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Accordo anti-evasione: conti correnti controllati in 51 Paesi

La nuova intesa prevede che dal 2017 saranno scambiate informazioni anche sui conti aperti a fine 2015 – Manca però la firma di due big.

Accordo anti-evasione: conti correnti controllati in 51 Paesi

Un nuovo standard unico per scambiare informazioni sui contribuenti, anche quelli che hanno parcheggiato liquidità nei paradisi fiscali. E’ questa la principale novità introdotta dall’accordo siglato ieri a Berlino dai rappresentanti di 51 membri Ocse, fra cui Italia, Germania, Francia, Spagna e Gran Bretagna. 

Lo scambio inizierà a partire dal 2017, ma riguarderà anche informazioni sui conti correnti aperti a fine 2015. Rimane quindi poco più di un anno per mettersi in regola: “Gli evasori hanno due scelte – si legge nel comunicato diffuso a fine vertice – o farsi avanti, o venire presi”. Nei prossimi mesi potrebbero aderire anche altri Paesi dei 123 per ora rimasti fuori, entrando così a far parte degli “early adopters”, ma in ogni caso l’accordo entrerà in vigore per tutti dal 2018.

Secondo il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, l’intesa raggiunta rappresenta un esempio di “riforma strutturale internazionale” e porterà all’Italia “un ulteriore strumento di lotta all’evasione”, perché “cambia i rapporti internazionali e avrà un impatto sui movimenti di capitale che rientrano in Italia”.

Peccato che manchino all’appello le firme di due Paesi cruciali: Svizzera e Stati Uniti. Angel Gurria, segretario generale dell’Ocse, sottolinea che gli Usa “sono da sempre all’avanguardia nella lotta all’evasione e restano dei supporter entusiastici dei nostri sforzi. In questo momento il dibattito interno li sta portando in una direzione diversa da quella che abbiamo intrapreso noi, ma sappiamo anche che sono alle prese con problemi molto specifici del loro sistema, come il problema della tax inversion per cui aziende americane si fondono con aziende straniere per ereditarne il trattamento fiscale all’estero. Questo fa sì che enormi quantità di profitti rimangano parcheggiati fuori dai confini nazionali e non reinvestiti nel Paese dove verrebbero tassati. E’ possibile che gli Stati Uniti si avvicinino al nostro percorso”. 

Quanto alla Svizzera, Gurria ricorda che “sebbene non abbia aderito”, ciò “non significa che non possa farlo presto, fermo restando che altrimenti partiranno l’anno seguente. In ogni caso, hanno tutti accettato di fornire informazioni fiscali su richiesta, inclusa la Svizzera”.  

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