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Petrolio, produttori in ginocchio: i rischi per l’export

Per i paesi produttori la crisi di domanda innescata dal Coronavirus amplifica rigidità strutturali storiche: scarsa diversificazione e stabilità connessa a regimi con limitato pluralismo – Per il Made in Italy a rischio esportazioni per un valore di 30 miliardi.

Petrolio, produttori in ginocchio: i rischi per l’export

Quali sono le prospettive del settore petrolifero dopo il tracollo dei prezzi, soprattutto sul mercato americano, e il diffondersi di Covid-19 nei mercati di domanda? Ne emerge un quadro di un comparto già da tempo soggetto a criticità e sbilanciamenti strutturali: sebbene il petrolio continui a rappresentare il fuel of last resort per moltissime economie, la crisi del settore e quella potenziale di alcuni produttori rimane agganciata alla riduzione dei consumi nel medio-lungo termine, che singoli eventi come Covid-19 e il difficile equilibrio nell’Opec+ contribuiscono ad anticipare.

Nell’immediato, il primo timore riguarda la rapidità di diffusione del contagio in quelle zone in cui l’accesso ad acqua ed elettricità è scarso e contingentato, le misure igieniche sono carenti e il distanziamento sociale è improbabile a causa dell’elevata densità della popolazione. Desta preoccupazione, inoltre, la tenuta dei sistemi sanitari, con infrastrutture e personale medico inadeguati e impreparati a far fronte all’emergenza. Negli anni i governi della regione, piuttosto che investire nella sanità (dallo 0,6% del Pil in Yemen al 4,5% in Algeria), hanno preferito destinare risorse alla spesa militare. Al 30 marzo, l’area Mena contava circa 45.000 casi di contagio, con il primato dell’Iran (oltre 38.000), seguito da Israele (4.806) e Arabia Saudita (1.300), tenuto conto che nelle aree in conflitto i dati reali sfuggono a ogni tipo di controllo.

Per contenere la pandemia scuole, università, moschee e molte attività sociali ed economiche sono state chiuse a partire dalla seconda metà di marzo, quando i contagi hanno iniziato a crescere e si sono verificati i primi decessi. In molti paesi è stato dichiarato lo stato d’emergenza, in altri attuato anche un coprifuoco nelle ore serali e notturne. Tuttavia, in contesti già caratterizzati da restrizioni delle libertà individuali le misure eccezionali adottate dai governi non hanno fatto altro che accrescere il controllo dei regimi sui propri cittadini, anche attraverso il dispiegamento di forze militari e di polizia. Il rischio che le restrizioni possano andare oltre le esigenze di contenimento della pandemia è stato evidenziato anche in paesi più liberali come Israele, il governo ha deciso di servirsi della tecnologia per tracciare gli spostamenti individuali attraverso i cellulari. Non meno preoccupanti sono le conseguenze economiche e sociali che il rallentamento della crescita globale, in particolare di quella cinese e dei partner europei con cui l’area ha strette relazioni economiche ed energetiche, produrrà su quelle economie già fortemente provate. Se è difficile oggi quantificare quale sarà l’impatto economico effettivo della pandemia, i primi effetti negativi si sono abbattuti su rimesse e turismo: quest’ultimo conta infatti per il 16% del Pil in Tunisia, 12% in Egitto, 11% in Marocco ed Emirati Arabi.

Per il settore degli idrocarburi, il virus rappresenta uno shock della domanda. Per i paesi produttori il virus amplifica rigidità strutturali storiche: scarsa diversificazione economica, limitata capacità di imporre nuove tasse e stabilità connessa a regimi con limitato pluralismo ora alle prese con sviluppi istituzionali, Russia e Arabia Saudita in primis. Come già in passato, tuttavia, saranno le economie più aperte ed interdipendenti a subire il contraccolpo maggiore.

Dal canto suo, ogni paese sta reagendo con i mezzi a propria disposizione. In Marocco, il governo ha stanziato 200 milioni di dollari per potenziare il sistema sanitario. In Libia il Governo di accordo nazionale guidato da Fayez al-Serraj ha allocato 350 mln per fronteggiare l’emergenza sanitaria, mentre l’Egitto ha varato un pacchetto da 6,35 miliardi di dollari per sostenere la propria economia. L’Iran, stremato dalle sanzioni internazionali e dall’emergenza sanitaria, ha fatto richiesta al Fondo monetario internazionale di un prestito di 5 miliardi, per la prima volta dal 1962. A loro volta, le ricche monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) hanno messo in campo consistenti pacchetti di stimolo della crescita, dagli oltre 25 mld degli Emirati Arabi Uniti ai 17 mld dell’Arabia Saudita per totale complessivo di 97 mld, e possono contare su consistenti riserve valutarie. Tuttavia, il crollo del prezzo del greggio potrebbe avere sui paesi produttori di petrolio un impatto che va ben oltre l’economia, arrivando a mettere in discussione la tenuta di sistemi che basano il consenso politico e sociale proprio sulla redistribuzione della rendita petrolifera. E l’aiuto esterno che le monarchie petrolifere hanno finora dato alle altre economie della regione, dalla Giordania all’Egitto, potrebbe risentirne drasticamente. Secondo gli economisti della MUFG, nel 2020 la crescita dell’intera area Mena dovrebbe attestarsi al 2,1%, in calo rispetto al 2,8% inizialmente stimato, e all’1,7% per il solo GCC.

Per quanto riguarda il prezzo del greggio, questi shock sono temporanei in un contesto di mercato che già mostrava squilibri tra domanda e offerta. E i fattori che avrebbero dovuto spingere al rialzo nel recente passato sono diventati potenziali elementi di ulteriore spinta verso il basso. Per quest’anno una media intorno ai valori del 2016 (43-45 dollari per barile), precedente all’accordo Opec+ e con una domanda in rallentamento resta lo scenario di riferimento. Allo stesso tempo, più del 60% dell’offerta globale di greggio proviene da paesi i cui prodotti petroliferi rappresentano più della metà dell’export complessivo e per i quali il prezzo di pareggio per il bilancio pubblico è molto superiore rispetto ai livelli attuali. Verso questi stessi paesi nel 2019 sono stati diretti 30 miliardi di euro di export italiano: ecco allora che i rischi principali per le imprese arrivano dalla riduzione delle importazioni da parte delle economie più deboli, la contrazione degli investimenti pubblici, la modifica/cancellazione unilaterale dei contratti e probabili restrizioni valutarie. Come effetti collaterali, potrebbero inoltre aumentare la violenza politica e l’instabilità, soprattutto per quei partner alle prese con dinamiche di successione al vertice.

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