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Brasile: Bolsonaro e Covid-19, due mine per l’Amazzonia

Nel Paese sudamericano non è solo l’epidemia da Covid-19 a crescere a ritmi frenetici: anche il disboscamento del polmone del mondo procede, approfittando delle attenzioni mediatiche tutte rivolte al virus. Nel 2020 sarà disboscata un’area pari a quella della Campania. Il Governo lascia fare: pochi controlli e sanzioni condonate.

Brasile: Bolsonaro e Covid-19, due mine per l’Amazzonia

Tra gli effetti negativi della pandemia del coronavirus non bisogna purtroppo dimenticare anche l’aumento incontrollato della deforestazione in Amazzonia. Ad aprile la superficie di foresta vergine disboscata in territorio brasiliano (cioè nel 60% della superficie totale) è cresciuta del 171% rispetto all’anno scorso, secondo l’Istituto dell’Uomo e dell’Ambiente dell’Amazzonia (Imazon). Il dato è il più alto degli ultimi dieci anni.

Di questo passo nel 2020 scompariranno 14mila kmq di foresta, un’area estesa circa quanto quella della regione Campania. Un aggravamento perfino in confronto al 2019, primo anno del governo Bolsonaro, quando il disboscamento raggiunse i 9.165 kmq, un’area cioè grande quanto l’Umbria. L’aumento fu già allora dell’85% rispetto all’anno precedente, secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Ricerche Spaziali (Inpe).

Bolsonaro d’altronde non ha mai nascosto l’intenzione di sfruttare economicamente le ricchezze naturali della foresta amazzonica, attraverso la minerazione e l’agricoltura intensiva, politiche che mettono a rischio non solo l’ecosistema, ma anche le comunità indigene. “Dove ci sono le riserve indigene, c’è ricchezza sottoterra”, aveva detto l’allora candidato presidente in campagna elettorale nel 2018.

Quando è diventato presidente Bolsonaro ha promesso che non concederà nemmeno “un centimetro” in più di terre alle comunità indigene: “L’indio non può rimanere nelle propria terra come un essere umano preistorico”. Affermazioni che contrastano con la Costituzione brasiliana che riconosce i diritti dei popoli tradizionali di perseguire i propri modi di vita e la salvaguarda delle loro terre.

L’atteggiamento connivente del governo ha di fatto spianato la strada alle motoseghe e ai minatori illegali. Multe e controlli sono crollati nel primo anno di governo e anche gli incarichi ai vertici degli organismi ambientali sono stati lottizzati per far posto a uomini di fiducia e dell’esercito.

La distruzione di ruspe, trattori e camion usati per compiere i reati ambientali – una forma efficace nella lotta alla devastazione forestale perché interrompe il danno ambientale e causa perdite economiche ai criminali – sono dimezzate nel 2019, secondo quanto rivelato dal sito d’inchiesta The Intercept.

D’altronde il 22 aprile scorso il ministro dell’Ambiente Ricardo Salles lo ha detto chiaramente: “Abbiamo bisogno di uno sforzo in questo momento di calma per quanto riguarda l’attenzione dei media, che parlano solo di Covid, e andare avanti e cambiare le regole e semplificare le norme”. E ancora: “Non abbiamo bisogno del Congresso. Perché le cose che hanno bisogno del Congresso, con il casino che c’è là, non riusciamo a farle approvare”. Le frasi, pronunciate in un Consiglio dei ministri e registrate dalle telecamere, venerdì sono finite su tutti i telegiornali brasiliani e hanno sollevato un polverone.

Ma non fanno che rafforzare le simpatie e l’appoggio al governo nel Congresso da parte della cosiddetta “bancada ruralista”, gruppo trasversale di 200 parlamentari che storicamente difende gli interessi dei proprietari terrieri contro le politiche ambientali.

La blanda risposta di Bolsonaro agli incendi che devastarono la foresta amazzonica nel 2019, sollevando le proteste internazionali, erano già stati un chiaro segnale delle intenzioni del governo che spinge tra l’altro per l’approvazione in Parlamento di un condono per chi occupa illegalmente terre pubbliche.

Una sanatoria di questo tipo era già stata approvata dal precedente governo Temer, ma riguardava le appropriazioni commesse fino al 2011. Bolsonaro vuole estendere il condono ai reati commessi fino al 2018 anche da medi e grandi proprietari terrieri.

Una legge definita “vergognosa” dagli ambientalisti. “È inammissibile che in mezzo al caos causato dalla pandemia, involuzioni ambientali siano all’ordine del giorno in Parlamento, mentre la partecipazione della società civile e le discussioni sono limitate”, accusa Luiza Lima, di Greenpeace.

Intanto preoccupa l’avanzata del coronavirus tra gli indios, che secondo l’ultimo censimento del 2010 sono 818mila divisi in 305 etnie. Il ministero della Salute ha registrato 34 morti e 695 contagi tra le popolazioni indigene, ma secondo un gruppo di ONG che operano sul territorio le vittime sarebbero 103. Tutto questo mentre nell’intero Paese si sono registrati 16.500 nuovi casi nelle ultime 24 ore.

La scarsa attenzione agli indios è emersa in maniera inequivocabile anche nella stessa riunione ministeriale finita su tutti i media quando il ministro dell’Istruzione Abraham Weintraub ha detto che odia l’espressione “popoli indigeni” e che non esistono popoli privilegiati. “Esiste solo un popolo. Può essere nero, bianco, giapponese, discendente degli indios, ma deve essere brasiliano”.

I danni ambientali si stanno rivelando in tutta la loro gravità visto che nemmeno la quarantena e le misure di isolamento sociale avranno effetti positivi sulle emissioni di CO2. Mentre nel resto del mondo calano in media del 6%, l’Osservatorio del Clima ha stimato in settimana che in Brasile l’aumento sarà del 20% rispetto agli ultimi dati disponibili del 2018.

Il tutto appunto al netto della riduzione delle emissioni nel settore dell’energia e della produzione industriale causate dalla pandemia. Secondo l’ente, che riunisce decine di associazioni ambientaliste, il motivo è proprio l’avanzata del disboscamento. Da 1,9 miliardi di tonnellate si passerà a 2,1/2,3 miliardi. In Amazzonia l’incremento sarà addirittura del 51%.

“L’accelerazione del disboscamento e delle emissioni dipendono direttamente dalle azioni del governo Bolsonaro di smontare i piani di controllo da un lato e stimolare i reati ambientali dall’altro”, accusa Marcio Astrini, dirigente dell’Osservatorio del Clima.

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