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Rifiuti, Pil, economia circolare: perché l’Italia non ha una strategia vincente?

La simbiosi industriale fatica ad affermarsi in Italia. Uno studio del Centro ricerche Ref esamina i dati sugli scarti industriali e indica soluzioni a medio termine

Rifiuti, Pil, economia circolare: perché l’Italia non ha una strategia vincente?

Nel futuro energetico dell’Italia c’è una ricchezza che ancora non si riesce a sfruttare appieno: la simbiosi industriale. Quel processo virtuoso attraverso il quale i sottoprodotti di scarto sono utilizzati come materia prima per altre produzioni. La capacità di intervenire in questo ambito avrà come conseguenza la creazione di nuovo valore aggiunto. Fino ad oggi questa capacità è stata eccessivamente ristretta “limitando la remissione di scarti nelle filiere produttive, senza ulteriori trattamenti”. Il momento è favorevole in quanto sia con il Programma Nazionele Gestioni Rifiuti (PNGR) che con la Strategia Nazionale per l’Economia Circolare (SNEC) si possono superare limiti organizzativi e strutturali. Uno studio curato da Andrea Ballabio, Donato Berardi e Nicolò Valle del Centro Ricerche Ref “Pil e rifiuti da attività economiche. Quel disaccoppiamento ancora lontano” fornisce la base su cui impostare le nuove strategie per risparmiare soldi e spingere sul disaccoppiamento (decoupling) tra creazione di valore e produzione di rifiuti in Italia. I dati raccolti dai tre ricercatori evidenziano l’urgenza di intervenire, in particolare, riducendo i rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti medesimi. 

La gestione dei rifiuti in Italia tra nuove norme e finanziamenti

Le riforme previste dal PNRR per i rifiuti contengono molte indicazioni utili. “Nel cronoprogramma di attuazione delle misure della SNEC – scrivono i ricercatori – i progetti di simbiosi industriale sono richiamati. Così come l’utilizzo di strumenti normativi e finanziari per sostenerli”. La simbiosi industriale è anche uno dei pilastri della SNEC, per quel che riguarda la trasformazione dei modelli produttivi. Tra gli obiettivi al 2035 ci sono la mai raggiunta semplificazione delle autorizzazioni e l’inserimento dei distretti circolari.

Quanto ai dati su cui lavorare, lo studio attesta che nel 2020 su 174,9 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti, quelli riconducibili alle attività economiche sono stati più di 81 milioni di tonnellate. Dov’è questo patrimonio poco sfruttato? “La gestione delle acque e quella dei rifiuti sono i principali produttori, con 42,2 milioni di tonnellate, ovvero il 52% del totale dei rifiuti derivanti dalle attività economiche”.  Negli ultimi dieci anni il peso specifico di questi residui è diventato una peculiarità italiana. Se aggiungiamo che l’Italia produce più rifiuti degli altri Paesi Ue, ci rendiamo conto che il sistema produttivo gira, ma potrebbe farlo in maniera più redditizia sfruttando i propri scarti. Disaccoppiamento, dunque, è la parola magica.

Disaccoppiamento è la parola magica

Perché non riusciamo a darle sostanza? “Le politiche ambientali degli ultimi anni, nello specifico quelle che ruotano intorno al tema dell’economia circolare, si sono concentrate sul tema del decoupling – si legge nello studio di Ref -. Nel nostro Paese, invece, la produzione di rifiuti da attività economiche cresce a ritmi superiori a quelli del Pil. Le imprese gestiscono come rifiuti anche materiali e scarti che potrebbero essere reimmessi nel processo produttivo”. Più di un rifiuto su cinque di quelli legati alle attività economiche sono scarti di selezione. E il fenomeno si spiega in parte con la carenza di impianti su cui è intervenuta una politica di corte vedute. “È evidente che tali numeri celano anche la mancanza di impianti per la chiusura del ciclo dei rifiuti, specialmente di recupero energetico”. Sono le dolenti note di un’altra peculiarità italiana rispetto a Paesi come Francia e Germania.

Per fortuna il PNGR “raccomanda la preferenza per opzioni impiantistico-tecnologiche finalizzate al recupero energetico diretto”. Nel gran giro della spazzatura, la raccolta differenziata continua ad essere centrale. Non a caso – osservano Ballabio, Berardi e Valle – bisogna incrementare anche la qualità “e non soltanto la quantità dei rifiuti derivanti dalla raccolta differenziata, andando così a ridurre i rifiuti residui“. Un buon metodo per avere recupero energetico a discapito dello smaltimento in discarica.

Tra le soluzioni a medio-lungo termine, infine, per ridurre gli scarti c’è quella dell’eco design. L’Italia è ben incamminata, ma se riesce a crescere di più nella “progettazione dei beni che ne riduca l’impatto ambientale lungo l’intero ciclo di vita, avremo un più ampio ricorso alle pratiche di simbiosi industriale”. Le scelte della politica e dell’imprenditoria dovrebbero dare corpo a valutazioni di questo tipo, le quali non fanno altro che spianare la strada a nuove forme di economia. Perché l’Italia può diventare anche un modello cui ispirarsi.

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