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Renga (Polimi): “Agricoltura 4.0 rivoluzionerà l’agroalimentare”

INTERVISTA A FILIPPO RENGA, direttore dell’Osservatorio Smart Agrifood della School of Management del Politecnico di Milano: “L’agricoltura digitale in Italia vale già 100 milioni di euro, anche se occupa solo l’1% dei terreni coltivati: ma sta crescendo a vista d’occhio anche al Sud grazie a molte startup italiane” – Agricoltura 4.0 è applicabile in tutte le fasi produttive e avrà sempre di più un “ruolo decisivo per made in Italy, lotta alla contraffazione e cambiamenti climatici” – VIDEO.

Renga (Polimi): “Agricoltura 4.0 rivoluzionerà l’agroalimentare”

“Ciò che non si misura, non si migliora”. E’ con questo semplice ma importantissimo concetto che opera l’Agricoltura 4.0, ovvero l’insieme degli strumenti tecnologici interconnessi, dai droni ai sensori, dal blockchain ai Big Data, dai software di elaborazione a tutto l’universo dell’Internet of Things, che renderanno l’agricoltura, che mai come in questo periodo attrae i giovani, sempre più digitale e dunque sicura, sostenibile e produttiva, migliorando la qualità dei prodotti e le condizioni di lavoro. “In Italia – spiega a FIRSTonline Filippo Renga, direttore dell’Osservatorio Smart Agrifood della School of Management del Politecnico di Milano – l’Agricoltura 4.0 ha un mercato di circa 100 milioni di euro, il 2,5% di quello globale. La diffusione di queste soluzioni è ancora limitata e oggi meno dell’1% della superficie coltivata complessiva è gestito con questi sistemi, ma il trend è di forte crescita e potrà garantire competitività ad uno dei settori chiave per l’economia italiana, l’agroalimentare, che contribuisce per oltre l’11% del Pil e per il 9% sull’export”.

Ingegner Renga, che cos’è l’Agricoltura 4.0?

“L’insieme di soluzioni tecnologiche, interconnesse, che consentono una verifica più attenta, sia preventiva che a posteriori, dei processi produttivi agricoli e dei prodotti alimentari. Le informazioni digitali, rispetto a quelle analogiche, oltre ad essere quantitativamente di più, sono più trasparenti e più elaborabili. Sono inoltre applicabili a tutte le fasi produttive: dalla semina alla raccolta, alla distribuzione. Siamo ora in grado di controllare l’utilizzo dei fertilizzanti, il processo dell’acqua, gli stessi alimenti che vengono somministrati agli animali da allevamento. Siamo in grado, tramite strumenti come i QR Code ma non solo, di tracciare gli alimenti in tutto il mondo, di riconoscere la loro autenticità, di sapere come e dove vengono distribuiti. Questo significa tanto a livello di tutela del made in Italy e di controllo della qualità dei prodotti, sia a valle per il consumatore, che disporrà di tutte le informazioni sull’autenticità e la sicurezza del prodotto, che a monte per il produttore, per controllare meglio ciò che sta andando a vendere. E’ importante inoltre per la lotta alla contraffazione in un settore, quello agroalimentare, che vale l’11% del Pil, e anche per reagire in maniera più tempestiva ed efficace quando sorgono problemi che portano, ad esempio, al ritiro dei prodotti dal commercio. Infine, l’Agricoltura 4.0 rende l’agricoltura più sostenibile, più efficiente: l’insieme dei dati raccolti ed elaborati consente di evitare sprechi e di produrre di più sullo stesso terreno, o di usare meno terreno per produrre lo stesso”.

Con quali strumenti, concretamente?

“L’Osservatorio Smart AgriFood del Politecnico ha censito 220 soluzioni offerte in Italia da più di 70 aziende. Circa l’80% delle soluzioni offerte è applicabile in fase di coltivazione e il 12% anche in quella di pianificazione. Gli strumenti: quasi la metà utilizza quelli legati all’Internet of Things, come i sensori, disposti sia sulle macchine che sui campi; i droni e tutta la robotica, utilizzati sia in fase di semina che di raccolta; i trattori a guida autonoma; la certificazione dei mangimi con i quali si nutrono gli animali dai quali ricaviamo prodotti, come il latte. Persino la tecnologia blockchain ha la sua parte, nella registrazione di tutte le informazioni sul percorso del prodotto e quindi sulla sua tracciabilità. Il 73% delle aziende censite sfrutta dati e analytics e il 57% sistemi software di elaborazione”.

In Italia però l’Agricoltura 4.0 è ancora poco utilizzata: vale 100 milioni, ma solo l’1% della superficie nazionale coltivata utilizza queste soluzioni.

“Sì, anche se il trend è di una crescita molto veloce, che nel 2018 potrebbe essere a due o anche a tre cifre, quindi più che triplicata sia come mercato che come espansione territoriale. C’è anche da dire che quello che sta decollando è un mercato sano, che non gode per ora di incentivi pubblici, quindi è basato soltanto sugli investimenti delle singole aziende. I settori che corrono più velocemente sono il vitivinicolo e il caseario e la trasformazione digitale dell’agricoltura riguarda migliaia di aziende, sia grandi che piccole. Non abbiamo registrato particolari differenze di dimensioni e nemmeno territoriali: c’è un dinamismo interessante anche al Sud, questa può essere un’opportunità per gli imprenditori meridionali e qualcuno la sta già cogliendo”.

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Di sicuro il fenomeno vede l’Italia protagonista, visto che il mercato vale il 2,5% di quello globale, non proprio pochissimo, e che delle 481 startup internazionali legate all’Agricoltura 4.0, sessanta sono italiane, cioè il 12%. Come mai?

“E’ dovuto alla grande ricchezza e alla grande varietà della nostra tradizione agroalimentare. Questo genera, anche tra le imprese più giovani, interesse, competenze, passione. Anche in questo caso, pur rilevando che la maggior parte di queste startup è del Nord Italia (Lombardia ed Emilia in primis), abbiamo notato che c’è un buon fermento pure al Sud. Dobbiamo sperare che i soliti, annosi problemi strutturali del nostro Paese non lo rallenti. L’Italia ha un deficit di innovazione, si investe ancora troppo poco, a livello generale, non solo nell’agricoltura”.

Ad agosto due episodi di cronaca hanno portato l’attenzione sul mondo agricolo e sulla sicurezza di prodotti e condizioni di lavoro: la condanna della multinazionale Monsanto per l’uso di erbicidi pericolosi per la salute (dovrà risarcire 289 milioni a un giardiniere ammalatosi di tumore) e le stragi di braccianti stranieri nel Sud a causa del caporalato. Agricoltura 4.0 potrà in futuro evitare questo genere di situazioni?

“Senza entrare nel merito specifico, in linea generale direi sicuramente di sì. Il lavoro di raccolta nei campi è già in buona parte effettuato da macchine connesse: penso soprattutto ai droni che raccolgono i meloni, tra l’altro individuando quelli migliori e il momento giusto per andare a prenderli. Evidentemente non tutte le aziende sono pronte ad affrontare questa rivoluzione, o non hanno abbastanza risorse per affrontare l’investimento o non ne hanno l’opportunità. Ma in questo senso registriamo dinamiche sempre più positive, come ho già detto gli imprenditori anche al Sud stanno iniziando a cogliere l’opportunità. Per quanto riguarda pesticidi o erbicidi, non entro nel tema etico ma di sicuro un’agricoltura digitale, più ricca di informazione, consentirà un utilizzo più sicuro e adeguato di questi prodotti”.

Sull’agricoltura incombe anche il tema dei cambiamenti climatici, che ovunque nel mondo stanno facendo saltare la prevedibilità dei cicli naturali, mettendo a rischio ecosistemi e coltivazioni. In che modo la tecnologia può aiutare a prevenire i fenomeni estremi e a limitare i danni?

“E’ chiaro che con la tecnologia si governino meglio gli imprevisti. Avendo più informazioni e più capacità di elaborarle, si è in grado di intervenire prima e spesso anche per tempo, salvando i raccolti. Le faccio un esempio: lo scorso aprile nei vigneti del trevigiano, dove si produce il Prosecco, si è verificata una gelata eccezionale. Visto il periodo, gli agricoltori non se la sarebbero aspettata, ma dei sensori applicati direttamente sui campi hanno consentito di rilevare che la temperatura stava scendendo troppo, così si è potuto intervenire per tempo. Agricoltura 4.0 può anche avere un ruolo nella stessa lotta al riscaldamento globale: un’agricoltura “intelligente” consente infatti, come detto, di ridurre gli sprechi e utilizzare meno e in maniera più efficiente le risorse”.

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