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Pensioni integrative paneuropee: il debutto (difficile) dei “Pepp”

Nel 2019 l’Ue dovrebbe varare il regolamento dei nuovi prodotti europei destinati a ridurre la differenza tra le pensioni e gli ultimi stipendi di chi lascia il lavoro. Ma si sa già che conterrà un “buco” fiscale – Farina (Ania): “Ci auguriamo che le incongruenze vengano superate nella fase finale dell’iter legislativo”

Pensioni integrative paneuropee: il debutto (difficile) dei “Pepp”

“Prodotto pensionistico individuale paneuropeo”. Nell’acronimo inglese, Pepp. Questo il nome del nuovo strumento su cui l’Ue sta lavorando per rafforzare la previdenza complementare e ridurre così il pension gap europeo – la differenza fra le pensioni e gli ultimi stipendi di chi lascia il lavoro – che secondo stime dell’Efama tocca i 2mila miliardi di euro l’anno.

I Pepp potranno essere offerti da banche, assicurazioni, fondi pensione e società di gestione o d’investimento. Saranno destinati non solo ai lavoratori (autonomi e dipendenti), ma anche a studenti e disoccupati. A differenza dei fondi pensione aperti e dei Pip (piani individuali pensionistici), i Pepp sono concepiti per essere armonizzati a livello Ue, in modo che i singoli intermediari possano collocarli in tutti i Paesi dell’Unione anche via web.

Purtroppo però i problemi non mancano. La Commissione europea ha pubblicato una prima proposta di regolamento dei Pepp nel giugno 2017, dopo di che il Consiglio europeo ha elaborato un’altra versione. Ora bisogna arrivare a una sintesi che tenga conto anche delle indicazioni arrivate nel frattempo dall’Europarlamento. Secondo alcune previsioni, il testo finale potrebbe vedere la luce nei primi mesi del 2019. Ma sappiamo già che conterrà una voragine.

Come sottolinea in un recente studio l’Associazione fra le imprese assicuratrici italiane (Ania), il problema numero uno dei Pepp è che nasceranno senza “propellente fiscale”, cioè senza gli incentivi previsti in tutta Europa per spingere i contribuenti ad accumulare risparmi nella previdenza complementare.

Trattati alla mano, per introdurre un regime fiscale ad hoc o estendere ai Pepp i bonus destinati da ogni paese alle pensioni integrative, serviva il consenso unanime di tutti i membri dell’Unione. Troppo complicato: Commissione, Consiglio ed Europarlamento hanno preferito cancellare il capitolo fiscale dalle proposte di regolamento per trasferirlo in una raccomandazione (non vincolante) in cui si auspica che gli Stati membri riconoscano ai Pepp le agevolazioni previste per le forme di previdenza integrativa già sul mercato. Se però questo non dovesse accadere o accadesse in modo limitato, i nuovi prodotti pensionistici paneuropei sarebbero destinati al fallimento.

“Come ogni forma di previdenza complementare, il suo successo dipenderà dagli incentivi fiscali che saranno accordati, ma tutto questo, attualmente, rappresenta soltanto un auspicio”, ha commentato Maria Bianca Farina, presidente dell’Ania, durante il convegno “La nuova previdenza integrativa e la sfida dei Pepp”, organizzato mercoledì a Milano dall’Associazione.

Suscita qualche perplessità anche la qualificazione di prodotto “paneuropeo”, dal momento che – per come si sta configurando la normativa – i Pepp non saranno una realtà unitaria, ma una combinazione di prodotti nazionali complessi. Il progetto, spiega ancora Farina, “sarà declinato in modo diverso in ogni Paese dell’Unione, con modalità complicate per assicurarne la portabilità”. In ogni caso, “come assicuratori – conclude la presidente dell’Ania – ci auguriamo che il progetto prenda forza strada facendo” e che le incongruenze vengano superate “nella fase finale dell’iter legislativo”.

Anche secondo Andrea Lesca, responsabile Relazioni e Reti Welfare aziendale di Intesa Sanpaolo Vita, i Pepp possono essere “un’occasione di crescita per il mercato italiano. Tra pochi mesi il quadro normativo sarà quello definitivo, ma oggi già sappiamo che questo nuovo salvadanaio previdenziale sarà a disposizione di tutti, lavoratore e non”.

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