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Telecomunicazioni in crisi, l’allarme dei sindacati: “A rischio almeno 20mila posti di lavoro”

Il settore delle telecomunicazioni in Italia è caduto in un baratro profondo – Prevista una manifestazione nazionale a Roma tra la fine di maggio e i primi di giugno

Telecomunicazioni in crisi, l’allarme dei sindacati: “A rischio almeno 20mila posti di lavoro”

Pronta a scattare la mobilitazione nel settore delle telecomunicazioni, ormai in profonda crisi, a difesa di 20mila posto di lavoro a cui si aggiungono migliaia di occupati negli appalti. “Il settore telecomunicazioni è arrivato ad un bivio drammatico”, affermano i sindacati di categoria Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil aggiungendo che “le contraddizioni stanno esplodendo con una veemenza che rischia di impattare pesantemente sull’intero perimetro occupazionale. È giunto il tempo di contrastare una deriva che rischia di affossare il comparto”. Per questo motivo hanno previsto una grande manifestazione nazionale a Roma tra la fine di maggio e i primi di giugno.

“Occorre, con fermezza e determinazione, dire basta, a tagli dell’occupazione e dei salari o con gestioni che non fanno gli interessi dei lavoratori del settore e men che mai del Paese, ma solo quelli di fondi di investimento o gruppi finanziari esteri”, denunciano ancora annunciando come, contro un modello industriale sbagliato e l’assenza di lungimiranza dei Governi Slc-Cgil Fistel-Cisl Uilcom-Uil nei confronti di questo settore nei prossimi giorni apriranno le procedure di raffreddamento.

Il settore “brucia” un miliardo di ricavi all’anno

In termini economici, volendo comparare le performance 2022 delle tlc europee rispetto al mercato italiano, si evidenzia un quadro con qualche sofferenza ma di certo non paragonabile a quanto avviene nel nostro Paese.

I sindacati ricordano che la crisi è in atto da diverso tempo: negli ultimi 15 anni il settore delle telecomunicazioni in Italia ha costantemente fatto affidamento su ammortizzatori sociali, incentivi all’esodo, tagli ai contratti salariali aziendali, una significativa perdita di professionalità e un ostacolo quasi totale al ricambio generazionale. “Siamo di fronte a un modello di sviluppo sbagliato: il settore da 10 anni brucia un miliardo di ricavi all’anno, non garantisce la certezza del rientro degli investimenti che infatti sono calati drasticamente”.

Telecomunicazioni in crisi, sindacati: “Modello sbagliato”

“Da mesi va avanti un ‘surreale’ tavolo tecnico presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy, nel quale è completamente assente la voce dei rappresentanti dei lavoratori, e dove si fatica ad immaginare di cosa si dibatta. Fra un’audizione e l’altra Tim, anche grazie all’offerta formalizzata da Cassa Depositi e Prestiti, si avvia velocemente a spezzare in maniera definitiva l’unicità dell’azienda; Vodafone chiede una riduzione dei costi pari al taglio di circa 1.000 posti di lavoro, il 20% dell’attuale forza lavoro; WindTre ha ufficializzato la vendita dell’infrastruttura di rete imboccando una strada sbagliata e piena di incognite occupazionali, British Telecom ed Ericsson hanno formalizzato, anche loro, eccedenze”, elencano.

Preoccupa la condizione di Tim

Non solo. A preoccupare particolarmente le sigle sindacali è il debito di Tim. Secondo i sindacati, la situazione è “estremamente preoccupante, tenuto conto dell’impressionante mole debitoria che grava sull’azienda per circa 23 miliardi di euro”. E la situazione non è migliore nel comparto dei customer in outsourcing, già storicamente in affanno, con le aziende più rappresentative impegnate a ricercare soluzioni. Da qui la denuncia di Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil: “le istituzioni non stanno svolgendo alcun ruolo regolatorio”, non è previsto nessun intervento strutturale “che possa dare stabilità al settore rilanciando un asset strategico per il sistema Paese e tutelando oltre 120mila addetti che operano nel variegato mondo delle telecomunicazioni”.

La separazione della rete dai servizi di Tim è secondo i sindacati “la scelta sbagliata”. “Non migliorerà la situazione, anzi il Paese sarà privo di un campione nazionale che dovrebbe stabilizzare il comparto evitandogli di ridursi ad un ‘emporio’ di sole vendite, per altro a prezzi sempre più stracciati”, spiegano ancora ribadendo come “politiche aziendali miopi e la totale assenza delle istituzioni, non farà altro che accompagnare il settore ad un inesorabile ridimensionamento”.

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