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Banca d’Italia, Visco: “I tassi della Bce saliranno ancora ma per evitare la recessione serve prudenza”

Inaugurando le lezioni Ugo La Malfa, volute dalla Fondazione che porta il nome del grande leader repubblicano, il Governatore della Banca d’Italia ha focalizzato l’attenzione sull’attuale politica monetaria della Bce raccomandando prudenza

Banca d’Italia, Visco: “I tassi della Bce saliranno ancora ma per evitare la recessione serve prudenza”

Il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha inaugurato le lezioni “Ugo La Malfa” che la fondazione che porta il suo nome, oggi diretta dal figlio Giorgio, ha voluto organizzare sui temi economici di attualità. 

Visco ha colto l’occasione per un ampio intervento, ricco di dati e di considerazioni sulla politica monetaria della Banca d’Italia (e dalla nascita dell’Euro, della BCE) a partire dagli anni settanta, insistendo in particolare su due punti fondamentali: l’attuale politica monetaria della Bce che deve fronteggiare una impennata dell’inflazione che ci ricorda i livelli degli anni ‘80, e – sul versante strategico – l’importanza di preservare l’autonomia della banca centrale rispetto agli appetiti dei governi.  

Visco: “La politica monetaria sarà restrittiva, ma con prudenza”

Sulle questioni di attualità, Visco ha riconosciuto che in questa fase “il compito della banca centrale è particolarmente difficile”. Bisogna infatti trovare il giusto equilibrio tra il rischio che l’inflazione resti elevata troppo a lungo (con danni permanenti sulle strutture economiche) e quello che il peggioramento della situazione economica sia troppo forte e finisca per condurre la crescita dei prezzi al di sotto dell’obiettivo del 2% che è quello statutario. 

Di conseguenza la Bce non riesce già ora ad indicare un preciso sentiero lungo il quale procedere. Da un lato i tassi d’interesse, che sono stati aumentati di 200 punti base, sono ancora al di sotto del livello coerente con la necessità di riportare l’inflazione verso l’obiettivo previsto, mentre dall’altro occorre valutare bene il ritmo di indebolimento dell’attività economica che porterebbe ad una rapida discesa dell’inflazione facendo cadere il sistema in una recessione. 

Visco ha spiegato in maniera molto chiara le origini dell’inflazione europea, diverse da quelle che sono alla base dell’impennata dei prezzi negli Usa. Da noi i quattro quinti dell’inflazione derivano dalla forte crescita dei prezzi dell’energia e da quelli dei generi alimentari. In Europa l’inflazione è arrivata con ritardo rispetto a quella americana dove è stata la domanda stimolata dagli aiuti pubblici a dare origine agli squilibri dei prezzi. 

Nella UE l’impatto rapidamente crescente dell’inflazione è dipeso solo in piccola parte dalla ripresa economica post pandemia, più rapida di quanto si prevedesse, ma è collegata, come detto, ai prodotti energetici ed alimentari la cui scarsità deriva anche da turbolenze geopolitiche come l’invasione russa dell’Ucraina. 

Insomma la BCE si sta muovendo su un terreno irto di difficoltà. I notevoli errori fatti dalla banca europea, così come da molti altri istituti di ricerca, sulla previsioni di inflazione, sull’andamento delle varie economie, sulla disoccupazione, inducono a muoversi con prudenza sulla base delle informazioni che si raccolgono sul campo, augurandosi che possano essere correttamente interpretate. 

Visco: “Quello che conta è non far partire la rincorsa prezzi/salari”

Quello che conforta circa il prossimo futuro è che oggi le aspettative di inflazione non sembrano peggiorate al punto da spingere verso una rincorsa dei salari rispetto ai prezzi, rincorsa che – come ha ricordato Visco – non porta a stabili effetti migliorativi delle condizione della classe operaia. Al contrario mette fuori gioco le imprese e quindi ostacola la possibile ripresa.  

La politica monetaria quindi ha come obiettivo principale quello di tenere ferme le aspettative di inflazione. Il resto deve farlo la politica economica cercando di redistribuire la “tassa dello sceicco” a sostegno delle famiglie con minor reddito e delle imprese energivore che altrimenti uscirebbero dal mercato. E questo deve avvenire non con debito pubblico, cioè scaricando quest’onore che spetta a noi pagare, sulle generazioni future. 

Alla politica economica spetta il compito fondamentale di fare investimenti e riforme capaci di innalzare il potenziale di crescita, perché solo così potremo in breve recuperare quanto abbiamo pagato per l’energia e nello stesso tempo continuare il risanamento del debito pubblico che consentirà ai tassi d’interesse italiani di convergere rispetto a quelli degli altri paesi europei. 

Ma il secondo aspetto toccato dal Governatore è in una prospettiva a medio termine, ancora più importante: si tratta di confermare e consolidare l’autonomia della banca centrale rispetto alle spinte che possono venire dai governi per farsi finanziare con moneta le loro spese. 

Il tema è stato introdotto dallo stesso Giorgio La Malfa che ha raccontato due episodi in cui il padre Ugo ha manifestato la sua fermissima volontà di difendere l’autonomia della Banca Centrale. Il primo si riferisce al 1975, al momento della successione di Carli quando gli appetiti della DC si manifestarono attraverso l’indicazione di una persona a loro fedele per la carica di Governatore. Ugo La Malfa arrivò a minacciare la crisi di governo, ed anzi l’interruzione di qualsiasi collaborazione futura tra PRI e DC, se si fosse fatta quella scelta. Al posto di Carli andò Paolo Baffi, direttore generale della banca ed uomo integerrimo, come si vide di lì a qualche tempo con l’affare Sindona. 

Il secondo episodio riguarda direttamente i rapporti tra padre e figlio. Quando Giorgio scrisse un articolo, insieme a Modigliani, critico sulla gestione monetaria della Banca d’Italia all’inizio degli anni ‘60 il padre Ugo lo rimproverò dicendo che la Banca d’Italia non andava criticata per non indebolirne l’autonomia e semmai occorreva ricercare la responsabilità tra le scelte politiche che avevano imposto quei comportamenti. 

Non finanziare con debito i trasferimenti assistenziali

Visco ha ribadito l’importanza dell’autonomia e del cosiddetto “ divorzio”, facendo capire che per quanti errori possano commettere i banchieri centrali si tratta sempre di sbagli meno dannosi di quelli che commetterebbero i politici che vorrebbero il finanziamento monetario delle loro spese perché, come spiegò Paolo Baffi nel 1977, si tratterebbe “non di finanziare investimenti pubblici produttivi, ma di colmare i vuoti causati da inefficienze, sperperi e malintesi intendimenti assistenziali”.
Un tema questo che oggi non sembra molto di attualità anche se alcuni esponenti dei governi di destra e di quello italiano in particolare, hanno già criticato la Bce per l’aumento dei tassi e per la sospensione dell’acquisto di titoli pubblici. E se nella prossima primavera la situazione economica non dovesse migliorare allora le spinte dei vari economisti di destra a stampare moneta potrebbero tornare con prepotenza. In più ci sarà dopo l’estate il rinnovo della carica di Governatore. Essere vigili fin d’ora potrebbe essere una giusta postura per evitare di buttare all’aria un importante presidio del nostro sistema di mercato.

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