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Transizione digitale, neutralità tecnologica e PNRR

“Se il PNRR costituisce uno strumento epocale che indirizzale sorti del Paese per le prossime generazioni, sarebbe forse opportuno cercare di favorire non solo l’assunzione di donne e giovani ma anche percorsi di adozione delle nuove tecnologie di lungo periodo coerenti con l’obiettivo di una società più giusta”

Transizione digitale, neutralità tecnologica e PNRR

La tecnologia non è “neutra”, ci sono mix tecnologici preferibili ad altri sotto il profilo del benessere complessivo di una collettività; vi è una pluralità di futuri tecnologici possibili caratterizzati da diversi livelli occupazionali, diverse distribuzioni del reddito e della ricchezza, diversi livelli di coesione sociale.

Tale punto di vista – pur controverso –  è condiviso da  numerosi, importanti, economisti che ritengono che esista una pluralità di sentieri possibili di sviluppo delle tecnologie e che i meccanismi di  mercato non portino necessariamente a scegliere il sentiero migliore per la collettività. Compito della politica economica sarebbe quindi favorire gli esiti complessivamente più desiderabili.

La questione riguarda il tema assai complesso dell’intervento pubblico attuato non solo attraverso interventi diretti ma anche attraverso condizionamenti all’uso di risorse produttive private

Il governo adotta al riguardo una posizione ambivalente: da un lato, gli incentivi fiscali previsti per la “Transizione 4.0” contenuta nel  Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR) assegnano alle imprese ingenti risorse pubbliche (€13,38 miliardi) senza alcuna condizionalità (se non, ovviamente, l’acquisto di determinati beni d’investimento); dall’altro lato, l’art 47 del “Decreto Semplificazioni” (d.l. 31 maggio 2021, n. 77) prevede invece pesanti condizioni in termini di assunzione di donne e giovani per le imprese affidatarie di opere del PNRR stesso. Le due posizioni sottendono visioni in parte diverse circa il funzionamento dell’economia. In termini generali, l’introduzione di condizionalità nei comportamenti delle imprese determina il rischio di distorcere le scelte imprenditoriali in modo sub-ottimale ma stupisce che il governo sia disposto a correre un rischio di questo tipo nel caso di risorse private gestite da imprese appaltanti lavori pubblici e non nel caso di risorse pubbliche ricevute da imprese private nell’ambito di scelte di investimento. 

Nella transizione 4.0, pur con alcuni elementi di parziale novità (1), il governo si muove su una linea di sostanziale continuità rispetto ai governi precedenti: l’accesso ai benefici è automatico, non deriva né dall’approvazione da parte della pubblica amministrazione, né da meccanismi competitivi basati su  bandi di gara. Tale impostazione ha il pregio della semplicità e della certezza degli esiti per gli imprenditori; il trasferimento non condizionale delle risorse è coerente con una visione liberista del funzionamento dell’economia.

Al contrario, il “Decreto semplificazioni” prevede (art.47) per le aziende con più di 15 dipendenti che risultino affidatarie di opere del PNRR l’obbligo di presentare un rapporto sulla situazione del personale in riferimento all’inclusione delle donne nelle attività e nei processi aziendali. Inoltre, nei bandi di gara saranno riconosciuti punteggi aggiuntivi per le aziende che impiegano strumenti di conciliazione vita-lavoro e che si impegnino ad assumere donne e giovani sotto i 35 anni nella misura almeno del 30%… In altri termini, il governo ritiene che il tema della parità di genere e dell’inclusione dei giovani nel mondo del lavoro giustifichi l’introduzione di condizionalità invasive in termini di scelte in termini di gestione delle risorse umane e di reclutamento che le imprese fanno con mezzi propri.

Come si è detto, il contrario accade sulla questione – a mio avviso non meno importante – dell’adozione delle nuove tecnologie digitali. 

La libertà di scelta delle imprese nell’adozione di tecnologie finanziate con risorse proprie è certamente fuori discussione ma credo sia corretto chiedersi se il presupposto di una coincidenza “spontanea” tra interessi privati delle imprese e interessi collettivi giustifichi l’attribuzione alle imprese di ingenti risorse pubbliche (tali sono i crediti di imposta oggi e tale era l’iper-ammortamento ieri) senza porre alcuna condizione. 

Esistono tecnologie con più forti caratteristiche di complementarietà tra macchine e lavoratori e tecnologie che hanno invece prevalenti caratteristiche di sostituzione di lavoratori con macchine; ci sono utilizzi dei dati dell’intelligenza artificiale più rispettosi dei diritti delle persone e altri che possono condurre a scenari pericolosi, vi sono tecnologie che esaltano la capacità del digitale di essere complementare alla transizione ambientale…  Alle imprese che vogliano accedere agli incentivi fiscali 4.0 si potrebbero quindi porre condizioni circa il (sostanziale) mantenimento degli attuali livelli occupazionali, l’impegno a non-delocalizzare all’estero attività produttive, l’utilizzo delle tecnologie digitali anche per migliorare l’impatto ambientale delle produzioni. 

Se il PNRR costituisce uno strumento epocale che indirizza le sorti del Paese per le prossime generazioni, sarebbe forse opportuno cercare di favorire non solo l’assunzione di donne e giovani a fronte di bandi di gara da svolgersi su orizzonti brevi, ma anche percorsi di adozione delle nuove tecnologie di  lungo periodo coerenti con l’obiettivo di una società più giusta. 

Scelte prese oggi dalle imprese sulla base di vantaggi economici talvolta piccoli e di breve periodo possono determinare grandi esternalità e possono avere effetti di carattere permanente sul benessere collettivo indirizzando in modo irreversibile l’adozione e lo sviluppo delle tecnologie.

(1) i) per allargare la platea di PMI coinvolte si conferma la sostituzione (già attuata dal governo precedente a partire dal 2020) dell’iper-ammortamento con un credito d’imposta, prevedendo anche la possibilità di compensazione con altri debiti fiscali e contributivi; ii) si allunga da uno a due anni l’orizzonte per beneficiare di tale premialità fiscale; iii) si estende la categoria degli investimenti immateriali agevolabili e si aumentano le percentuali di credito e l’ammontare massimo degli interventi incentivabili.

*****L’autore è Professore Ordinario di Politica economica all’Università di Genova

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