un radicale interrogativo: come ridefinire la sinistra ma se abbia ancora senso volerlo fare. Molti dei partecipanti criticano l’identificazione della sinistra con la cultura marxista, Flores d’Arcais è netto: “Non si compie alcun arbitrio nell’interpretare il concetto di sinistra come stenogramma di libertà, uguaglianza, fratellanza”. Lo stenogramma deriva da una combinazione tra “emozioni” ed “una collezione di valori” che “si accompagnano storicamente”. Comincia con la rievocazione di questi eventi un memorabile libretto, ristampato da Donzelli per oltre quindici anni, di Norberto Bobbio: edito nei primi anni novanta. La quarta ristampa è del 1994 ma se ne contano fino al 2004. Il titolo è asciutto: Destra e Sinistra, ragioni e significati di una distinzione politica.

Dieci anni dopo il volume di Bompiani le persone che discutono e le categorie della discussione sono le medesime. La domanda che dobbiamo porci, trenta anni dopo il volume di Bompiani, e venti anni dopo la ricostruzione di Bobbio, è semplice: come mai i termini di questa interpretazione, e le ragioni per porsi la domanda, siano ancora fondati sulle medesime affermazioni e descritte dalle stesse persone di allora? Di destra e sinistra si discute nel mondo, evidentemente, ma solo in Italia, se confrontate i temi e le persone che li esprimono, ritrovate queste identità come cardini immobili. Negli anni ottanta svoltava la politica, con l’irruzione di Craxi sulla scena, la frantumazione del compromesso storico e le macerie lasciate dal terrorismo. Nel 1992 la crisi travolge Craxi e la sua stagione. Ma anche l’economia italiana. Il debito pubblico sfora anche allora il 120% del pil e lo spread sale ancora più in alto degli ottocento punti base che abbiamo toccato nel trapasso tra Berlusconi e Monti. Il debito crolla sotto 100, dopo la crisi del 1992, grazie alla politica delle privatizzazioni (gestita da Mario Draghi al Tesoro) ma si riprende progressivamente, e non solo per la prima crisi del mercato finanziario globale, perché, dal Giolittismo che precedette il fascismo, i partiti italiani, di sinistra o di destra, con poche eccezioni ed in casi molto isolati e sporadici, preferiscono aumentare tasse e spesa pubblica invece di contenere la pressione fiscale e la dimensione dei prelievi contributivi pubblici sui salari dei lavoratori dipendenti. Le ultime manovre di correzione non sfuggono a questo approccio sistemico. Con il risultato che la pressione fiscale, e la inconsistenza dei risultati della spesa pubblica, gonfiano il debito dello Stato e deprimono il reddito del paese.

Viene voglia, allora, di ribaltare la domanda trasformandola in una risposta, una spiegazione. Perché si parla di destra e sinistra nei medesimi termini dopo trenta anni? Questa dicotomia non è altro che una fenomenologia: solo una circostanza, che spiega come l’Italia, checché se ne dica, sia rimasta immobile, sul terreno della politica e dell’economia, per tre decenni. Ma, guardando con attenzione la dinamica di questi tre decenni, si percepisce una circostanza ancora più tragica: forse siamo rimasti immobili proprio perché non abbiamo mai fatto i conti con questa dicotomia: destra o sinistra? Ci siamo adeguati ad una mappa obsoleta: una carta geografica che non indica più il territorio sul quale mettere i piedi e viaggiare. Destra e Sinistra nascono con la rivoluzione francese ed indicano solo la geometria dei posti nell’assemblea della neonata democrazia: a destra del presidente i conservatori ed a sinistra i rivoluzionari. Nella geografia della religione alla destra del padre stavano i buoni, gli eletti. I rivoluzionari, dice Bobbio, contestano la religione ed invertono la mappa: i buoni sono a sinistra. Ma larga parte della crescita italiana ed europea si deve ad una politica di destra. Dal welfare dell’impero austroungarico alle infrastrutture piemontesi di Cavour. Alla svolta liberale di De gasperi ed Einaudi. L’etica del comportamento, insomma, non corrisponde univocamente alla mappa della politica dopo la rivoluzione francese: Destra e Sinistra. Checché ne dica la Sinistra. E nonostante anche la Destra non sia sempre efficace nei risultati ed equilibrata nei comportamenti.

La mappa, in fondo, dice una cosa più semplice: da una parte la tutela degli interessi costituiti e dall’altra la spinta propulsiva del cambiamento. Del marxismo in prima battuta e del positivismo, e del socialismo della cattedra, quando la sinistra si divide. Come farà sempre, dall’ottocento in poi. Per un motivo banale, che la scienza contemporanea ha scoperto da tempo. Il cambiamento non è mai adattivo. Non esiste un percorso lineare dal passato al futuro che passa per il presente. Ogni cambiamento si costruisce la propria strada e, di conseguenza, conduce in un luogo che ha una identità perché quella identità è stata immaginata, e realizzata, da chi ha guidato il tragitto e ne ha governato il percorso. Le conoscenze di ieri diventano credenze quando si affermano le nuove conoscenze. Se parliamo della natura. Gli assetti dell’economia e della politica si combinano reciprocamente. Non esiste una economia di mercato che possa fare a meno della democrazia e non esiste una democrazia che possa concedere la massima libertà ai componenti di una società aperta se non si fonda sulla libertà economica e la libera iniziativa. Dani Rodrik dice, giustamente, che le istituzioni contano più della geografia nella determinazione dei vantaggi competitivi, che orientano il futuro di una nazione. E ricorda agli europei che gli stati nazione, che essi sottovalutano ed intendono superare, sono quello che rimane della rivoluzione francese. Ma che con essi, gli stati nazione, ed attraverso essi, si deve trovare un nuovo equilibrio per il mondo e non solo per l’Europa. Un equilibrio che Rodrik fonda su una metafora illuminante. I mercati sono l’essenza della economia di mercato come il limone è l’essenza della limonata. Ma se bevete solo succo di limone vi accorgete che è appena potabile, e certo non è gradevole. Mentre se allungate il succo di limone con zucchero ed acqua la cosa migliora. Ma se mettete troppa acqua, o troppo zucchero, rovinate la limonata. I Governi devono aggiungere acqua e zucchero al succo di limone. Ma i mercati, il succo di limone, sono necessari perché ci sia la limonata e non una brodaglia sgradevole. Sbagliano i liberisti ad oltranza, quelli che pensano che lo Stato di debba solo fare da parte: salvo quando danno l’assalto alle casse dello Stato e non pagano le tasse. Sbagliano quelli che credono nella retorica dell’intervento pubblico come panacea.

Quando la politica italiana discute di economia sia la Destra che la Sinistra poco gradiscono l’idea di far convivere reciprocamente la gerarchia e lo scambio, le istituzioni pubbliche ed il mercato. La tentazione di assorbire tasse ed imposte per distribuire “meglio” (?) gli effetti dell’equità e dell’uguaglianza è forte: ma il tubo che porta l’acqua dai ricchi ai poveri è pieno di buchi. E quelli che stanno intorno ai tubi prelevano acqua prima che essa possa arrivare ai poveri. Insomma, l’Italia è rimasta ferma, nella sua crescita economica, e rigida nella sua composizione sociale: perché parla ancora, ed in termini troppo datati, di Destra e Sinistra. Se costruite una tabella di quattro caselle dove indicate la intensità della libertà e quella della uguaglianza si vede facilmente che dove non esiste libertà ci sono Stati invadenti che condannano alla miseria, ed al servaggio, la popolazione che amministrano. Con più o meno lungimiranza. Ma solo dove c’è libertà ci possono essere varie forme di uguaglianza. Dove prevale lo Stato minimo, il laissez faire, è facile che ci sia disuguaglianza. Perché la vera uguaglianza la fanno i beni pubblici e non la redistribuzione fiscale del reddito od il finanziamento pubblico dalla culla alla tomba di chi non ha redditi adeguati. Il prelievo fiscale non è lo strumento per liberare dal bisogno coloro che devono misurarsi con i mercati.

Se li vuoi liberare dalla malattia serve una offerta di cure mediche; se li vuoi liberare dall’ignoranza serve l’offerta di conoscenza e se li vuoi liberare dallo spettro della disoccupazione serve far crescere la torta dell’economia, serve che qualcuno produca, gli occupati, e sia messo in grado di consumare, con il salario che riceve per il suo lavoro. Se vuoi uomini liberi dal bisogno devi creare beni “pubblici”. Pubblici perché includono gli attori e non perché li debbano produrre le burocrazie statali. Ci sarà un motivo se l’economia monetaria di produzione, che è un nome più intelligente per parlare di economia di mercato, funziona grazie ad un bene pubblico, la moneta, e genera una crescita più sostenuta quando Governi, banche centrali, banche ed imprese, grazie alla moneta, alimentano gli scambi e creano la crescita. E ci sarà un motivo per il quale economie, troppo pianificate e gestite da una burocrazia diffusa ed arrogante, perché protetta da una politica dispotica, crescono meno, spesso implodo, e, se e quando funzionano, governano con tratto autoritario ed esportano piuttosto che alimentare il consumo interno della popolazione .

Il fatto è che l’Italia ha perso davvero venti anni, forse anche trenta, e si trova oggi, nel 2012 come nel 1992. Avendo ricreato sinistra e destra nella mappa geografica delle assemblee ma avendo smarrito cosa indicavano le parole disegnate su quella mappa: quali fossero i contenuti di quelle parole che sono solo simboli. Simboli che evocano altre parole, molte delle quali sono diventate obsolete mentre il resto del mondo impara sempre meglio come usare l’economia monetaria di produzione o, se preferite, l’economia di mercato. Non parla opponendo le categorie – Stato o Mercato – ma costringendo quello che esse rappresentano a cooperare, Stato e Mercato. Rimbocchiamoci le maniche, guardiamo il resto del mondo come una scommessa alla quale partecipare anche noi e lasciamo destra e sinistra ai libri di storia. Imparando dalla storia degli ultimi tre decenni dove siano avvenuti cambiamenti positivi che noi, guardando solo in nostro ombelico, abbiamo scrupolosamente evitato di sperimentare. Lasciando progressivamente andare in malora le nostre imprese, le nostre istituzioni pubbliche, i servizi essenziali, le infrastrutture e l’ambiente naturale. Governati con bipolare alternanza sia dalla destra che dalla sinistra, artificialmente create, entrambe, da alleanze per vincere le elezioni che diventavano, subito dopo, risse per perdere il controllo del Governo.  

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