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Bassa crescita, alti tassi e debito ma per l’Italia il populismo sarebbe il peggior segnale. Parla Milesi-Ferretti della Brookings

Intervista a Gian Maria Milesi-Ferretti, già vicedirettore del FMI e oggi senior fellow della Brookings Institution di Washington – Di fronte alle difficoltà dell’economia italiana “l’atteggiamento populista verso l’Europa e gli investitori sarebbe il peggior segnale”

Bassa crescita, alti tassi e debito ma per l’Italia il populismo sarebbe il peggior segnale. Parla Milesi-Ferretti della Brookings

Il debito sovrano italiano, come avviene ciclicamente, si appresta a tornare sotto le forche caudine dei mercati internazionali. La triade rappresentata da alti tassi di interesse, dalla politica restrittiva della BCE e dal ritorno alla stagione dello “zero virgola” della crescita, è destinata a riportare pressione alla finanza pubblica italiana.

Nel 2024, secondo le proiezioni dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, le emissioni lorde del Tesoro saliranno a quota 480 miliardi di euro. Il Fondo Monetario nel suo ultimo World Economic Outlook prevede per l’Italia una crescita dello 0,7%, con un taglio addirittura dello 0,4% rispetto alle ultime previsioni di luglio. Nel periodo 2024-2026, la Nadef – Nota di aggiornamento al DEF- stima una stabilizzazione del rapporto tra debito pubblico e Pil attorno al 140%, un numero lontanissimo da quanto previsto dalle regole europee.

Gian Maria Milesi-Ferretti è senior fellow al dipartimento di politica monetaria e fiscale della Brookings Institution di Washington. Fino al 2021 è stato invece deputy director del Fondo Monetario internazionale.

Gian Maria Milesi-Ferretti – Imagoeconomica

È per la bassa crescita rispetto alle previsioni che i buoni del Tesoro italiani sono ritornati sotto i riflettori dei mercati? 

«È un insieme di fattori più ampio, influisce molto anche uno scenario di tassi di interesse elevati. Sicuramente le prospettive di crescita economica meno brillanti di quanto previsto ad inizio anno preoccupano i mercati. Nel rapporto debito/Pil la crescita del denominatore giocoforza serve per arginare la dinamica del debito. Ma d’altro canto preoccupa anche il numeratore, soprattutto per il rallentamento del piano di aggiustamento della finanza pubblica prospettato dalla NADEF».

I mercati cominciano a riprezzare il rischio Italia? 

«Con una fortissima incertezza nel quadro geopolitico globale, con continue pressioni sul fronte del costo dell’energia, dobbiamo tutti essere molto umili negli esercizi di previsione. In questo quadro di caos le previsioni sono più un’arte che una scienza. Sicuramente vi sono scenari possibili più pessimistici dello scenario baseline».

A maggior ragione, dunque, il debito sovrano italiano rientra tra gli osservati speciali.

«Se in un periodo comunque di crescita economica, alta occupazione e alto livello del Pil, si sceglie un atteggiamento così “morbido” rispetto agli aggiustamenti di finanza pubblica, cosa può succedere se peggiora il quadro complessivo dell’economia? Questo si chiedono gli investitori».

Nei prossimi mesi il costo del servizio del debito italiano, oltre quota 100 miliardi già nel 2024, non avrà presumibilmente più il giubbetto di protezione della BCE.

«Quello che impatta sul debito sono i tassi di interesse reali e quindi si guarda al valore del Pil nominale. Resta il fatto che i tassi a lungo si sono alzati e questa è una cattiva notizia per i Paesi che hanno uno stock di debito elevato. L’aumento sui tassi a breve invece dovrebbe essere finito, a meno di altri shock in arrivo lato prezzi energetici. Non sono un “falco” nelle questioni di politica monetaria ma la persistenza dell’inflazione ha sorpreso anche me».

La stagione dei tassi di interesse alti è destinata a rimanere più a lungo del previsto?

«Il regime pre-pandemia non esiste più, abbiamo visto a lungo tassi reali negativi sul breve e appena positivi sul lungo. Aver incamerato in quegli anni dei margini finanziari per ricondurre la dinamica del debito dentro un perimetro di sicurezza sarebbe stato utile».

L’effetto inflativo sulle entrate statali e sul Pil nemmeno in una prima fase aiutano a contenere il rapporto debito/Pil?

«L’inflazione ha effetti sul Pil e sui prezzi dei beni ma è determinante la struttura economica ed industriale dei singoli Paesi. L’Italia importa dall’estero gran parte dei prodotti energetici e quindi il loro aumento non fa crescere il valore nominale del Pil, mentre questa caratteristica influisce sui prezzi dei beni al consumo. Inoltre, i prezzi delle esportazioni non crescono come i prezzi dei prodotti energetici. Sul lato delle entrate fiscali, gli incassi di imposte indirette dovrebbero salire con l’inflazione, ma bisogna capire quanto questa dinamica viene depotenziata dai sussidi e dalle misure di sostegno per l’energia».

Esiste una soglia di sostenibilità del debito italiano? 

«Non esiste una soglia precisa, ma i rischi aumentano con il livello del debito. I mercati guardano alla crescita economica dell’Italia, in grado di far aumentare il denominatore del rapporto debito/Pil, e alle entrate fiscali, non solo alla dinamica del deficit».

Se la crescita ritornerà alla stagione dello “zero virgola”, con politiche restrittive della Bce sui tassi e sugli acquisti di bond sovrani, cosa potrà succedere? 

«Crescita asfittica e tassi alti sono la peggior combinazione possibile. Ma è opportuno ribadire che si guarda alle prospettive di medio termine di un’economia, non solo a quello che può succedere l’anno venturo. I fondi europei, tra l’altro, devono ancora dispiegare i loro effetti sulla crescita e sulla produttività in Italia, così come nel resto d’Europa».

Peserà molto la nostra difficoltà di trasferire nell’economia reale i fondi del PNRR? 

«Certamente e nel caso dell’Italia il tema riguarda la concorrenza e la competitività del nostro sistema economico. In questo campo ci sono dei segnali che gli operatori finanziari osservano con attenzione, faccio l’esempio delle concessioni balneari. Una misura assolutamente marginale dal punto di vista macroeconomico per una grande economia ma fondamentale per far capire come vogliamo far funzionare la concorrenza nella seconda manifattura produttiva d’Europa. È una misura ad alto impatto reputazionale».

Esistono spazi di manovra politici sulla revisione del Patto di Stabilità in grado rassicurare i mercati? 

«L’Unione Europea in questi anni ha fatto grandi passi in avanti circa la consapevolezza di poter cambiare ed innovare alcune regole economiche che non sono intangibili per definizione. Certo ci sono Paesi europei più “hawkish” ma mi sembra che l’Europa sia disponibile ad alcune importanti aperture».

Nel mondo le vicende interne italiane occupano uno spazio assolutamente marginale. Resta il fatto che il debito italiano è monitorato e comprato in ogni angolo del pianeta. Sul versante economico, quale sarebbe il segnale più brutto che Roma può dare al mondo nelle prossime settimane? 

«Il peggior segnale potrebbe arrivare da un atteggiamento populista, nel senso peggiore del termine, rispetto al normale confronto con l’Europa e gli investitori. Lanciarsi in filippiche verso non meglio definiti speculatori sarebbe deleterio per la reputazione della nostra politica economica. Le istituzioni europee non vogliono assolutamente indebolire l’Italia e la BCE non vuole problemi sul debito italiano. Va sempre ricordato che Francoforte è responsabile della politica monetaria dell’eurozona e non solo di quella dell’Italia».

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