Condividi

Sblocca export: déjà vu

Nel pacchetto “Sblocca export” dello Sblocca Italia ci sono elementi positivi, ma non sono sufficienti a farlo ritenere un significativo rilancio dell’azione di sostegno al nostro export – Riemergono tutte le contraddizioni sulla gestione del commercio internazionale negli ultimi anni, prima fra tutte quella della cogestione fra MISE e MAE

Sblocca export: déjà vu

Uno dei “pacchetti” previsti dal decreto legge “Sblocca Italia”, annunciato nel Consiglio dei Ministri di venerdì scorso, riguarda lo “Sblocca export”.

Il testo del decreto non è stato ancora diffuso in modo definitivo, ma nel comunicato stampa diramato alla fine del Cdm si legge che il pacchetto prevede il lancio di un “Piano per la promozione straordinaria del Made in Italy e l’attrazione degli investimenti in Italia” per oltre 270 milioni di euro nel triennio 2015-2017, attraverso interventi mirati di diffusione e promozione delle produzioni italiane in campo industriale e agro-alimentare. Si è scelto di legare la promozione del Made in Italy a significativi incentivi all’innovazione per le imprese coinvolte, anche attraverso l’assunzione di figure professionali specializzate nei processi di internazionalizzazione (export manager).

Si prevede la realizzazione di un segno distintivo unico per le produzioni agroalimentari Made in Italy, anche in vista di Expo 2015, e un potenziamento degli strumenti di contrasto all’Italian sounding nel mondo. Sul piano della competitività si punta alla creazione di piattaforme logistico-distributive all’estero, al rafforzamento degli accordi con le reti di distribuzione, alla valorizzazione e tutela delle certificazioni di qualità e di origine dei prodotti. Il piano di attrazione degli investimenti esteri sarà promosso dall’ICE e comprenderà la promozione delle opportunità presenti in Italia, l’assistenza tecnica agli operatori esteri e di tutto quanto possa facilitare l’investimento da parte dell’operatore estero nel territorio nazionale. 

Anche se v’è qualche spunto interessante, non mi pare si possa parlare di un intervento rivoluzionario, o che possa incidere in modo sostanziale sul rilancio del nostro export. Come al solito, anche lo Sblocca export si basa principalmente sugli interventi promozionali, in particolare nel settore agroalimentare, necessari ma non sufficienti: basti pensare che, nonostante tutti gli sforzi fin qui fatti e la capacità di alcune nostre imprese del settore di affermare i loro prodotti nei mercati internazionali, la nostra bilancia agroalimentare rimane in deficit, a causa della disastrosa gestione del territorio coltivabile nel nostro paese e della concorrenza dell’import di prodotti di basso prezzo – ma spesso anche pessima qualità – da paesi emergenti (pomodori, farina, riso, olio etc.). E’ invece interessante il focus su innovazione, assunzione di export manager e creazione di piattaforme logistiche all’estero, anche se tutto dipende dall’effettiva disponibilità di risorse e da come saranno impostati i decreti attuativi di questa norma (anche il “quando” conta, perché l’esperienza ci insegna che negli ultimi tempi questi decreti tardano anni a diventare operativi). In particolare, l’assunzione di export manager dovrebbe essere collegata alla formazione di giovani laureati in materie di economia, marketing, ingegneria in università, master e scuole di alta formazione, riservando sgravi fiscali e contributivi alle imprese che assumono tali manager con contratti a tempo indeterminato.

Quanto all’altro elemento alla base del decreto “Sblocca export” , e cioè l’attrazione di investimenti dall’estero, anche qui siamo al deja vu. In questi ultimi 4 anni abbiamo avuto la nostra dose semestrale di annunci e smentite al riguardo: dopo la tragica esperienza di Sviluppo Italia, è stato istituito il Desk Italia presso ICE, che in pratica non è mai nato; è nata la Cabina di regia per l’internazionalizzazione (la seconda con lo stesso nome, l’altra non è mai stata abolita), che ha avuto tre riunioni (l’ultima nel luglio 2013, poi non s’è più riunita) in cui si è molto parlato e poco fatto; con Destinazione Italia il Ministero degli Esteri si è appropriato del piano di sviluppo delegandolo a una struttura tecnica da costituire presso Invitalia; ora si torna a un “piano di attrazione” degli investimenti esteri coordinato da ICE. Attenzione, però: nella bozza di decreto che circola in questi giorni si parla di un’apposita società da costituire al riguardo con capitale del Ministero dello Sviluppo Economico. A che serve? A niente. E a chi serve? La risposta sarebbe troppo cattiva e scontata, la lascio ai lettori. In realtà, l’unica cosa che ci preme è che, dopo anni di perdite di tempo, il piano di attrazione degli investimenti esteri in Italia finalmente decolli in tempo utile. Certamente, un programma del genere non serve a niente se non sarà accompagnato dagli altri provvedimenti descritti sia in Destinazione Italia, sia nello Sblocca Italia sia nel piano dei 1000 giorni, come lo snellimento della burocrazia, la riforma del diritto del lavoro, la riforma della giustizia civile. Nessuna norma infatti riuscirà a vincere la repulsione dei potenziali investitori esteri verso le centinaia di autorizzazioni necessarie e leggi da osservare per fare impresa in Italia, le difficoltà del mercato del lavoro e del fisco, la lunghezza dei tempi della giustizia civile.

I problemi di fondo che riguardano il nostro export sono due: il primo è la difficoltà di accesso al credito per le imprese esportatrici; il secondo è che – ormai da molti anni – gli interventi sul sistema di sostegno all’export e in genere all’internazionalizzazione sono stati sporadici e non coordinati.

Per favorire l’accesso al credito delle nostre imprese più vivaci e competitive, che sono quelle che operano sui mercati internazionali, finora si sono impegnate soprattutto Cassa Depositi e Prestiti e SACE, anche con strumenti innovativi (le Garanzie finanziarie di SACE, il Sistema Export Banca). Ma non basta: occorre trovare nuove forme, che riescano a trainare il credito bancario, incanalandolo verso il trade finance (il finanziamento dei crediti all’esportazione). Pensiamo, per esempio, anche a fondi di investimento a partecipazione mista (pubblica e privata) dedicati a finanziare pro soluto (senza ricorso sull’esportatore) i crediti export anche a breve termine (fatture con pagamenti dilazionati fra 90 e 180 giorni) assicurati da SACE. Altre soluzioni le sta studiando SACE, che ogni pochi mesi inventa nuovi validi strumenti in questa direzione. Finita l’era degli incentivi, dato che fondi disponibili non ce ne sono più, questa è l’unica strada percorribile e veramente utile per il nostro export.

La causa dell’altro problema, quello del mancato coordinamento degli interventi normativi, è facile da individuare.  Da 6 anni non c’è più un Ministero per il commercio internazionale. Non c’è più neanche un Viceministero ad hoc, salvo un breve e insignificante periodo. Ultimamente poi di fatto la materia è gestita in comproprietà fra MISE e MAE, con i risultati che si vedono. In compenso si sono stratificate, su una base di leggi e decreti già molto complessa, una serie di norme scoordinate e contraddittorie, quasi mai attuate. Cosa pensereste se, andando in un buon ristorante, trovaste due cuochi che cucinano lo stesso piatto? Oppure, facendo un altro paragone, avete mai fatto caso che in una società guidata da due soci (o gruppi di soci) al 50% ciascuno, ogni decisione è estremamente lunga e laboriosa, perché deve essere approvata all’unanimità? La soluzione a queste problematiche è quella di dare la responsabilità primaria ad uno dei due ministeri, naturalmente nel rispetto delle competenze dell’altro e del Ministero dell’Economia e Finanze. Personalmente io propendo per il ritorno di tutta la materia nell’ambito del MISE, con un Viceministro ad hoc che abbia la responsabilità, in un periodo di 3 anni, di preparare e attuare un programma dettagliato di razionalizzazione della normativa ed emanazione di tutti i decreti attuativi che sono rimasti in lista d’attesa,  sfoltimento e accorpamento degli incentivi, attuazione del programma di attrazione di IDE verso il nostro paese, coordinamento di tutte le attività promozionali.  Andrebbe inoltre ripristinata la vecchia Cabina di regia per l’internazionalizzazione, che serve a portare nell’ambito del  CIPE le decisioni di politica commerciale e di impiego dei fondi di concerto fra tutti i ministeri interessati. Anche questo dovrebbe far parte del programma dei mille giorni di Renzi.

Commenta