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Agroalimentare: la Puglia test per una ripresa sostenibile post Covid

Le valutazioni di Coldiretti, simili a quelle dell’Ismea sui danni della pandemia. Le prospettive non solo legate al Recovery plan ma ad un disegno strategico.

Agroalimentare: la Puglia test per una ripresa sostenibile post Covid

Lo spazio c’è, bisogna mettersi solo d’accordo bene su come e chi deve guidare il percorso. La ripresa dell’economia italiana avrà nell’agroalimentare un settore trainante che non potrà somigliare più al passato. Ritornare a crescere vuol dire investimenti in tecnologie, formazione, attrattività per i giovani. C’è chi stima che in una sola Regione nei prossimi 10 anni l’occupazione possa crescere fino a 100 mila nuovi di posti lavoro. La sfida della sostenibilità è trasversale a tutti i settori. Ma più si riuscirà ad organizzare il passaggio al futuro, con approcci moderni e pragmatici, più l’Italia avrà voce in capitolo sullo scenario mondiale. Un percorso da fare, appunto.

Che una Regione possa fare da sola da apripista ai consumi alimentari che fatturano più di 250 miliardi di euro, è sicuramente rischioso. Ma Colidretti Puglia ci crede ed ha fiducia nelle scelte che farà il governo. Siamo alla riscrittura del Recovery plan, ma è saggio non nutrire attese eccessive. Bisognerà avere anche la capacità di mobilitare sui territori le energie locali, il capitale professionale e umano, che certamente non mancano. La Puglia, dunque, territorio simbolo di debacle e di fiducia al tempo stesso per riprendersi con produzioni di eccellenza, sistemi sostenibili di economia legale virtuosa. Dopotutto la Regione è parte fondamentale del mercato italiano che – dice Nomisma – tra i 28 Paesi dell’Unione europea “ è il quarto con il valore di consumi alimentari più elevato, dopo Germania, Regno Unito e Francia”. Da Foggia a Lecce, dalla Capitanata al Salento, alle aree interne, la seconda ondata della pandemia ha causato il crollo delle attività di 20mila bar, trattorie, ristoranti, pizzerie e 900 agriturismi .Un effetto negativo a valanga con una perdita di fatturato di oltre 700 milioni di euro per i mancati acquisti in cibi e bevande. Un anno che si potrà dire archiviato solo quando si vedrà realmente come si avanzerà nel pragmatico percorso che si sta scrivendo a Roma, ma che, deve trovare consenso in periferia. Non importa se a Bari, a Verona o a Reggio Emilia, il tonfo si è avvertito ovunque e tutti ansimano di ripartire.

Il contesto critico nazionale è riconosciuto anche dall’Ismea nel suo Rapporto sullo stato dell’agroalimentare. Tutto lo studio ruota intorno alla parola cambiamento. Un termine che la politica deve saper tradurre in un un disegno strategico di lungo periodo. Pensare di far rientrare tutto nei tempi di attuazione del Recovery Fund al 2026, significa illudersi di avere già pronte le soluzioni per gli assi portanti della filiera . Sappiano che non è così. Già da ora possiamo dire che vincerà chi genererà un sistema di sostenibilità generale, saprà cambiare culture e organizzazione nelle campagne. Digitalizzazione, foreste urbane per mitigare l’inquinamento in città, invasi nelle aree interne per risparmiare l’acqua, chimica verde e bioenergie per contrastare i cambiamenti climatici stanno facendo crescere unità tra agricoltori e consumatori. In Puglia, come dice il presidente Coldiretti Savino Muraglia, come altrove. In futuro chi potrà tollerare ancora che 968,milioni di finanziamenti al sistema consortile per dare il via alle opere irrigue vitali allo sviluppo rurale a, non sono stati utilizzati dai Consorzi di Bonifica ? Si deve crescere nella digitalizzazione; si deve sviluppare, l’agricoltura di precisione 4.0 per connetterla alla biodiversità ed alla biosostenibilità. Se in alcuni Stati americani si usano i big data per tenere sotto controllo approvvigionamenti, coltivazioni, fonti energetiche, perché non farlo anche in Italia ? Bene affidarsi agli interventi straordinari e non solo, ma una vera transizione “eco” – è il caso di dire – dovrà avere i piedi ben piantati per terra.

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