Condividi

Riforma della Pubblica amministrazione, spending review e altre riforme per la ripresa

La recessione è finita ma per consolidare la ripresa è fondamentale andare avanti con le riforme, soprattutto con quella della Pubblica amministrazione, che però procede a rilento e che invece è essenziale anche per il decollo del Jobs Act – Troppo scarse le risorse per l’Agenzia nazionale delle politiche attive: che differenza con la Germania.

Riforma della Pubblica amministrazione, spending review e altre riforme per la ripresa

La recessione sembrerebbe, davvero, finita. Nei primi tre mesi dell’anno, la crescita è stata dello 0,3 per cento. Un risultato incoraggiante, che arriva dopo dieci trimestri con il segno meno, ma pur sempre insoddisfacente se si considera la congiuntura internazionale molto favorevole (petrolio basso, tassi ai minimi ed euro debole) e il confronto con gli altri paesi. La Spagna, tanto per fare un esempio, è cresciuta dello 0,9 per cento rispetto al trimestre precedente e del 2,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2014 (l’Italia dello 0,1 per cento).

Per consolidare la ripresa è fondamentale andando avanti con le riforme: mercato del lavoro, scuola, giustizia, e soprattutto pubblica amministrazione. Quest’ultima, tra emendamenti, passaggi parlamentari e dubbi espressi dalla Corte dei Conti, procede a rilento. Eppure, senza una definizione chiara del perimetro di azione dello stato e delle risorse a disposizione – obiettivi che ad oggi mancano – è difficile che le altre riforme possano esplicare fino in fondo i propri effetti. A cominciare dall’occupazione.

Prediamo il caso dell’Agenzia nazionale per le politiche attive, strumento voluto dal governo per facilitare la ricerca del lavoro. Il buon funzionamento di questo ente è legato all’ammontare delle risorse investite, dalla divisione dei compiti tra pubblico e privato e dalla competenza del personale. Il decreto, approvato per ora solo in prima lettura, prevede un organico di circa 400 addetti. In futuro dovrebbero confluire i dipendenti dei centri per l’impiego delle Regioni (circa 6mila) e delle Province (8mila dei 20mila da ricollocare).

È lecito domandarsi se le risorse messe in campo siano adeguate, sia in termini quantitativi che qualitativi, anche alla luce del flop del programma “Garanzia Giovani” – 1,5 miliardi di euro di finanziamenti dall’Europa – che fino ad oggi ha permesso di trovare uno stage o un training a solo l’8 per cento dei circa 450mila ragazzi registrati. In Germania, ad esempio, l’Agenzia federale del lavoro impiega – con un certo successo visto che la disoccupazione è al 7 per cento -, oltre 120 mila operatori e dieci volte le risorse dell’Italia. Ciò è stato possibile grazie alla ridefinizione dei compiti del settore pubblico e della revisione della spesa che ha consentito risparmi per oltre 4 punti percentuali nel quinquennio 2002-2007, liberando così risorse da destinare alla politiche attive.

Il lavoro non si fa per decreto ma sicuramente una riforma della pubblica amministrazione che definisca in modo chiaro chi fa cosa e con quali risorse è essenziale per creare le condizioni per far funzionare il Jobs Act.

Commenta