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Confindustria: Vacchi e Boccia, fuori i programmi

Sulla corsa alla presidenza della Confindustria hanno avuto ragione i bookmakers londinesi: è un testa a testa tra Vacchi, per il quale parlano i numeri della sua Ima, e Boccia, che rappresenta il meglio dell’imprenditoria meridionale – Ora però i due candidati devono presentare programmi convincenti – La fede cieca nel bluff di D’Amato ha invece spiazzato il bresciano Bonometti mentre la romanità ha penalizzato Regina

Prima ancora dei Saggi sono stati i bookmaker londinesi a definire, nelle scommesse, la corsa alla presidenza della Confindustria. In testa hanno messo Alberto Vacchi e Vincenzo Boccia, a distanza Aurelio Regina e molto indietro, quasi di sei volte la posta, Marco Bonometti. Le proiezioni si sono confermate nei fatti. Gli incontri con gli imprenditori a Napoli e a Torino hanno confermato il “testa a testa” e il Triveneto, con un leggero vantaggio per Alberto Vacchi, ha preferenziato molto anche il candidato meridionale che può, ora, mettere una forte ipoteca sulla Presidenza. Al Consiglio del 17 marzo i candidati che hanno superato il 20% dei consensi dovranno esporre il loro programma operativo per convincere l’Assemblea nella conferma del consenso e di porre le premesse di una ricucitura associativa che da questa “campagna elettorale” non è certamente uscita né forte né trasparente.

Aurelio Regina ha pagato il clima generale che avvolge negativamente Roma e i romani, lasciando sul terreno le velleità di una Regione imprenditoriale che, dai tempi di Luigi Abete, convive e favorisce tutto ciò che la Capitale esprime nel bene e nel male, in politica e in economia.

Marco Bonometti dovrà pur chiedersi le ragioni di un risultato negativo su tutti i fronti. Partito sin dall’autunno scorso nella corsa del dopo-Squinzi, dopo aver ripetutamente minimizzato il problema delle alleanze e del consenso articolato ( non faccio alleanze con nessuno. Non cerco poltrone. Lascio il voto di scambio alla politica) e liquidato con poco stile un collega di valore come Boccia (per me non è un problema) finisce per raccogliere intorno a sé la sola sua associazione, quella di Brescia, rimasta isolata in Lombardia, senza alcun peso nel Nord e confidente cieca nell’asserito patronage di Antonio D’Amato, dimostratosi alla fine un classico “pacco” per l’incredulo bresciano.

Gli è venuto a mancare persino un sostegno prolungato e di spessore da parte dei maggiori imprenditori di Brescia che hanno limitato gli auspici di successo al piombo della sola stampa locale e, nel tempo, solo all’inizio della partita. Nemmeno i sei industriali bresciani che siedono da anni ai vertici di Confindustria hanno saputo tessere una rete in grado di sostenerne la candidatura: anche loro zitti e defilati, totalmente assenti dalla stampa nazionale e dalla presenza mirata nel sistema. Solo i morti come Guido Carli e Luigi Lucchini sono stati tirati in ballo quali “progenitori” della candidatura di Marco Bonometti. Una forzatura inutile e controproducente per quanti hanno conosciuto le due personalità e la loro storia. Anche il carattere spigoloso ed ondivago di Marco Bonometti non lo ha certamente aiutato ma i suoi molti consiglieri di Corte dovevano essere all’altezza della sfida per garantire un risultato che rendesse onore almeno alla generosità sociale del personaggio e ai risultati “grandi” della sua OMR.

Vincenzo Boccia ha meritato il consenso che lo ripaga del lungo servizio al sistema, di una competenza come pochi sulla vita e le vicende confindustriali, di una concretezza che riporta in primo piano l’imprenditoria meridionale. Di Alberto Vacchi hanno parlato, convincendo un po’ tutti, i risultati delle sue aziende e le frontiere internazionali della sua IMA. Cosi attendiamo lo “sparring”tra i due non per la vittoria dell’uno sull’altro ma per le idee che sapranno metter in campo, i nodi interni al sistema che sono pronti a tagliare di netto, il futuro dell’editoria confindustriale assai appetita soprattutto dopo le vicende della Stampa e di Repubblica.

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