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Reti elettriche e nuove tariffe: come cambiano le regole del gioco

Nel nuovo sistema tariffario introdotto dall’Autorità dell’energia per le reti elettriche ci sono importanti segnali di discontinuità e significative novità nel modello di regolazione ma gli investimenti innovativi meriterebbero una incentivazione più forte – La sfida sulla crescita economica del Paese passa anche da qui

Reti elettriche e nuove tariffe: come cambiano le regole del gioco

Nei giorni scorsi l’Autorità per l’energia ha deciso le nuove tariffe per l’uso delle reti di trasmissione e di distribuzione. Anche se entrano nella bolletta finale pagata dal consumatore  con un peso relativamente contenuto (15%), non per questo sono meno rilevanti: da come sono regolate e remunerate le reti dipendono gli investimenti e quindi la qualità del servizio elettrico. La nostra regolazione e la nostra Autorità hanno una eccellente reputazione: la qualità del servizio è buona e i costi sono rimasti stabili dal 2000 in termini nominali.

In questa circostanza il Regolatore si è trovato di fronte ad alcune importanti discontinuità: sul fronte finanziario, i tassi d’interesse sono a livelli bassissimi ma non per questo si poteva ribaltare interamente tale riduzione sulla remunerazione del capitale, pena un disincentivo agli investimenti; sotto il profilo industriale si registrano modifiche strutturali con l’affermarsi della generazione distribuita e l’integrazione delle rinnovabili nonché nel tipo di domanda che si va spostando verso i consumi non industriali e più flessibili, il che richiede un potenziamento della rete in particolar modo nei grandi centri urbani; sotto il profilo regolatorio sono infine intervenuti mutamenti sostanziosi nell’orientamento del paese guida – il Regno Unito – di cui non si poteva non tener conto.

L’Autorità ha affrontato questo scenario con saggezza: ha gestito bene le aspettative degli operatori e poi, come si direbbe in politica, ha “occupato il centro” per ottenere il massimo dei consenso; ha ridotto la remunerazione (dal 6.4% al 5.6% nella distribuzione e dal 6.3% al 5.3% nella trasmissione) ma non ha scontentato gli investitori (che si aspettavano scenari peggiori); è stata più stretta con la trasmissione che con la distribuzione coerentemente con i diversi profili di rischio e quindi ha ampliato la forbice nella remunerazione; nella trasmissione ha anche ridimensionato gli incentivi e alcuni trattamenti agevolati sugli investimenti ma “senza esagerare”; ha introdotto significative novità nel modello di regolazione (il passaggio al cosiddetto schema totex) ma con juicio rinviandone l’applicazione alla secondo parte del periodo regolatorio; ha mantenuto i premi per la continuità del servizio. E infatti la borsa, sempre molto sensibile, ha reagito bene e i titoli delle utilities si sono apprezzati: se guardiamo all’andamento del titolo di Terna, che più di altri  risente della regolamentazione, dall’inizio dell’anno, da quando cioè è iniziata la review regolatoria, registriamo un apprezzamento del 25% laddove l’indice internazionale delle utilities è rimasto sostanzialmente stabile.  

Il che non vuol dire che non si sarebbe potuto fare di più.  Aree di possibile miglioramento rimangono sia un planning integrato nello sviluppo delle reti e un quadro prospettico di lungo periodo sia, soprattutto, l’incentivazione degli investimenti innovativi. Relativamente a quest’ultimo aspetto, il settore, in particolare quello della distribuzione, è di fronte a importanti innovazioni tecnologiche per realizzare una diversa nervatura tecnologica dei centri urbani (smart cities); qualcosa c’è nelle nuove regole ma deve essere ancora definito e comunque ha un peso  marginale nella manovra complessiva. Da questo punto di vista si tratta di un’occasione mancata. E negli operatori c’è sicuramente qualche scontento: il livello del costo del debito riconosciuto del 2.2% in termini reali, a cui oggi corrisponde un tasso nominale del 3%, è verosimilmente basso per alcune società e, in un confronto internazionale, la remunerazione del capitale delle utilities italiane non va certo a collocarsi nella fascia alta.

In ogni caso la partita regolatoria non si chiude qui: vi sono le innovazioni annunciate da implementare e alcune questioni ancora da definire come quella degli investimenti collegati agli aumenti di potenza nelle aree urbane (le cosiddette colonne montanti) e alle smart cities. Non tutto infatti finisce nel WACC, il famoso acronimo ben noto ai practitioners del settore (solo circa il 50% dei ricavi regolamentati sono a fronte della remunerazione del capitale) e “magnifica ossessione” degli analisti finanziari. Da come si svilupperà il confronto su questi temi nei prossimi mesi  dipende anche la possibilità di recuperare terreno nel sostegno all’innovazione tecnologica e nella qualità del processo d’investimento. Contribuire alla crescita economica del paese è una sfida importante per il Regolatore e per le imprese che deve essere ancora vinta.

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