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Paolo Baratella lo chef vegano che ha sbaragliato tutti al video contest di Master Chefs

A 25 anni ha lasciato tutti di stucco vincendo a sorpresa il primo premio del video contest mondiale Chefs Bench 2020, organizzato dalla World Association of master chefs.

Paolo Baratella lo chef vegano che ha sbaragliato tutti al video contest di Master Chefs

A 25 anni ha lasciato tutti di stucco vincendo a sorpresa il primo premio del video contest mondiale Chefs Bench 2020, organizzato dalla World Association of master chefs.

alla quale hanno partecipato cuochi da tutto il mondo. E ha vinto – è questa è stata la seconda grande sorpresa di quella memorabile competizione – con un piatto vegano, l’unico presentato in gara.

Insomma se non è svenuto in quella occasione poco ci è marcato. Il protagonista di questa ribalta si chiama Paolo Baratella, Il piatto presentato che ha convinto i giudici? la “Crostata salata di lenticchie con mostarda piccante di pere, letto di crema di avocado e insalatina di verdure grigliate”.

Fulmine a ciel sereno quello del giovanissimo Chef toscano.

Baratella, 25 anni, terzo di due fratelli, aveva avuto in un certo qual senso fino a quel momento una vita professionale abbastanza lineare. Da bambino sognava di fare tante cose, praticava ginnastica artistica dicevo con gli amici di allora che da grande avrei voluto fare il signore degli anelli come Yuri Chechi. E invece degli anelli si da ai fornelli e si iscrive alla Scuola alberghiera

Aurelio Saffi di Firenze. Fra un corso va a lavorare in alcuni ristoranti di Firenze, tirocini che lo formano progressivamente facendogli comprendere cosa significhi lavorare in una cucina ed avere delle responsabilità. Momento importante sicuramente è stato il primo lavoro presso il ristorante “Officina del Gusto” del mio paese. Quelli sono stati i primi servizi in cucina dove effettivamente ho dovuto rimboccarmi le maniche e come si direbbe in gergo “marciare”. Ebbene si, i coperti da servire erano molti e quando si è alle prime armi può spaventare, ma quando incominci a vedere che riesci a concludere i servizi avendo fatto un bel lavoro ti convinci ogni volta di più di ciò che stai facendo e della passione che stai coltivando.

E così con i primi soldi guadagnati, prima di riprendere la scuola alberghiera, se ne va una settimana a Ibiza a studiare la cucina iberica di cui tanto si parla. Dopo il diploma i tempi sono maturi per dare una impronta più decisa alla sua formazione e senza avere alcuna certezza di trovare un lavoro se ne parte per Londra. Ma siccome la fortuna aiuta gli audaci, ecco che dopo un mese in cui cominciava un po a preoccuparsi per il suo futuro, gli si offre la possibilità di lavorare presso il più grande albergo d’Europa, l’Hilton Metropole di Londra, 1059 camere.

Un passaggio fondamentale della sua vita. Nelle cucine del Metropole è il più giovane di una brigata composta da 28 chef ma ce la mette tutta: da “commis chef” passa a “demi chef” e in breve diventa “chef de partie”. E’ addetto alla sezione del pesce.

Uno dei piatti del giorno che lui curava ebbe molto successo: un millefoglie di tonno con cialde di parmigiano e inframmezzati carciofi e salicornia, nota anche come asparago marino perché nasce solitamente sulle battigia, saltati in padella. A guarnire una crema di peperoni rossi e una di spinaci e in cima un uovo di quaglia in camicia che al taglio andava a cospargere il tuorlo.

“Fu una grande soddisfazione per il risultato ottenuto e per la quantità venduta come piatto del giorno”. Ma il Metropole segna anche un’importante svolta nella sua vita. Fa amicizia con un collega delle cucine che gli racconta della sua esperienza come vegano. La cosa lo incuriosisce e lo interessa sia dal punti di vista professionale che personale: “Di conseguenza – ricorda – iniziai a documentarmi ed informarmi a riguardo per capire se effettivamente potesse essere una dieta equilibrata e fattibile. Nel giro di qualche settimana dissi “ok, basta leggere e documentarsi, mettiamo in pratica il tutto” e da quel giorno diventai vegetariano”.

Tempo due anni e Baratella va a lavorare in un ristorante vegano. Ed lì che si convince a rimuovere completamente anche quei pochi prodotti di origine animale che ancora mangiava.

“Il fattore che ha reso possibile questo cambiamento è stato l’ assumere consapevolezza che è possibile vivere senza consumare prodotti ritenuti essenziali e indispensabili per il nostro benessere, quando in realtà senza questi si ottengono grandi benefici salutari, ambientali e si evita una inutile sofferenza a degli esseri viventi. Inoltre, questo cambiamento mi ha permesso di avere la grandissima fortuna di conoscere e confrontarmi con una cucina altamente sottovalutata, ma con un potenziale infinito”.

Su questa strada intrapresa con decisione fa incontri importanti per la sua formazione come Flavio Bardelli di Finale Ligure. Chef vegano che a suo avviso “è un’enciclopedia vivente del mondo enogastronomico ed è proprio grazie a lui che ho acquisito molta più fiducia in me stesso e nelle mie abilità culinarie”.

Ma gli Chef di riferimento per Paolo Baratella sono due: Simone Salvini, un’icona del mondo della cucina vegetale,

docente presso lo Yoga Festival, il Gambero Rosso, l’Università del Gusto di Vicenza, la Scuola del Melograno di Torino, per Alma e Arte del Convivio, collaboratore dell’Associazione Vegetariani Italiana e dell’Istituto Europeo di Oncologia di Umberto Veronesi, autore di libri di successo sulla cucina vegetale e salutista, e Davide Maffioli, titolare del Ristorante “Vero” a Varese, insignito della forchetta Michelin.

In poco tempo Baratella, nonostante la sua giovane età, consolida la sua formazione vegna e conquista una sua posizione autonoma e conosciuta nel settiore. Al punto che all’interno dell’associazione di Italian Dining Summit [IDS] la prima comunità globale nata per unificare la cultura gastronomica italiana sotto lo stesso tetto, ricopre le vesti di Ambasciatore per la cucina vegetariana italiana nel mondo che, ovviamente, comprende anche la cucina vegana.

Con soddisfazione può contare di aver avuto clienti importanti che hanno provato la sua cucina, come David Beckam e la sua famiglia, o Joanne Rowling autrice della fortunata serie di romanzi di Harry Potter che ha molto apprezzato un bel piatto di carbonara vegana proposto dal giovane chef, nonché Paul McCartney, o ancora Benedict Cumberbatch, l’attore britannico, noto per aver interpretato Sherlock Holmes nella serie televisiva Sherlock, e il ruolo di Khan nel dodicesimo film di Star Trek .

Meticoloso, un pò introverso (fino a che non acquisisce confidenza) tende tuttavia razionalmente a pensare positivo (“anche se le cose intorno a me sembrano o realmente non stanno andando bene perché altrimenti mi complicherei la vita da solo”) Baratella si è approcciato alla cucina con grande umiltà. E questa dote si è rivelata vincente per la sua crescita. Oggi come oggi, non ha fretta di saltare gli ostacoli. La vittoria allo Chefs Bench 2020 della World Association of master chefs. non gli ha cambiato la vita.

Continua a lavorare alla fattoria-agriturismo Albanese Labardi a Lastra a Signa, immersa nella campagna toscana da cui si gode una meravigliosa vista su Firenze e sulle colline circostanti del Chianti. L’azienda specializzata in agricoltura biologica coltiva 7 ha di terreno a oliveto, vigneto ortaggi e frutta. La sua miniera vegetariana.

Baratella sa che affermare la cucina vegana ai livelli qualitativi di quella tradizionale nella cultura gastronomica è impresa ardua. Ma a 25 anni sa anche di avere tempo per attestare e far crescere nell’immaginario corrente le qualità non solo gastronomiche della sua cucina. Per questo studia, si tiene in contatto e si scambia informazioni con i colleghi di tutto il mondo, sperimenta, nella consapevolezza che il tempo gioca dalla sua parte soprattutto dopo che la pandemia ci ha obbligati a prestare ben altra attenzione a quello che portiamo in tavola.

Come chef dice “prediligo la cucina del mio territorio però senza alcun dubbio sono un amante della cucina globale sperimentale nel rispetto di ogni essere vivente, della stagionalità e reperibilità dei prodotti senza scordarsi di coloro che li coltivano”.

E come chef vegano cucina seguendo il suo istinto e la sua fantasia prestando attenzione ai dettagli, “offrendo sempre una cucina dove i prodotti vengono processati il meno possibile, al fine di mantenere ed esaltare i sapori e non compromettere quelli che sono i benefici alimentari”. Questo significa anche che Baratelli quando possibile tende “ad uscire da quelli che sono gli schemi prefissati offrendo quindi quasi sempre una rivisitazione dei piatti talvolta combinando ingredienti di culture differenti”.

Ed è così che, nella pratica, gli “Gnudi alla fiorentina”, ricetta tradizionale di Firenze vengono rielaborati nella versione completamente vegetale. “Per rendere omaggio alla tradizione enogastronomica di Firenze. Visto il periodo in cui ho preparato il piatto, novembre, ho sfruttato un ingrediente di stagione quale la barbabietola rossa che ha fatto da salsa per gli gnudi al posto del classico burro e salvia o salsa al pomodoro”.

E come non citare poi il piatto che gli ha dato notorietà internazionale, la vittoriosa “Crostata salata di lenticchie con mostarda piccante di pere, insalata di verdure grigliate, tartare di barbabietola e carpaccio di ravanello su letto di crema di avocado”. Un piatto – dice – che mi rappresenta al 100% perché per la realizzazione ho utilizzato principalmente ingredienti di stagione provenienti dal mio orto e da quello dell’agriturismo di mia cognata. Sentivo la necessità di ottenere una rivincita da un fallimento di una preparazione simile che avevo proposto anni prima ad un cliente a Londra”. Parole semplici non venate da trionfalismo come ci si potrebbe attendere.

Ecco, mancava un’altra caratteristica del suo carattere, la tenacia. Baratella ne ha da vendere e la impiegherà tutta perché in un futuro non lontano il concetto di cucina vegana non sia qualcosa di separato dalla grande cucina per cui l’Italia è famosa nel mondo.

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