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Salari bassi, forza lavoro anziana e donne penalizzate: è la fotografia del mercato del lavoro italiano dell’Inapp

Secondo il rapporto Inapp, i salari reali in Italia sono cresciuti solo dell’1% dal 1991 al 2022, a differenza dei Paesi dell’area Ocse, che hanno registrato un aumento del 32,5%

Salari bassi, forza lavoro anziana e donne penalizzate: è la fotografia del mercato del lavoro italiano dell’Inapp

Dopo la crisi pandemica, il mercato del lavoro italiano mostra segni di crescita, ma affronta sfide strutturali significative. Bassi salari, scarsa produttività, limitata formazione e un sistema di welfare che non copre adeguatamente oltre 4 milioni di lavoratori “non standard”, dall’autonomo al disoccupato. Inoltre, emerge il problema del labor shortage, ossia la carenza di lavoratori, con molte imprese che faticano a coprire le posizioni vacanti, allargando la forbice tra domanda e offerta di lavoro. È quanto emerge dal Rapporto Inapp 2023, sintetizzato nella seguente infografica.

Salari al palo: + 1% negli ultimi 30 anni

Il dato che non sorprende è sulla retribuzione. I salari reali in Italia sono rimasti pressoché invariati dal 1991 al 2022, con una crescita dell’1%, a differenza dei Paesi dell’area Ocse, dove sono cresciuti del 32,5% in media. In particolare, nel solo 2020 si è registrato un calo dei salari in termini reali del -4,8%. In quest’anno si è registrata anche la differenza più ampia con la crescita dell’area Ocse con un -33,6%. Accanto a questo problema si è sviluppato anche quello della scarsa produttività, che però è cresciuta più delle retribuzioni nel periodo, con un divario massimo del 25,5% rispetto ai Paesi del G7 nel 2021. E l’Inapp allarma: se le cose proseguono così “il sistema non regge nel lungo periodo”.

Secondo il presidente dell’Inapp Sebastiano Fadda la soluzione “potrebbe essere utile in questo contesto l’introduzione del salario minimo legale”, sostiene Fadda aggiungendo che “non esistono ragioni né sul piano analitico né sul piano dell’evidenza empirica per escludere strumenti basati sull’imposizione di una soglia minima invalicabile”.

L’occupazione e una forza lavoro sempre più anziana

Nel 2022, le nuove assunzioni sono diminuite rispetto al boom post-pandemico del 2021, ma il saldo occupazionale attuale è positivo rispetto a gennaio 2020. Tuttavia, emerge il problema dell’invecchiamento della forza lavoro, con la popolazione lavorativa sempre più anziana. Nel 2002 ogni 1.000 persone che avevano un’età compresa tra 19 e 39 anni ce n’erano poco più di 900 aventi 40-64 anni, nel 2023 quest’ultimo valore ha superato le 1.400 unità. Ogni 1.000 lavoratori di 19-39 anni ci sono ben 1.900 lavoratori adulti-anziani. Il settore che di gran lunga ha i lavoratori più anziani è quello della pubblica amministrazione (3,9 lavoratori anziani ogni lavoratore giovane), seguito dal settore finanziario e assicurativo.

Le agevolazioni per le assunzioni non funzionano, donne penalizzate

Le agevolazioni per le assunzioni non sembrano funzionare efficacemente, con solo il 4,5% delle aziende che le ritengono importanti per le decisioni di assunzione. Le imprese del Mezzogiorno sono molto più propense a utilizzarle: circa il 38% delle imprese del Sud e il 36% di quelle localizzate nelle Isole dichiara di aver usato almeno un incentivo, contro il 20% (in media) delle aziende localizzate nelle altre aree. In generale, forme di agevolazione hanno interessato quasi 2 degli oltre 8 milioni di nuovi contratti attivati nel 2022, ovvero il 23,7%. Nonostante i diversi incentivi, le donne rimangono penalizzate, rappresentando solo il 40,9% delle assunzioni agevolate.

Le grandi dimissioni

Rilevante è anche il numero di occupati che mostrano l’intenzione di lasciare il proprio lavoro. Il 14,6% degli occupati italiani (oltre 3,3 milioni) ha valutato l’opzione delle dimissioni, con il 13,5% interessato solo se trova alternative entrate. Le categorie più propense sono quelle con diploma, mentre la preferenza si rivolge a dipendenti in aziende medie del settore privato.

L’apprendistato e la formazione continua

L’apprendistato duale in Italia mostra scarsa attrattiva sia per le imprese che per i giovani, e persistono disuguaglianze settoriali e territoriali. Inoltre, a differenza di altri Paesi europei, in Italia si continua a registrare lo scarso utilizzo dell’apprendistato per l’alta formazione e la ricerca. Nel 2021 il numero di apprendisti inseriti nei percorsi per il conseguimento di un titolo di istruzione terziaria era di 609 unità, in calo rispetto all’anno precedente.

La formazione continua coinvolge solo il 9,6% dei lavoratori di età compresa tra 25 e 64 anni, evidenziando una bassa partecipazione agli interventi formativi. Si tratta comunque di un avanzamento consistente rispetto al 2020 (+2,4%), ma che allontana l’Italia dall’Europa: 11,9% contro -2,3%.

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