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Congo apre concessioni petrolifere nel Parco di Virunga: disastro ecologico e sterminio dei gorilla in arrivo

Lo Stato africano ha deciso di mettere all’asta le concessioni nell’Eden del basso fiume Congo. Le promesse del Cop26 disattese e non un dollaro è arrivato a destinazione

Congo apre concessioni petrolifere nel Parco di Virunga: disastro ecologico e sterminio dei gorilla in arrivo

Attenti al gorilla, cantava Fabrizio De André (e prima di lui George Brassens). Oggi, in piena crisi dell’energia, il monito rischia di essere più che mai attuale. La Repubblica Democratica del Congo, infatti, ha deciso lunedì di mettere all’asta i diritti per le concessioni petrolifere nel bacino del fiume Congo, compreso il parco nazionale di Virunga, l’area popolata dai gorilla, nel cuore di una foresta seconda per dimensioni solo all’Amazzonia.

In Congo un disastro ecologico annunciato

Si profila così un disastro ecologico annunciato: andranno infatti all’asta 30 licenze (27 per il petrolio, 3 per il gas) che, al di là delle rassicurazioni di rito, sconvolgeranno l’ecosistema della zona dei Grandi Laghi. Un delitto che, per ora, spaventa pure le compagnie petrolifere. Nessuna Big Oil, per ora, ha avanzato una proposta, ma è inutile farsi illusioni. O prendersela con il Congo, uno dei Paesi più poveri del mondo, già vittima di una delle dominazioni coloniali più crudeli e rapaci, seguita da mezzo secolo abbondante di guerre civili alimentate da interessi stranieri. 

Pochi mesi fa, in occasione della Conferenza mondiale sull’ambiente di Glasgow, il presidente della Rdc, Félix Tshisekedi, aveva raggiunto un accordo con i Paesi più ricchi: 500 milioni di dollari all’anno per 10 anni in cambio dell’impegno a preservare il bacino del basso Congo, comunque già al centro degli investimenti delle multinazionali e della Cina per l’estrazione di cobalto e litio, preziosi per la produzione di batterie elettriche e di altri investimenti per la transizione energetica. Ma tante cose sono cambiate dai giorni della conferenza di Glasgow ad oggi. In peggio. Il conflitto in Ucraina, innanzitutto, ha fatto saltare gli equilibri nel mondo dell’energia, a partire dal ricatto russo sul gas. Di riflesso sono cambiati i termini economici e politici dell’accordo. Ma, quel che è peggio, finora il governo di Kinshasa non ha ricevuto un solo dollaro. Si profila così una possibile presa in giro, in linea con il precedente dell’Ecuador. Nel 2007 l’allora presidente Rafael Correa aveva rinunciato allo sfruttamento dei giacimenti di Yasuni Park in cambio di investimenti per 3,6 miliardi di dollari. Ma l’accordo è decaduto nel 2010 dopo che nelle casse dello Stato sudamericano erano arrivati solo le briciole: 13 milioni di dollari. 

Dal petrolio 32 miliardi di royalties

Di qui la tentazione del governo di puntare sul petrolio che, secondo le stime, potrebbe garantire 32 miliardi di royalties, più della metù delle entrate attuali del Paese. Nonostante i quasi certi danni ambientali, e l’ostilità degli abitanti che, ammaestrati dai drammi nelle miniere, non si fanno troppe illusioni: il boom dl petrolio non ha migliorato le condizioni di vita in Nigeria, Angola o nella Guinea Equatoriale dove la maggior parte della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Ma il presidente Tsishekedi ribatte che i proventi del greggio permetteranno di tutelare una parte del territorio. L’anno prossimo, poi, ci sono le elezioni: il governo teme un ritorno dell’ex dittatore Kabila, che può contare sul sostegno delle numerose milizie mercenarie alimentate da interessi vari. 

Insomma, la miscela perversa innescata dalla guerra in Ucraina, combinata con la crisi del gas e l’aria di recessione, rischia di spalancare le porte allo sterminio dei poveri ed incolpevoli gorilla, oltre a segnare un nuovo passaggio verso il disastro ambientale. Qualcosa di più drammatico della penuria di gas.

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