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Covid-19 è in ritirata ma l’Italia deve ritrovare fiducia

VIDEO – Proclamare la vittoria nella guerra contro il virus non solo è corretto sul piano sanitario e clinico ma è doveroso per tornare alla normalità nella società e nell’economia. Altrimenti ci ammaleremmo di depressione economica

Covid-19 è in ritirata ma l’Italia deve ritrovare fiducia

La fine di una guerra nella quale il nemico è stato debellato è coronata dalla proclamazione della vittoria. E ci sono marce di trionfo, folle giubilanti, slanci vitali. Oggi che il SARS-Cov 2 è in netta ritirata, non sta accadendo lo stesso e ci si comporta come se fosse finita solo una cruenta battaglia e altre ci attendano. Con il risultato che società ed economia rimangono imbrigliate e la salute rischia di essere nuovamente minata dalla povertà.

Ricapitoliamo le vicende. Economia e salute si sono intrecciate indissolubilmente in questi lunghi e tragici mesi. Primum vivere in un significato ancora più basilare di quello contenuto nel detto latino: che senso ha produrre e consumare se questo rischia di portare alla morte milioni di persone? Dunque: lockdown.

Ma è ancora così? In Svezia l’epidemia ha preso una piega inattesa per chi aveva predicato una terza via tra il lockdown e l’immunità di gregge del primo Boris Johnson (quello che alla Regina disse: “Prepariamoci a perdere molti cari”). Il virologo Anders Tegnell, profeta di quella terza via, riconosce con il senno di poi che sarebbe stato meglio aumentare di più la distanza fisica ed evitare morti che, in rapporto alla popolazione, puntano a livelli italiani.

E in Italia? Da noi la chiusura è finita, ma la normalità è lontana, perché, come detto prima, incombe lo spettro di nuovi focolai. Ma sarebbero davvero esiziali, come si teme? Avanziamo una certezza e un’ipotesi. La certezza è che la prossima volta non sarà come la prima. L’ipotesi è che abbiamo affilato armi ancoa non finali ancora, ma abbastanza potenti da tenere a bada il micidiale virus.

Certezza e ipotesi sono legate a doppio filo. Se il prossimo focolaio, se verrà e quando verrà (come cantava Jannacci), potrà essere derubricato da emergenza sanitaria a infezione da monitorare con attenzione, lo si deve al fatto che abbiamo iniziato a capire alcune cose sul trattamento precoce degli infetti, ci siamo attrezzati con i tamponi, abbiamo messo a punto alcune terapie per i più gravi, abbassando la mortalità.

Il duro distanziamento fisico ci ha consentito di tenere a bada il virus mentre imparavamo a combatterlo. Ora è sufficiente un uso diffuso della mascherina per far crollare la trasmissione e tra un po’ potrebbe anche questo accorgimento potrebbe diventare superfluo..

Ora occorre iniettare fiducia ed esorcizzare lo spettro di una seconda ondata epidemica, per evitare che ora i danni economici non siano tali da far sì che si realizzi la profezia “ne uccise più la fame”. Come esorcizzarlo? Avendo il coraggio di proclamare la vittoria. Su quali basi?

L’Italia, tra le nazioni occidentali, è stata la prima ad essere flagellata dal virus e ha dato agli altri paesi esempi di cosa fare o non-fare. E qui, prima che altrove, stanno emergendo nuove importanti evidenze sanitarie. Nelle ultime settimane molti clinici degli ospedali del Nord affermano che la realtà è mutata. Ha cominciato Giuseppe Remuzzi del Negri di Bergamo, seguito da Arnaldo Caruso degli Spedali Civili di Brescia, poi da Matteo Bassetti del Policlinico di Genova, quindi da Alberto Zangrillo del San Raffaele ed infine da Sergio Harari della San Giuseppe di Milano. Tutta gente che, per quanto ha fatto in questo periodo, non può certo essere tacciata di alcun negazionismo. E la cui tesi nulla ha da spartire con posizioni negazioniste.

La tesi – riportiamola bene – è che l’evidenza clinica è radicalmente mutata. Riconoscono che non sanno ancor ben spiegare il perché, e questo è un aspetto importante da tenere presente, ma non vi è dubbio che una cesura sia avvenuta. E che la cesura sia avvenuta nonostante l’allentamento del lockdown.

E’ una tesi che, come direbbe Popper, può essere falsificabile, cioè confutabile con evidenze contrarie. In altre parole, non è una semplice opinione, il famoso parere dell’altrettanto famoso esperto, dedito più ai talk show che al lavoro di ricerca scientifica.. E’ un’evidenza che si basa sui numeri. Quali? Ma non i numeri che ci dicono se sono o meno cessati i contagi – aspetto comunque importante – ma piuttosto quelli che possono confermarci o meno se quegli stessi contagi si trasformano in casi critici, da terpaia intensiva, che sfociano molto spesso nel decesso.

I dati che occorrono per valutare lo stato del conflitto contro il virus non sono quelli che finora la Protezione civile diffonde. Sono invece gli stessi dati che Luciano Gattinoni, uno dei più quotati intensivisti al mondo, ci invita a guardare. Si tratta dei nuovi casi di terapie intensive, semintensive e comunque di ricovero ospedaliero.

Attenzione: non si tratta del saldo giornaliero delle terapie intensive, che risente di quanti sono entrati e quanti usciti, confondendo il segnale, ma unicamente dei nuovi casi. E se su questi nuovi casi avessimo degli zeri perduranti per giorni e giorni? Forse qualcuno si sentirebbe vedovo del Covid-19?

Se questa evidenza fosse confermata, va comunicata con forza. Perchè se anche il contagio proseguisse, non sarebbe più un incubo e il pericolo andrebbe derubricato. Così riusciremmo ad infondere negli italiani prima, e nei cittadini di altri paesi poi, la fiducia, smettendo di temere il peggio e guardando con più serenità al futuro.

Altrimenti il rischio è che la guerra al Covid-19 non conosca un dopoguerra, ma un periodo di prolungata depressione sociale ed economica.

Il messaggio subliminale, che rappresenta ormai un connotato stabile – come avrebbe detto Foucault – della quotidiana pastorale sanitaria, è che stando tutti a casa l’abbiamo scampata, ma il nemico è in agguato e sta solo aspettando i primi freddi per attaccare di nuovo.

Parafrasando Pascal, conviene scommettere e credere in un futuro migliore. E futuro migliore sarà.

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