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Prime incrinature del mito di Draghi sotto il tiro della stampa: pressing per il Qe o Quirinale?

Per la prima volta Mario Draghi è sotto il tiro incrociato di una parte della stampa e di chi spinge per anticipare il Quantitative easing – La deflazione e il mancato raggiungimento del target del 2% di inflazione lo mettono in difficoltà più della Germania – Problemi anche per l’Unione bancaria – Ma dietro gli attacchi c’è anche la corsa per il Quirinale.

Prime incrinature del mito di Draghi sotto il tiro della stampa: pressing per il Qe o Quirinale?

In due anni si passa dal “whatever it takes” al “whatever it comes” o meglio al “chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto ha avuto”. Questo e’ il senso più profondo di un recente articolo dell’editorialista Federico Fubini su La Repubblica che segue di un giorno la rampogna di Eugenio Scalfari nei confronti di Mario Draghi, il quale, anziché parlare con la stampa italiana, preferirebbe rimanere nella sua casa di campagna a cacciare farfalle (sic). Che succede? I singoli interventi giornalistici, anche se di firme illustri, non vanno mai sopravvalutati ma è’la prima volta che in Italia si critica l’icona Draghi finora visto come il salvatore dell’euro oltre che della nostra patria. E la cosa non può non far riflettere.

Sullo sfondo si intravede la corsa al Quirinale che inizia a contare su tanti iscritti, proprio tra coloro che dichiarano di non aspirare allo scranno più alto. Ma forse sono anche le prime incrinature di un mito.

Nel merito, le accuse di Fubini sono al vetriolo. Succube dei tedeschi con l’innegabile charme di presidente della più alta carica economica europea che ad ogni conferenza stampa mensile vede una ripresa dell’economia che invece si allontana sempre di più e rimprovera i paesi europei, invitandoli a riempire quanto più possibile, anche a secchiate, il vaso delle riforme. È un ‘fate presto’ che ricorda l’ammonimento del grande professor Federico Caffè a non fidarsi di coloro che invocano l’emergenza per introdurre riforme che in tempi normali non passerebbero.

Le iniziative del ‘quantitative easing’, nella più comune accezione della ‘illimitata’ immissione di mezzi liquidi nella economia senza troppi distinguo come hanno fatto Usa, Giappone e Gran Bretagna, sono poi escluse dal presidente della Bce, perché in Europa e nel nostro paese la cinghia di trasmissione tra banca centrale ed economia, cioè il sistema bancario ha in verità smesso di funzionare da qualche anno.

Nessuna responsabilità della Bce, in attesa del fatidico responso dell’Asset Quality Review, con effetti difficilmente espansivi? Alle note di Repubblica vi è da aggiungere che l’altra innovazione voluta da Draghi – il meccanismo di vigilanza europea – avrà bisogno di non pochi anni per entrare a regime e che, probabilmente, poco potrà di fronte ai guai strutturali del sistema bancario europeo o di parti di esso, se non dell’euro. E intanto come sopravvivere in tempi di procurata deflazione? 

Due conclusioni/domande che sono anche il sommesso pensiero di un cittadino interessato alle vicende monetarie e finaziarie del paese in cui vive. Si sta costruendo la nuova governance europea e cioe’ la distribuzione degli incarichi dopo le elezioni europee. Per provare a contare un minimo di più, – non si potrebbe prendere atto che il Presidente della Bce non puo’ essere espressione del paese con il più alto debito pubblico al mondo per l’inevitabile conflitto di interesse che va a minare la credibilita’ e l’indipendenza dell’istituzione? – non si potrebbe pensare che Draghi, per le ragioni indicate da Fubini, non sia in quota Italia ma in quota Germania?

Forse è troppo, ma, come conclude Fubini, soltanto Mario può smentire Mario.

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