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Concorrenza, la legge annuale è un assalto alla diligenza

Più che aprire nuovi spazi di mercato il provvedimento in discussione in Parlamento segna il triste trionfo delle corporazioni ma anche l’inadeguatezza della legge annuale sulla concorrenza – Sarebbe meglio puntare su poche norme o su qualche delegificazione

Concorrenza, la legge annuale è un assalto alla diligenza

Dal 2009, la relazione annuale e le segnalazioni dell’Autorità antitrust dovrebbero rappresentare la base per la predisposizione, da parte del Governo, del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza (art. 47, legge 23 luglio 2009, n. 99). Legge annuale che dovrebbe perseguire l’obiettivo “di rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo o amministrativo, all’apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza e di garantire la tutela dei consumatori”. Legge annuale che annuale non è stata: dal 2009 non se n’è vista una (salvo il decreto legge 1/2012 del governo Monti che includeva però disposizioni di vario tipo e la cui implementazione non risulta del tutto completata) fino al 3 aprile del 2015 quando quella che è all’esame del Senato (dallo scorso novembre) è stata presentata alla Camera. Di annuale la legge sulla concorrenza ha per ora i tempi di approvazione. E le cronache economiche informano che “ha perso pezzi”.

Per la verità quell’articolo 47 (il numero evoca il titolo di un noto film di Totò che per l’occasione potrebbe essere adattato facendolo precedere dalla parola “concorrenza”) che ha istituito la legge sulla concorrenza, sembra scritto da qualche marziano. Il parlamento, come è giusto che sia, è il luogo di rappresentanza degli interessi; ma i partiti, sempre più liquidi, ben poco riescono a mediarli, a filtrarli, ad esercitare il ruolo di gatekeepers delle politiche pubbliche. Così le famose corporazioni, passando per qualche parlamentare, hanno diretto accesso all’aula e lì si creano alleanze trasversali: io voto l’emendamento contro la tale liberalizzazione se tu voti l’emendamento contro la liberalizzazione tal altra. Così le corporazioni riescono a sottrarsi ai colpi inferti a loro danno.

Quell’articolo 47 sembra invece scritto da chi aveva in mente un Parlamento di eletti che pensano al bene comune: si distingue tra norme di immediata (sic) applicazione, leggi delega, autorizzazione all’emanazione di decreti ministeriali (perché poi il Parlamento dovrebbe autorizzare i decreti ministeriali?). E ci dovrebbe essere anche lo stato di attuazione degli interventi previsti nelle precedenti leggi per il mercato e la concorrenza, indicando gli effetti che ne sono derivati per i cittadini, le imprese e la pubblica amministrazione. Non si può non riservare un sorriso amaro per questo legislatore utopista del 2009.

Chi, come Confindustria, coltivava la speranza che le diverse constituencies volta per volta “incise” avrebbero avuto “la percezione di una chiara direzione di marcia intrapresa dal Legislatore e non avrebbero avvertito il sacrificio imposto ai rispettivi diritti o privilegi come un intervento unilaterale e immotivato”, si è sbagliato di grosso. E’ successo esattamente l’opposto: la legge sulla concorrenza, come una carovana in partibus infidelium, viene attaccata contemporaneamente da vari parlamentari che sembrano vedere più il consenso che la mano invisibile del mercato. Il governo non ha sempre presidiato a dovere e la lettera dei riformisti Pd dello scorso gennaio che indicava la concorrenza tra le priorità non deve stare proprio tra le carte che il governo tiene in evidenza.

A questo punto si dovrebbe fare una riflessione proprio sulla validità dello strumento che quell’utopista (a pensar bene) del legislatore del 2009 ha partorito. E’ evidente che una legge all’anno sulla concorrenza, dai propositi così ampi, il Parlamento non riesce ad approvarla. Ci vorrebbero poche norme, che dovrebbero evitare di ampliare gli spazi di intervento della legge (mi rimane ad esempio misterioso perché debba essere il Parlamento a decidere su come debba essere gestito il passaggio dai clienti in maggior tutela al mercato libero per la vendita di energia elettrica o su come si devono determinare i prezzi delle polizze assicurative); piuttosto sarebbe auspicabile qualche delegificazione. E quelle poche norme dovrebbero essere approvate entro una data fissa, su cui il governo dovrebbe chiedere la fiducia (anche se non c’è da farsi l’illusione che quella data venga sempre rispettata). Non sono tempi di lenzuolate ma almeno un fazzoletto si potrebbe provare a portarlo a casa.

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