Condividi

Populismi, non tutti sono uguali: ecco le sei tendenze

“Il futuro addosso. L’incertezza, la paura e il farmaco populista” è il titolo dell’ultimo libro di Ferruccio Cappelli, direttore della Casa della Cultura di Milano: l’autore prova a classificare un concetto eterogeneo come quello di populismo, diventato la forma politica prevalente dei nostri tempi – “Il populismo è soprattutto di destra, ma non solo”.

Populismi, non tutti sono uguali: ecco le sei tendenze

Per una classificazione dei populismi 

In questi giorni è disponibile, in libreria e sulle piattaforme online (in formato cartaceo e digitale), l’ultimo libro di Ferruccio Cappelli, direttore della Casa della Cultura di Milano, e attento commentatore della modernità che, ancora uno dei pochi a farlo, osserva dal campo visivo dell’umanesimo. Se non sono gli italiani a guardare il mondo da questo osservatorio, chi altri potrebbero essere? L’ultimo libro di Ferruccio Cappelli ha un titolo piuttosto claustrofobico e in qualche modo kafkiano, ma rende bene lo stato delle cose attuale, si chiama “Il futuro addosso. L’incertezza, la paura e il farmaco populista” edito da Guerini e associati. 

A modo suo, questo può essere un libro che si ascrive al filone, che conta tantissimi contributi e titoli nel mondo anglosassone, della saggistica di ogni tipo sulla crisi delle liberal democrazie e del liberalismo politico nelle sue differenti ed estese vulgate. Un tema di cui ci siamo occupati anche noi con svariati post e a cui il magazine e think-tank inglese, “The Economist”, sta dedicando un’attenzione spasmodica. Naturalmente l’approccio di Cappelli è differente e risente della sensibilità politica, delle esperienze e della storia delle società dell’Europa continentale che differiscono in molti tratti da quelle dei paesi di formazione e cultura anglosassone. Ma il tema è comune, perché il problema è comune. 

Di questo intenso, partecipato e bel libro, vorremmo proporre ai lettori il capitolo 12 che, con una buona immaginazione, tenta di classificare i vari tipi di populismo, un fenomeno che ha una liquidità superiore a quella dell’acqua. C’è quindi solo da plaudire a questo tentativo illuministico di Cappelli. 

Ecco l’estratto:

Nel linguaggio comune il termine «populismo» viene usato indifferentemente al singolare e al plurale: per ragioni comprensibili. Populismo indica un umore, uno stile, una mentalità: nel capitolo precedente abbiamo enucleato i messaggi che accomunano i populismi. Nel contempo bisogna fare i conti con il fatto che esso si manifesta in mille forme diverse, non di rado conflittuali fra di loro.  

Forza Italia e la Lega, due formazioni con evidenti tratti populisti, sono alleate elettoralmente ma hanno programmi e obiettivi assai diversi, al punto che la Lega ha formato un governo con quel Movimento 5 Stelle che Forza Italia considera l’avversario più pericoloso. Ancora: la Lega indica nell’Ungheria di Orbán il suo modello politico, ma Orbán è l’avversario più ostinato di quella responsabilità comune europea sull’immigrazione rivendicata a gran voce dal governo populista italiano. 

Oppure, spostando lo sguardo oltre oceano: Trump e Obrador, presidenti rispettivamente degli Stati Uniti e del Messico, sono entrambi platealmente populisti, ma perseguono interessi opposti. Anzi, la svolta politica in Messico con l’elezione di un populista progressista come Obrador è palesemente una risposta nel nome dell’orgoglio nazionale all’aggressiva retorica contro gli immigrati messicani e sudamericani usata da Trump. 

Il campo populista è quanto mai plurale, variegato: per orientarsi serve una griglia interpretativa. Ecco perché non è eludibile il problema della classificazione dei populismi, ovvero della suddivisione e del raggruppamento in diverse tendenze. Un’operazione che presenta non poche difficoltà dato il carattere fluido dei populismi, indefinibili ideologicamente e assai flessibili politicamente. 

Con un attento lavoro di comparazione si possono individuare sei tendenze. Ma con un’avvertenza: nessuna esiste allo stato puro. Esse possono mescolarsi e sovrapporsi tra di loro: la differenza sta in ciò che prevale. Questa fluidità, autentico grattacapo per gli studiosi, è probabilmente una delle ragioni di forza del populismo, o meglio: dei populismi. 

Nazional-populismo 

Non c’è dubbio: la tendenza più diffusa e più significativa è il nazional-populismoPer ragioni facilmente intuibili: il richiamo alla comunità nazionale è la prima e più naturale protezione rispetto alla globalizzazione. Da notare che gli Stati Uniti, il paese che ha avuto la funzione guida nella costruzione della globalizzazione neoliberale, è anche uno dei paesi che, con la presidenza Trump, ha imboccato con più decisione la strada del nazional-populismo.  

L’Europa segue a ruota: la Brexit è l’esito più clamoroso del nazional-populismo che, però, sta dilagando in quasi tutti i paesi europei. Catalizzatore degli strali nazional-populisti è diventata l’Unione Europea, dipinta come un’organizzazione burocratica, lontana dai cittadini, insensibile alle domande di flessibilità dei governi nazionali, subalterna al paese più potente, la Germania. Tra le conseguenze del nazional-populismo: il ritorno dei controlli alle frontiere in Europa. Anzi, le frontiere tra alcuni paesi appartenenti all’Unione sono state nuovamente sigillate per impedire i movimenti degli immigrati e dei rifugiati. 

Il nazionalismo torna a riaffacciarsi in tanti paesi del mondo e, generalmente, a sostenerlo sono nuove formazioni dai marcati tratti populisti. Che per ridare voce e potere ai cittadini, per limitare il potere della finanza globale e delle gigantesche multinazionali, ripropongono la sovranità nazionale: i neo-nazionalisti, infatti, amano definirsi sovranisti. 

Populismo identitario 

Molti populismi innalzano le bandiere dell’identità etnica e culturale. Esse vengono sventolate come barriera all’immigrazione: contro l’immigrazione islamica, oppure, nella variante largamente prevalente, contro ogni tipo di immigrazione dai paesi poveri. 

Il populismo identitario può servire anche per marcare la differenza con le minoranze interne, come, ad esempio, la minoranza rom, là dove, soprattutto in alcuni paesi dell’Est europeo, la presenza dei rom ha storicamente una notevole consistenza. 

L’identità etnica può essere sbandierata anche per sostenere le rivendicazioni indipendentiste di minoranze nazionali e linguistiche. L’Europa abbonda di regionalismi che sono andati trasformandosi in neonazionalismi identitari: la rivendicazione dell’identità etnica e culturale si è radicalizzata in questi anni di populismo dilagante e le rivendicazioni di indipendenza nazionale si sono moltiplicate. 

Populismo patrimoniale 

Si tratta della definizione più appropriata per i populismi che si propongono di difendere il patrimonio materiale e quello immateriale, ovvero una condizione di benessere minacciata dai nuovi arrivati. Il populismo dei paesi scandinavi, con la richiesta di limitare il diritto al welfare ai «veri» finlandesi e via dicendo, è largamente riconducibile a questa tendenza.  

Lo stesso tema scorre in tante altre narrazioni populiste. I nazional-populisti del Front National, per esempio, utilizzano a piene mani l’argomento che solo i francesi hanno diritto alla protezione dello Stato nazionale. In questo caso diventa una richiesta rafforzativa del nazional-populismo. 

Vi sono anche rivendicazioni indipendentiste che si muovono all’interno di questa cornice: una regione ricca come la Catalogna desidera staccarsi dallo Stato nazionale spagnolo in virtù della propria tradizione linguistica e culturale, ma anche per non condividere e non redistribuire il suo gettito fiscale con le parti più povere del paese. In questo caso si tratta di stile e mentalità populista utilizzati per rassicurare le inquietudini di chi usufruisce di condizioni di relativo privilegio. 

Populismo antipolitico 

Si tratta di una tendenza che permea molti populismi anche sostanzialmente diversi: i movimenti che propongono una critica radicale del sistema politico sono andati diffondendosi in tanti paesi. I temi proposti hanno una ricorrenza perfino sorprendente non solo da paese a paese ma anche tra differenti fasi storiche: il partito che ha appena trionfato nello Stato indiano di New Delhi si chiama Partito dell’Uomo Comune, nome quasi indistinguibile dal Partito dell’Uomo Qualunque che furoreggiò nell’Italia meridionale del dopoguerra.  

In questa tendenza si possono individuare due spinte diverse: una domanda di rinnovamento radicale della democrazia oppure la proposizione dei più cupi umori antidemocratici. Vi sono populismi che risentono fortemente di una sola delle suddette spinte, mentre in altri movimenti populisti le due spinte possono coesistere, incontrandosi e mescolandosi.  

Generalmente tutti questi movimenti sventolano come prima bandiera la lotta alla corruzione. Ma in un attimo questa critica si allarga a tutti i politici e finisce facilmente per sfociare nella critica al sistema dei partiti in quanto tale. Un passo ancora e si arriva alla critica del parlamento stesso, dipinto come luogo di discussioni e mediazioni estenuanti che un uomo o un governo forte potrebbero risolvere in un attimo. Ansia di rinnovamento e spinte reazionarie possono quindi mescolarsi in una miscela dirompente.  

Questo populismo, in realtà, propone una critica della politica nel nome di un’altra politica: una politica più pulita, oppure più diretta, oppure, ancora, più determinata. Il successo che sta riscuotendo questa tendenza populista suona come una sferzante denuncia dell’impoverimento della politica ai tempi della globalizzazione neoliberale.  

Populismo mediatico 

Questa definizione non guarda ai contenuti della narrazione populista, ma ai mezzi attraverso i quali si impone, ovvero l’uso spregiudicato e travolgente del sistema mediatico.  

Esemplare, al riguardo, è la vicenda di Berlusconi e di Forza Italia: al momento della sua «discesa in campo» gli argomenti di Berlusconi non si differenziavano sostanzialmente dalla vulgata neoliberale. La novità stava nell’uso dei media, delle televisioni di proprietà dello stesso Berlusconi, attraverso le quali egli riusciva a costruire un rapporto diretto con i suoi elettori. Berlusconi mediaticamente ha costruito il «suo» partito, ha inventato il «suo» popolo, ha scelto i «suoi» nemici. Forza Italia in un quarto di secolo non ha mai avuto bisogno di una verifica congressuale: il leader, protetto dal fuoco di sbarramento delle sue televisioni e forte del suo patrimonio personale, ha deciso, brigato, scelto, disfatto a suo piacimento. Forza Italia ha cambiato nome più volte e ha modificato a più riprese le sue alleanze grazie alla barriera protettiva della potenza mediatica del suo leader. 

Ultimamente è stata proposta anche la categoria di populismo digitale, in realtà solo una variazione del populismo mediatico. La Rete radicalizza alcune tendenze populiste: il contatto virtuale tramite i social accentua il legame tra il leader e il suo popolo che si sente coinvolto nel processo decisionale pur avendo solo un’opzione binaria: «like» o «no like». Al tempo stesso il contatto virtuale senza quello personale diretto permette di inasprire l’aggressione contro il nemico, di inserire note e tonalità di autentica barbarie. Senza il contatto personale con l’interlocutore ci si possono concedere libertà inimmaginabili: insulti e aggressioni senza freni. Da questo punto di vista è indubbio che il populismo digitale rappresenti un’ulteriore evoluzione, un inasprimento e imbarbarimento del populismo mediatico. 

Populismo per contagio 

In un ambiente saturo di populismo può ricorrere a uno stile populista anche chi non è portatore di una narrazione populista. È esattamente quanto accaduto al leader del centrosinistra Matteo Renzi che ha utilizzato a piene mani tecniche e stilemi populisti.  

Con un altro clima nel paese non sarebbe stato possibile scatenare una campagna interna al suo partito per la «rottamazione», contro i «gufi» e i «rosiconi»: questi toni, inconsueti nella dialettica interna di un partito, sono stati legittimati dal generale contesto populista. Altrettanto si può dire per scelte politiche cui Renzi ha fatto spesso ricorso durante la sua presidenza del Consiglio. Come l’elargizione di 80 euro ai lavoratori, non prevista da nessun programma elettorale, senza discussione e contrattazione con le parti sociali, per iniziativa e decisione personale del leader: un tipico atto di governo populista. 

L’esperienza italiana dimostra ampiamente che, quando il populismo si impone in un paese, è difficile sfuggire alla sua morsa. Esso condiziona tutta la vita pubblica; la immerge in un clima e in uno stile che tendono a trasmettersi a tutti i protagonisti politici. 

Populismi di destra e populismi di sinistra? 

In un’epoca in cui spesso è negata la classificazione ordinaria destra-sinistra, vi sono effettivamente populismi che difficilmente possono rispondere a tale tipo di classificazione. Dare voce all’insicurezza e all’isolamento di pezzi di popolo può portare sia a destra sia a sinistra: può sboccare nell’astiosa rivalsa contro chi è ancora più debole, contro gli immigrati, contro gli ultimi e gli ultimissimi, oppure nella progettazione di un sistema di protezione sociale. Altrettanto dicasi per la critica della politica: può rifluire nelle suggestioni da partito dell’ordine e dell’uomo forte, come può anche sbocciare in un progetto di democrazia rivitalizzata dalla trasparenza e dalla partecipazione. 

In ogni caso oggi le formazioni populiste assumono in maggioranza connotazioni di destra. Le questioni che sollevano vengono infatti affrontate evocando la chiusura, il ripiegamento, il ritorno all’indietro, con un’impostazione culturale che tende a saldarsi con le spinte più conservatrici: nazionalismi, salvaguardia di privilegi, limitazione dei diritti civili degli stranieri, liberalizzazione del porto d’armi, militarizzazione degli spazi pubblici ecc. 

Questo esito non è però sempre e necessariamente scontato. Come dimostrano anche i pochi populismi di sinistra esistenti, è possibile affrontare le stesse questioni con altre cornici culturali, sotto il segno dell’apertura, dell’uguaglianza, dell’universalismo, dello sguardo fiducioso verso il futuro. In tal modo pervengono a obiettivi e programmi politici che rientrano effettivamente nell’alveo della sinistra. 

In Europa Podemos e France Insoumise, formazioni che rivendicano la propria matrice populista, si collocano indubbiamente a sinistra. Altrettanto dicasi per alcuni populismi centro e sudamericani, come quelli del messicano Obrador e del boliviano Morales. Ma classificare i populismi in base alla collocazione sull’asse destra-sinistra sarebbe riduttivo.  

I populismi, infatti, non si formano per collocarsi a destra o a sinistra: la preoccupazione dei leader populisti mentre costituiscono il «loro» popolo non è quella di posizionarsi lungo l’asse destra-sinistra. La loro operazione, generalmente, nasce e si sviluppa per altre ragioni: per dare protezione e rappresentanza a pezzi di popolo, per difendere e rappresentare realtà etniche e culturali, per risanare e reinventare la politica. La loro collocazione sulla destra o sulla sinistra dello schieramento politico dipende da come si combinano queste rivendicazioni e dal contesto in cui si inseriscono.  

La prevalenza dell’una o dell’altra opzione dipende da molti fattori: dalle scelte dei gruppi dirigenti, dal contesto generale, dagli orientamenti culturali prevalenti nella società. Insomma, la partita per orientare in un senso o nell’altro i diversi populismi tende sempre a riaprirsi. 

Una definizione 

Tante sono le definizioni di populismo: evidentemente non è facile racchiudere in poche parole un fenomeno tumultuoso, complesso, ambiguo come il populismo. 

Ma, a conclusione di questi tre capitoli dedicati all’analisi del populismo e dei populismi, diventa inesorabile riproporre sinteticamente, come in una definizione, le conclusioni cui siamo arrivati. 

Dal che si deduce che il populismo è un umore, uno stile, una mentalità che, nelle sue molteplici espressioni, ripropone la centralità del popolo, esalta la funzione del leader e si definisce attraverso l’invenzione e l’identificazione del nemico. Esso, nelle sue mille difformi concretizzazioni, è diventato la forma politica tendenzialmente prevalente ai tempi della crisi della globalizzazione neoliberale, nell’epoca della democrazia disintermediata, della solitudine e dell’insicurezza, dello spaesamento, quando lo sguardo degli esseri umani si rivolge al passato perché il futuro sembra rotolare loro addosso. 

Commenta