Condividi

Rivoluzione digitale sì, ma “Non essere una macchina”

Recensione di “Non essere una macchina”, il nuovo libro di Nicholas Agar, docente di etica al prestigioso MIT, edito in Italia dalla Luiss University Press

Rivoluzione digitale sì, ma “Non essere una macchina”

Una guida per orientarsi nel dibattito sul tema, per comprendere in cosa consista in realtà la cosiddetta Rivoluzione digitale, su come vada collocata nella prospettiva di lungo corso della storia dell’umanità e, sopratutto, per conoscere più da vicino le IA – intelligenze artificiali – e il valore dei dati. È in questo modo che Andrea Prencipe, rettore della Luiss University, definisce il libro di Nicholas Agar, docente di etica al MIT. 

Un testo che di sicuro si rivela essere tutt’altro che una lettura scontata sul tema della Rivoluzione digitale che interessa la contemporaneità ma la cui percorrenza determinerà quello che sarà il futuro prossimo e remoto dell’intero pianeta. 

La Rivoluzione digitale sta trasformando le vite umane. Buona parte dello sconvolgimento provocato dalla Rivoluzione industriale fu dovuta all’automazione della forza muscolare. La Rivoluzione digitale invece, sottolinea Agar, sta automatizzando il lavoro mentale umano. Rappresenta perciò una minaccia per le occupazioni il cui contenuto intellettuale è alto, ovvero quelle occupazioni che di norma richiedono lunghi anni di studi e riservano salari elevati. 

I progressi nell’intelligenza artificiale paiono condurre a una progressiva polverizzazione dell’agentività umana. Sembra proprio che dovremo affrontare un futuro nel quale il controllo sulle società e sulle vite umane sarà sempre più e inesorabilmente ceduto alle tecnologie digitali “con poteri decisionali palesemente superiori”.

Agar ritiene che gli uomini, in generale, hanno la tendenza a supporre che le cose continueranno esattamente come adesso. Si tende a sottovalutare la minaccia all’agentività umana – human agency –  da parte delle macchine.  Questo accade anche perché molte delle odierne intelligenze artificiali non sembrano rappresentare una reale minaccia per il nostro posto di lavoro. Così facendo si ignora però il rapido ritmo di miglioramento che esse hanno in assoluto e in confronto a quello umano. 

Gli uomini manifestano quindi un pregiudizio verso le capacità delle macchine future e, parallelamente, una visione alterata delle reali abilità umane. Agar sostiene che questo bias a favore degli esseri umani sia tanto insostenibile quanto il geocentrismo precopernicano. 

Lo scopo che Agar si è prefisso scrivendo il saggio Non essere una macchina è descrivere ciò che è indispensabile fare per salvaguardare l’agentività umana nell’Era digitale. Salvaguardare il contributo umano non significa di certo respingere le meraviglie tecnologiche che la Rivoluzione digitale ha portato, richiederà piuttosto un’attenta considerazione degli ambiti dell’attività umana che cederemo alle macchine. 

Le società che emergeranno dalla Rivoluzione digitale dovrebbero essere strutturate intorno a quelle che Agar chiama economie sociodigitali. 

Il valore principale dell’economia digitale è l’efficienza.

Il valore principale dell’economia sociale è l’umanità.

In un’economia sociale completamente allargata dovremmo essere liberi di scegliere il lavoro che si desidera svolgere. Questo tipo di economia, per l’autore, potrebbe costituire una risposta a uno dei mali tipici della nostra epoca: l’isolamento sociale. 

Spodestati dalle posizioni lavorative basate sull’efficienza, dovremmo essere liberi dunque di dedicarci a “nuove tipologie di lavoro che soddisfino le esigenze sociali degli esseri umani”. Lavori che dovremo anche essere in grado di inventarci ex-novo in quanto, con ogni probabilità, “se non le creeremo, quelle mansioni non esisteranno”. 

Alcuni sostengono che dovremmo reagire ai progressi digitali offrendo agli uomini un reddito universale di base. Ma per Agar senza il collante sociale del lavoro si dovrebbe trovare un altro modo per evitare che le nostre società si disgreghino in sotto-comunità definite da appartenenza etnica, affiliazione religiosa e altre caratteristiche apprezzabili a livello sociale. Quando lavoriamo insieme, in un certo senso, superiamo i confini tra razza, religione, genere e capacità. Agar definisce il lavoro come il collante sociale che aiuta a trasformare gli estranei in società coese che si fidano l’una dell’altra. Quando avalla la regola del lavoro però Agar lo fa su concetti che esulano molte delle forme che il lavoro assume in questi tempi di incertezza economica. Egli ritiene infatti che “buona parte del lavoro odierno è insoddisfacente”. 

Un altro contesto nel quale bisogna lavorare con gli altri per ottenere risultati e successo è lo sport.

Altre visioni sul futuro vedono tutta la ricchezza generata dalle macchine digitali nelle mani dei pochi che le posseggono. 

La visione del futuro secondo Agar vedrebbe un’Era digitale nella quale saremo circondati da favolose tecnologie digitali ma riusciremo ancora a godere di esistenze intensamente sociali. 

Sia nel caso del cambiamento di clima, sia in quello della minaccia all’agentività umana proveniente dalla Rivoluzione digitale, le ricompense per il successo e le sanzioni per il fallimento sono talmente alte da obbligarci a compiere gli sforzi più grandi. 

Più volte l’autore ritorna sul tema dei dati, da considerare come la vera forma di ricchezza che contraddistingue la Rivoluzione digitale: “Noi abdichiamo al controllo dei nostri dati a favore di Google, Facebook e 23andMe, proprio come all’inizio del XX secolo i coltivatori texani furono felici di accettare misere somme di denaro in cambio del diritto di altri a sondare i loro terreni alla ricerca di petrolio, inutile per la loro attività di coltivatori o allevatori”. E invece sono proprio questi dati il nuovo oro che sembra dettare le regole della “borsa digitale”. 

Si potrebbe anche scegliere di non realizzare l’ideale dell’economia sociodigitale, chiosa Agar, e continuare a considerare le tecnologie come influenze di principio sull’esperienza umana collettiva, però dovremmo allora attenderci o temere un futuro disumanizzato, dominato in tutto e per tutto dal valore dell’efficienza. Una vera e propria scelta di estinzione programmata con consapevolezza, avendo volutamente optato per “cedere le nostre occupazioni alle versioni robotiche e migliori di noi stessi”. 

Del resto, in un mondo dove sono le macchine a farla da padrone, rischiamo davvero di diventare una sorta di nuovi gladiatori, e Prencipe nella prefazione al libro di Agar si chiede se arriveremo a dipendere da “un algoritmo-imperatore che deciderà della nostra vita e della nostra morte con un pollice verso”. 

I gladiatori facevano appello alla pietas degli imperatori, ma sembra davvero arduo poter contare su un sentimento così umano quando si ha a che fare con le macchine. E conviene anch’egli con l’autore che “conservare l’umanità anche nell’era digitale, o almeno rendere quest’ultima più umana, può allora essere l’unica via di uscita da questo apparente vicolo cieco”. 

Bibliografia di riferimento

Nicholas Agar, Non essere una macchina. Come restare umani nell’era digitale, Luiss University Press, Roma, 2020. Traduzione di Anna Bissanti dal testo originale in lingua inglese How to be human in the digital economy, MIT Press (Massachusetts Institute of Technology Press), Stati Uniti d’America, 2019. Edizione italiana con prefazione di Andrea Prencipe.

Commenta