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Vestiti usati: non è solidarietà ma business, Antitrust multa AMA

L’Antitrust scopre il velo su un business da almeno 5 milioni di euro l’anno, solo a Roma: 10 milioni di tonnellate di abiti usati che tanti generosi cittadini romani pensano di donare a chi è meno fortunato – In realtà vengono rivenduti sul mercato dell’usato – Ama multata perché ha ingannato chi pensava di fare beneficienza

Vestiti usati: non è solidarietà ma business, Antitrust multa AMA

Nuovo polverone su un’altra delle principali municipalizzate di Roma, l’Ama, l’azienda che si occupa della raccolta dei rifiuti sul territorio della Capitale. Questa volta non si tratta dei vecchi, ma anche attuali, problemi del conferimento in discarica quanto della questione relativa alla raccolta degli abiti usati attraverso una rete di quasi 2000 cassonetti gialli dislocati in tutta la città. Lo scandalo, fatto emergere da un’indagine del Garante per la Concorrenza, è legato alla destinazione degli abiti usati raccolti tramite i cassonetti gialli poiché gli indumenti conferiti dai cittadini nei punti di raccolta non sono destinati alla gente bisognosa, come le scritte lascerebbero intendere, quanto al mercato del riuso sempre più in espansione. Per questo motivo l’Antitrust ha multato l’Ama di 100mila euro e altre sanzioni sono state comminate ai due consorzi a cui è affidata la raccolta: altri 100mila euro dovrà pagarli Sol.co., 10mila per Bastiani.

Nel 2003 AMA ha affidato formalmente il primo servizio di raccolta di indumenti all’ATI Roma Ambiente, composta dai consorzi Sol.Co e dalla Onlus Bastiani. Nella relazione dell’Autorità si sottolinea come l’affidamento del servizio “non prevedeva alcun corrispettivo per Ama, ma solo un quantitativo minimo che i Consorzi si impegnavano a raccogliere, in quanto l’obiettivo dell’Azienda era che venisse organizzata una raccolta capillare e completa di tali rifiuti”. 

Nel 2008 AMA affida distintamente a Bastiani e Sol.Co il servizio di raccolta degli indumenti che prosegue ancora oggi. Ma secondo l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato le pratiche comunicative utilizzate dai consorzi, che operano per conto di Ama, per raccogliere gli indumenti sono ingannevoli. Infatti, l’Authority ha valutato la sussistenza di pratiche commerciali scorrette e ipotizzato “l’ingannevolezza dei principali veicoli informativi utilizzati dall’AMA e dai consorzi assegnatari del servizio per promuovere la raccolta differenziata di indumenti e accessori usati”.

Ma qual è, nello specifico, il punto su cui si è concentrata l’Autorità? Quali sarebbero le pratiche ingannevoli?

Tutto ruota su un sottile equivoco di fondo. I cittadini conferiscono nei cassonetti gialli gli indumenti che non indossano più pensando di donarli alla gente povera mentre in realtà, inconsapevolmente non fanno altro che alimentare il business dell’usato. Diciture come “aiutaci ad aiutare”, “i materiali in buono stato saranno recuperati come indumenti”, “grazie per il vostro aiuto”, apposte sui cassonetti tramite adesivi, lascerebbero pensare che si tratti di raccolta a scopo umanitario e sociale. Ma di solidarietà, invece, non c’è nessuna traccia.

Secondo i dati forniti all’Autorità ogni anno si raccolgono in Italia circa 100mila tonnellate di abiti usati e quasi 10mila tonnellate sono raccolte solo nella città di Roma. Il materiale raccolto nella Capitale viene smistato nei centri di stoccaggio e poi trasferiti negli impianti di trattamento, dove gli indumenti sono selezionati e sanificati. Per il Centro-Sud gli impianti di sanificazione sono soprattutto in Campania mentre per il Centro-Nord sono in particolare a Prato.

Sono diverse le destinazioni finali degli indumenti raccolti tramite i cassonetti gialli: il 35% degli abiti usati sono destinati al processo di rifilatura e a quello di produzione di pezzame per il settore industriale, il 60% degli indumenti sono sottoposti a lavaggi di sanificazione e così gli indumenti possono essere nuovamente essere messi in vendita. Il restante 5%, infine, non viene riutilizzato e finisce in discarica. In tutto questo della parola solidarietà non c’è traccia. C’è piuttosto un giro d’affari notevole per cooperative e consorzi che sfruttano i messaggi ingannevoli e la generosità di romani e non per ottenere ottimi profitti.

Secondo i dati forniti da uno dei due consorzi, Sol.co., le cooperative che si occupano della raccolta per conto dei due consorzi vendono gli abiti raccolti proprio agli stessi consorzi a circa 0,35 € al chilogrammo. Considerando che a Roma si raccolgono mediamente 10mila tonnellate all’anno, il ricavo totale delle cooperative di raccolta è di circa 3,5 milioni di euro all’anno. A loro volta i consorzi rivende il materiale appena acquistato agli impianti di sanificazione e selezione campani a 0,40 – 0,55 €/kg.

Nel gennaio 2014 ecco che una nuova gara d’appalto sulla raccolta degli indumenti usati per un periodo di 36 mesi viene vinta ancora una volta da Sol.Co e Bastiani e in questo caso anche Ama ha iniziato a ottenere introiti mettendo a base d’asta una cifra di 30 euro annui per ogni cassonetto giallo, immaginando una valorizzazione positiva del servizio oggetto di affidamento. In realtà, il valore economico dei cassonetti gialli è stato ben più superiore visto che i quattro lotti con cui era stato suddiviso il servizio sono stati aggiudicati a 462, 530, 483 ed 550 euro per cassonetto all’anno. Questo a dimostrazione che la generosità dei romani alla fine è nei confronti di Ama e delle cooperative che si occupano del servizio di raccolta indumenti. Peccato che i cittadini pensino di aiutare chi è meno fortunato.

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