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Sos Auto elettrica, Biden alza le barriere

Gli Usa escludono dai sussidi i produttori stranieri e la transizione all’auto elettrica diventa una sfida anche politica e sociale con l’Europa. PWC stima mezzo milioni di occupati in meno nel settore auto tradizionale. VW, Stellantis e gli altri Big corrono ai ripari

Sos Auto elettrica, Biden alza le barriere

Il Mondiale di Formula 1 si è appena chiuso con il sorpasso da brivido di Verstappen su Lewis. Ma per il mondo a quattro ruote la vera sfida entra nel vivo adesso sull’onda di un altro sorpasso storico: ad agosto, per la prima volta, le vendite di auto elettriche in Europa hanno superato quelle dei diesel. E nel 2025, secondo le analisi di Bloomberg, arriveranno a costare meno dei modelli a combustione interna. Già dal 2022 intanto saranno disponibili sul mercato globale 500 modelli diversi di e-car, grazie anche alle nuove batterie lanciate sul mercato con una densità energetica media in crescita tra il 4% e il 5% l’anno.       

Il vero mondiale, insomma, lo vincerà chi saprà adattarsi meglio ad un mercato in rapidissima evoluzione, ovvero in quella che si presenta più come una sfida di sistemi sociali e politici che in confronto tra tecnologie. La conferma arriva dagli Stati Uniti dove Joe Biden non esita a sfidare la collera degli alleati con una clausola malandrina inserita nel disegno di legge Build Back Better in discussione al Senato. La norma prevede che gli acquisti negli Stati Uniti di auto a batteria e ibride godranno di un credito d’imposta di 12.500 dollari. Ma su questa cifra, 4.500 dollari andranno solo a chi acquisterà un’auto prodotta in aziende Usa in cui siano presenti le strutture del sindacato. Altri 500 dollari del monte-sussidi andranno a chi acquisterà auto con batteria Made in USA. 

Il progetto, insomma, taglia fuori le vetture di importazione ma anche quelle prodotte dai giapponesi e dai tedeschi nelle fabbriche del sud degli Stati Uniti, finora refrattarie al sindacato. Non solo. Vengono tagliate fuori le fabbriche in Canada ed in Messico. “Per noi era meglio non firmare il rinnovo del Nafta”, dichiara il responsabile del commercio canadese, ricordando il duro braccio di ferro con Donald Trump. In realtà la pressione protezionista dell’America di Biden non appare in questa materia molto diversa da quella del tycoon. E le proteste non si sono fatte attendere. Vibranti quelle tedesche: gli incentivi di Berlino per l’elettrico non prevedono discriminazioni di sorta, come ha riconosciuto Elon Musk suggerendo al Congresso di lasciar cadere il tema. Lo scorso anno i produttori tedeschi hanno assemblato in Usa oltre 740 mila vetture dando lavoro a più di 60 mila lavoratori che, ironia della sorte, hanno votato contro l’ingresso del sindacato alla Volkswagen di Chattanooga nonostante l’appoggio dei vertici aziendali. Robuste anche le reazioni di Toyota e degli altri giapponesi. Più contenute le repliche in arrivo da Parigi e Torino: tra i beneficiati delle misure Usa figurano le Jeep e i Ram in uscita dagli stabilimenti del Michigan.

Si vedrà presto se Washington, che non ha ancora cancellato i dazi su acciaio ed alluminio imposti a suo tempo da Trump, accetterà di rivedere la scelta oppure se si andrà ad un conflitto che si annuncia davvero “elettrico” perché coincide con il decollo definitivo del nuovo modello di sviluppo dell’auto che imporrà senz’altro grossi sacrifici al settore in Europa. 

La soluzione individuata dal pacchetto “Fit for 55” dell’Unione Europea prevede lo stop alla produzione di auto con motore a benzina o diesel entro il 2035. Una mossa quasi obbligata per difendere una delle poche leadership globali del Vecchio Continente (già sotto attacco dalla Cina), ma che potrebbe comportare un pesante taglio all’occupazione: 500 mila posti di lavoro in meno, solo parzialmente compensati da 226 mila nuovi posti nel caso l’Europa riuscisse entro il 2040 a sviluppare una filiera nella produzione delle batterie per auto elettriche. E’ il risultato di uno studio di PricewaterhouseCoopers (PwC) che ha già spinto l’associazione dei fornitori a proporre soluzioni alternative, vedi un approccio tecnologico misto, che consenta l’uso di combustibili sintetici o altre soluzioni come l’idrogeno per evitare un’accelerazione sull’elettrico che avrà effetti comunque rilevanti sulla componentistica.  

Non stupisce che, in questa cornice, i Big dell’auto cerchino vie d’uscita per affrontare mercati che s’annunciano roventi. Volkswagen, alla ricerca di capitali per sviluppare i mega progetti nell’elettrico, si avvia All’Ipo di Porsche (con il rientro in scena degli eredi del fondatore). Daimler ha già effettuato la scissione di Daimler Truck che, tra l’altro , ha in cantiere la realizzazione del camion elettrico eActros (posteggiato davanti alla Borsa di Francoforte in occasione dell’Ipo), da Mercedes che proprio giovedì scorso ha ottenuto la licenza per attivare in strada il sistema a guida autonoma che verrà montato sulla classe S nel 2022. L’obiettivo, per entrambe le società, è comunque di assicurare una redditività a doppia cifra per i prossimi anni. 

Ma sarà possibile? Ci prova anche Stellantis, giocando la carta della connettività. Entro il 2030, ha detto Tavares, il gruppo conta di vendere servizi supplementari per 20 miliardi annui grazie alle vetture connesse, un po’ come avviene nel caso di Apple che vanta entrate stabili con le App. Sarà possibile? E’ un’altra delle tante scommesse attorno al futuro dell’auto, un settore che ama i brividi del sorpasso.  

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