Condividi

Andy Warhol, la Corte suprema Usa gli dà torto ma qual è il confine tra ispirazione e violazione del diritto d’autore?

Una sentenza che fa discutere e che ha la potenzialità di cambiare il mondo dell’arte

Andy Warhol, la Corte suprema Usa gli dà torto ma qual è il confine tra ispirazione e violazione del diritto d’autore?

L’antefatto

Nel 1984 Prince lanciò l’album Purple Rain. La rivista “Vanity Fair” chiese a Warhol di creare un’opera per illustrare un articolo sul musicista dal titolo Purple Fame. Warhol pensò di ispirarsi a un ritratto fotografico di Prince realizzato nel 1981 dalla fotografa di successo Lynn Goldsmith (a sinistra nella copertina del post) che lavorava per “Newsweek”.

A questo scopo la rivista contattò la Goldsmith pagandole 400 dollari perché Warhol potesse servirsi dello scatto come “riferimento artistico”. La rivista si impegnò ad accreditarlo e a utilizzare la rielaborazione di Warhol solo per quell’uscita.

Per adempiere alla commissione di Condé Nast, Warhol creò una serie di 16 dipinti trattando la fotografia in vari modi, cioè ritagliandola, colorandola e alterandola in alcune parti. Questo intervento, figurativamente conservativo, è stato descritto dai legali della Fondazione Warhol come volto a realizzare “una raffigurazione piatta, impersonale, disincarnata simile a una maschera” (uno di questi dipinti si vede al centro nella copertina del post). Vanity Fair pubblicò una di queste elaborazioni.

La disputa

Nel 2016 la Andy Warhol Foundation ha concesso in licenza a Condé Nast per poco più di 10mila dollari uno dei dipinti di Warhol raffigurante Prince per la copertina di una edizione speciale di “Vanity Fair” commemorativa della scomparsa dell’artista. La fotografa Lynn Goldsmith è ricorsa al tribunale, non avendo ricevuto alcuna parte di quella somma.

In prima istanza un tribunale ha dato ragione alla Fondazione, ma una corte d’appello ha ribaltato la decisione riconoscendo fondate le ragioni della fotografa. La Fondazione si è allora rivolta alla Corte Suprema degli Stati Uniti chiedendo di stabilire se le modifiche apportate da Warhol alla fotografia siano state trasformative e quindi rientranti nella disposizione del “fair use” e pertanto non soggette alla protezione del diritto d’autore.

La Fondazione sostiene, infatti, che la decisione della corte d’appello rende alcune opere d’arte “presumibilmente illegali” e “potrebbe portare alla rimozione di opere fondamentali nei luoghi di pubblica esposizione”. La Goldsmith sostiene, invece, che il caso riguarda esclusivamente la licenza di materiali per opere creative, non l’esposizione di opere d’arte. Una sentenza a lei sfavorevole trasformerebbe la legge sul diritto d’autore in “copia liberamente, tanto non c’è nessun diritto”.

La posta in gioco

In realtà la più alta magistratura d’America è stata chiamata a deliberare su un quesito veramente basilare nel mondo dell’arte, cioè definire il confine tra ispirazione e furto nel caso in cui un artista prenda un “prestito” da un altro artista. In che misura questo prestito può rientrare nel “fair use” piuttosto che essere una violazione del diritto d’autore?

Nel caso della Fondazione Warhol vs. Lynn Goldsmith la Corte con una votazione di 7 a 2 ha deciso in favore della fotografa.

Nella sentenza sono però presenti delle motivazioni che di fatto eludono la questione di fondo. Il critico Blake Gopnik, autore di una biografia di Warhol, ha espresso bene la natura della sentenza della Corte. Essa si concentra sulla questione del mancato pagamento dei diritti di riproduzione da parte della Warhol Foundation alla Goldsmith, eludendo la questione più ampia di decidere se Warhol avesse potuto utilizzare integralmente lo scatto che raffigurava Prince.

Secondo Gopnik la questione dell’appropriazione nell’arte, che egli chiama arte appropriativa (appropiation art), rimane aperta perché la Corte non si è espressa nel merito della questione, cioè se l’intervento di Warhol sullo scatto della Goldsmith sia stato trasformativo o meno così da rientrare nell’eccezione del fair use oppure no e in quest’ultimo caso essere un’infrazione del diritto d’autore.

Le due opinioni

Il giudice di orientamento progressista Sonia Sotomayor, che ha steso l’opinione di maggioranza, ha dichiarato che “l’opera originale della fotografa, come quelle di altri fotografi, ha diritto alla protezione del copyright, anche a fronte di artisti famosi”.

Secondo la Sotomayor la Fondazione Warhol e la Goldsmith miravano a uno stesso obiettivo di natura commerciale, cioè vendere l’immagine di Prince alle riviste. E proprio questo, cioè l’utilizzo commerciale del prodotto, è il punto sul quale fa perno il giudizio della Corte.

Decidere in modo differente, dice la Sotomayor, “autorizzerebbe copie commerciali di fotografie da utilizzare per scopi sostanzialmente identici a quelli degli originali, rivendicandone un uso trasformativo”. Il giudice pure di orientamento progressista Elena Kagan, che ha redatto l’opinione di dissenso, affiancata dal presidente della Corte Suprema John G. Roberts Jr., ha scritto che la decisione: “soffocherà la creatività di ogni genere. Impedirà lo sviluppo di nuove opere nell’arte, nella musica e nella letteratura. Ostacolerà l’espressione di nuove idee e l’acquisizione di nuove conoscenze. Renderà il nostro mondo più povero”. Il parere della giudice Kagan, ha ribattuto la collega Sotomayor, è costituito da “una serie di inesattezze ed esagerazioni, presenti dalla prima all’ultima frase dell’opinione di dissenso”.

Come nota il New York Times i pareri contrastanti, espressi da due giudici liberali spesso alleati, hanno avuto un tono insolitamente aspro.

La sostanza

Come nota Gopnick questa decisione della Corte Suprema potrebbe essere interpretata in questo modo: è “lecito” l’uso dell’immagine di un artista da parte di un altro artista nell’ambito dell’arte, ma è “illecito” sul piano puramente commerciale perché è in gioco la vendita dei diritti di riproduzione a riviste e pubblicazioni, comprese quelle dei musei e nel merchandising (magliette, oggetti ecc.). Si viene qui a tracciare una distinzione netta tra l’appropriazione artistica e l’uso a fini commerciali di quest’ultima.

Nel nostro caso: se la Andy Warhol Foundation avesse pagato alla Goldsmith una frazione dei proventi derivanti dal riutilizzo della sua opera protetta da copyright non ci sarebbe stato alcun problema. Una questione differente e ben più ponderosa sarebbe sorta se la Goldsmith avesse chiesto di essere pagata, per esempio, un miliardo di dollari per l’appropriazione della propria opera. In questo modo la Goldsmith si sarebbe avocata una sorta di diritto di veto sull’espressione di un differente artista, o almeno sulle sue scelte creativa. Ma questo non è successo. Può essere però che succeda e allora la Corte Suprema dovrà entrare nel merito.

Fonti:

  • Blake Gopnik, Ruling Against Warhol Shouldn’t Hurt Artists. But It Might, “The New York Times, 23 maggio 2023
  • Matt Stevens, After the Warhol Decision, Another Major Copyright Case Looms, “The New York Times, 22 maggio 2023
  • Adam Liptak, Supreme Court Rules Against Andy Warhol in Copyright Case, “The New York Times, 18 maggio 2023

Commenta