Condividi

Risparmio, i Cir e il loro lato debole: lo dimostrano i Pir

Ispirandosi ai Pir e agognando il loro successo, il Governo Lega-M5s vorrebbe lanciare i Conti individuali di risparmio per veicolare i soldi dei risparmiatori sui titoli di Stato – Ma se il rischio Italia continua a salire, il fallimento è dietro l’angolo.

Risparmio, i Cir e il loro lato debole: lo dimostrano i Pir

Il 2017 è stato l’anno dei Pir. Il 2019, secondo le intenzioni del Governo, potrebbe essere l’anno dei Cir. Dai Piani individuali di risparmio si passa ai Conti individuali di risparmio. La differenza? I primi intendono veicolare il risparmio degli italiani sulle piccole e medie imprese, i secondi vogliono spostarlo sui titoli di Stato.

CIR: COSA SONO E COME FUNZIONANO

Spingere i cittadini a comprare i bond italiani per riportare un po’ di debito in casa nostra – oggi la quota di Btp in mano agli italiani è intorno al 5/6% – e rilanciare il settore delle infrastrutture. Questo lo scopo dei Cir, uno strumento che, in base alle indiscrezioni, sarebbe in fase di elaborazione da parte del Mef e che potrebbe fare il suo debutto l’anno prossimo.

L’oggetto dell’investimento è dunque chiaro: “titoli di Stato e similari emessi, al fine del consolidamento, miglioramento e sviluppo delle infrastrutture” con “vincolo di acquisto all’emissione e possesso fino a scadenza”. Non solo, ogni emissione dovrebbe essere legata a opere pubbliche: scuole, strade, ecc.

Il meccanismo di funzionamento sarebbe lo stesso dei Pir, da cui i Cir traggono dichiaratamente ispirazione: prevedere degli incentivi per i risparmiatori che decidono di investire in Btp.

Facciamo un breve passo indietro. I Piani individuali di risparmio funzionano così: gli investitori che ne acquistano uno e lo mantengono per almeno 5 non dovranno pagare le imposte su capital gain e rendimenti.

Ci sono anche delle regole per la composizione del portafoglio: almeno il 70% del valore complessivo dei Pir deve essere investito in strumenti finanziari emessi o stipulati da imprese residenti in Italia o in Stati membri dell’UE o in Stati aderenti allo Spazio Economico Europeo aventi attività stabile in Italia. Di questo 70 per cento, almeno il 30% deve essere investito in strumenti finanziari emessi da imprese diverse da quelle inserite nell’indice FTSE MIB, al fine di premiare le piccole e medie imprese.

CIR: LE AGEVOLAZIONI FISCALI PREVISTE

La chiave da tenere in considerazione dunque sono le tasse. I risparmiatori che decideranno di puntare sui Cir, acronimo di conti individuali di risparmio, potranno contare su un pacchetto definito di agevolazioni fiscali: chi manterrà i titoli fino alla loro scadenza non pagherà l’irpef sui rendimenti, avrà la possibilità di dedurre il 23% delle cifre investite ed eventuali plusvalenze o minusvalenze non conteranno ai fini Irpef.

“Non vogliamo certo chiedere l’oro per la Patria. Ma aiutare chi investe nei titoli italiani è nostra convinzione da anni e c’è nel contratto di Governo. E’ possibile pensare a nuove emissioni di titoli facendo pagare meno tasse a chi investe nel proprio Paese”, ha sottolineato il vicepremier, Matteo Salvini.

Ogni investitore potrà investire in Cir un massimo di 3mila euro l’anno.

I PIR E I DUBBI SUI CIR

Nel 2017, anno del loro debutto, i Piani individuali di risparmio hanno riscosso un successo talmente inaspettato da spingere molti economisti a gridare quasi al “miracolo”. Parlando in cifre, l’anno scorso la raccolta dei Pir è stata pari a 10,902 miliardi a fronte degli 1,8 miliardi previsti alla vigilia dal ministero dell’Economia.

Proprio questo successo ha ispirato il nuovo Governo che spera di ripercorrere le orme del vecchio Esecutivo (i pir sono stati lanciati dal Governo Renzi), veicolando però il denaro degli italiani sui Btp. Tra l’altro, nel caso in cui le intenzioni si trasformassero in dati, l’Esecutivo raggiungerebbe anche altri due scopi consequenziali: mettere al riparo, almeno in parte, i nostri titoli di Stato dalle vendite degli operatori stranieri in caso di turbolenza dei mercati e trovare nuove risorse per finanziare le opere pubbliche.

Il problema è che a mettere i bastoni tra le ruote ai Cir potrebbe essere proprio il mercato. Il motivo ce lo suggeriscono proprio i Pir. Gli 11 miliardi di raccolta del 2017 sono stati possibili anche grazie alla cavalcata di Piazza Affari e alla stabilità di spread e rendimenti. Tant’è che nei primi 6 mesi del 2018 i Pir hanno raccolto “solo” 3,38 miliardi e secondo Equita, a fine anno si raggiungeranno i 6,5 miliardi, circa il 40% in meno rispetto all’anno precedente.

Alla base del netto ribasso ci sono proprio le turbolenze della Borsa e l’incremento del “rischio Italia”, causati dalle mosse del nuovo Governo e dalla sfida aperta che Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno deciso di lanciare all’Europa. Non a caso, se si prendono in considerazione solo le Mid e le Small Cap (cioè le aziende su cui i Pir investono) ci rendiamo conto che continuano a trattare a premio.

Senza stabilità economica e finanziaria dunque, i Cir rischiano di diventare un grande buco nell’acqua, tanto più che tradizionalmente i titoli di Stato sono le prime vittime della speculazione e della mancanza di fiducia che i mercati dimostrano nei confronti di un Paese. Il Governo farebbe bene a valutarlo.

(Ultimo aggiornamento: ore 10.26 del 10 ottobre).

Commenta