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BORSE CHIUSURA 3 GENNAIO – Per i mercati azionari il 2023 parte bene: Europa tutta in rialzo anche oggi

Piazza Affari è la Borsa migliore del Vecchio Continente: brillano Pirelli e le banche – Decisivo il calo dell’inflazione tedesca per il recupero dei listini

BORSE CHIUSURA 3 GENNAIO – Per i mercati azionari il 2023 parte bene: Europa tutta in rialzo anche oggi

I listini europei mantengono la buona intonazione della vigilia e chiudono la seconda seduta del 2023 in rialzo, benché lontano dai massimi toccati in giornata. A orientare le scelte hanno contribuito oggi positivamente i numeri dell’inflazione tedesca a dicembre, mentre l’andamento volatile di Wall Street ha frenato gli entusiasmi. La Borsa di New York, tornata agli scambi nella seduta odierna dopo le feste di Capodanno, è in rosso complice un dato deludente sul manifatturiero a dicembre. Pesa, inoltre, il crollo di Tesla (-13%), che non trova pace dopo le perdite 2022.

Piazza Affari si apprezza dell’1,15%, a 24.436 punti base, grazie agli acquisti nei titoli del settore auto (con le immatricolazioni salite a dicembre del 20,99% in Italia). Bene anche utility e banche. Perdono quota invece i titoli oil, in scia al calo dei prezzi del greggio.

Nel resto della zona euro sono leggermente più timide Parigi +0,44%, Francoforte +0,8%, Amsterdam +0,92%, Madrid +0,33%. Fuori dal blocco svettano Zurigo +2,23% e Londra +1,42%, che ieri sono rimaste chiuse. In particolare, nella City si distinguono i titoli delle major petrolifere come Bp +1,78% e Shell +1,71%. Il Ftse 100, nel corso della seduta, ha brevemente toccato il massimo da giugno 2022.

A livello macro, fa sperare gli europei la frenata dell’inflazione in Germania a dicembre, superiore alle attese degli analisti: +8,6% il dato preliminare annuo, -0,8% rispetto a novembre. Si tratta di un notevole rallentamento dal 10% di novembre e il +10,4% ad ottobre. Il 2022 si chiude con un tasso medio del 7,9%, che è circa quattro volte il target della Bce. 

Petrolio e gas in calo

Tra le materie prime si muovono in ribasso i future del petrolio, con le prospettive economiche mondiali che sembrano deteriorarsi secondo il Fondo Monetario Internazionale.

Oggi hanno deluso i dati sull’attività manifatturiera cinese, che si è ridotta a dicembre a causa dell’aumento delle infezioni da Covid-19. Questo ha interrotto la produzione e appesantito la domanda dopo che Pechino aveva in gran parte rimosso le restrizioni anti-Covid. L’indice PMI calcolato da Ihs markit per il gruppo Caixin, si è attestato a 49 punti il mese scorso, rispetto ai 49,4 punti di novembre, restando perciò sotto la linea di 50 che separa contrazione ed espansione. Da agosto questo indice è risultato costantemente in rosso.

In questo contesto il Brent perde l’1,73%, 84,42 dollari al barile; Wti -1,9%, 78,74 dollari al barile.

L’andamento è risultato negativo anche per i future del gas ad Amsterdam, che sono tornati circa ai livelli di dieci mesi fa, a 72,5 euro al megawattora.

In giornata Snam (+0,89%) ha comunicato che le scorte di gas naturale italiane negli stoccaggi sono all’84% circa rispetto al 68% di un anno fa: un dato che va letto in vista della nuova stagione di riempimento degli stoccaggi, quella che dovrà garantire all’Italia anche un inverno 2023-2024 senza preoccupazioni sulle forniture.

Mercato valutario: focus sullo yen

Sul mercato dei cambi l’euro arretra sul dollaro e tratta intorno a 1,056. Limita i guadagni della mattina lo yen, che tratta intorno a 130,8 contro dollaro dopo essere sceso sotto la soglia di 130, ai massimi da sette mesi. La valuta giapponese solletica gli appetiti dopo le pesanti perdite del 2022, in un contesto di banche centrali orientate a rialzare i tassi per frenare l’inflazione e con la BoJ in controtendenza. A dicembre però la BoJ ha sorpreso tutti allentando un po’ il suo stretto controllo sui rendimenti dei titoli giapponesi a 10 anni, per correggere alcune distorsioni del mercato. Da allora c’è chi scommette che l’istituto centrale giapponese inasprirà la sua politica monetaria nel 2023. Reuters scrive che Pictet ha una previsione dollaro/yen a fine anno di 125, che implica un aumento del valore dello yen del 4% rispetto ai livelli attuali.

Piazza Affari sgomma con Pirelli

Pioggia di acquisti oggi per Pirelli & C, che chiude con un progresso del 4,5% in un settore automotive ben intonato a livello europeo.

Si apprezzano Ferrari +0,64% e Stellantis +1,3%, quest’ultima sebbene le vendite di nuove auto siano aumentate solo del 3,49% a dicembre, quindi meno della media del mercato (20,99%).

Tra le migliori blue chip del giorno ci sono molte banche, con il mercato che scommette su una ripresa di aggregazioni nel settore. Il titolo migliore è Unicredit +3,45%, il cui presidente, Pier Carlo Padoan, sostiene che la scelta strategica dell’istituto è di tornare a puntare sull’Italia, pur continuando ad operare in un contesto europeo. Bene Banco Bpm +2,04% e Intesa +2,33%. Fuori dal Ftse Mib si sgonfia parzialmente Mps -1,88%, dopo i guadagni di ieri. Secondo fonti stampa Siena sta ipotizzando la cessione di un ramo d’azienda contenente da 500 a 800 filiali. Secondo Intesa questa scelta “potrebbe facilitare l’integrazione in un gruppo bancario e la creazione di un terzo polo, come recentemente indicato dalla premier Giorgia Meloni”.

Le utility si apprezzano a partire da Enel +2,5%. Bene l’industria con Interpump +2,15% e il risparmio gestito con Fineco +2,33% e Poste +1,95%. Ancora attraente Telecom +1,92%.

Tra i titoli più deboli ci sono i petroliferi: Tenaris -3,45%, Saipem -0,3%. Eni però sale dello 0,57%, con l’upgrade di Bernstein a ‘Outperform’ da ‘Market Perform’ e un target price rivisto a 20 da 18,5 euro.

Qualche presa di profitto zavorra Leonardo -0,63%.

Stabile lo spread, snobbando il FT

Chiude positivamente anche il mercato dei titoli di Stato, grazie al miglioramento dell’inflazione tedesca. Lo spread tra decennale italiano e tedesco è a 209 punti base (-0,79% e i tassi scendono rispettivamente +4,46% (da 4,55% di ieri) e +2,37% (da 2,45%).

La carta tricolore non risente, per ora, del fatto che nove economisti su dieci interpellati dal Financial Times hanno detto che l’Italia è il Paese dell’Eurozona che si ritroverà più esposto a una crisi del debito quando nei prossimi mesi la Banca Centrale Europea alzerà i tassi d’interesse e acquisterà meno obbligazioni.

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