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Nigeria: per le riforme si fa sempre più dura

La precarietà del quadro politico ed infrastrutturale e le profonde divisioni regionali cui concorrono fattori economici e di natura confessionale rendono assai difficile la trasformazione di un sistema ancora troppo poco diversificato.

Nigeria: per le riforme si fa sempre più dura

La Nigeria è il paese più popolato (179 milioni di abitanti) e il primo per prodotto interno lordo dell’Africa Sub Sahariana (569 miliardi di dollari nel 2014, il 40% del totale). Il reddito pro-capite (3180 dollari nel 2014) è superiore a quello medio per l’Africa Sub-Sahariana (2650 dollari), ma colloca la Nigeria tra i Paesi a basso reddito nella specifica classifica della Banca Mondiale. Presenta, inoltre, una concentrazione della ricchezza relativamente alta, laddove il reddito medio nel Sud del Paese è pari a quasi tre volte quello del Nord. Nonostante i ricavi derivanti dal petrolio e un tasso di crescita dell’economia negli ultimi dieci anni tra i più alti nella regione (6,1% medio nel periodo 2005-14), il tasso di povertà pari a 33,1% è ancora elevato, ma varia fortemente tra il Nord-Est, dove raggiunge il 50%, e il Sud-Ovest, la regione petrolifera, dove scende al 16%. La Nigeria è, inoltre, negli ultimi posti per l’indicatore di sviluppo umano HDI, che tiene conto dell’aspettativa di vita, del grado di istruzione e del reddito pro-capite. Anche le condizioni per fare affari non sono in Nigeria particolarmente favorevoli se confrontate con quelle esistenti in altri paesi dell’Africa secondo l’indicatore “Doing Business” della Banca Mondiale (dove la Nigeria occupa ora il 170° posto nella classifica).

L’agricoltura contribuisce a quasi un quarto del PIL reale (20,5% seminato, 1,6% allevamento, 0,5% pesca, 0,2% attività forestale) e occupa circa il 70% della forza lavoro. La produzione agricola si può dividere in due grandi categorie: raccolti per il consumo interno come la manioca, il sorgo, il miglio e la patata tropicale da una parte, piantagioni per l’esportazione come il cacao e la gomma dall’altra. L’estrazione di petrolio è rimasta negli ultimi dieci anni sostanzialmente stabile attorno ai 2,4 milioni di barili al giorno. A questo quantitativo bisognerebbe però aggiungere la quota oggetto di ruberie e di fuoriuscita dai pozzi stimata attorno a 0,2 milioni di barili al giorno. Secondo stime della British Petroleum, a fine 2013, le riserve di petrolio della Nigeria (37 miliardi di barili), erano pari al 2,2% del totale mondiale, quelle di gas (5,1 trilioni di metri cubi) al 2,7%. Il peso dell’attività di estrazione di idrocarburi si è dimezzato nell’ultimo decennio scendendo a poco più del 10% del PIL nel 2014. L’economia nigeriana resta tuttavia fortemente dipendente dai combustibili fossili, che forniscono circa il 60% delle entrate fiscali e oltre il 90% dei proventi dalle esportazioni.

Il manifatturiero ha un peso pari al 10% del PIL. Le principali industrie sono la trasformazione alimentare (45% del totale), il tessile-abbigliamento (oltre il 20%) e i materiali da costruzione. Lo sviluppo di questo settore è stato frenato dalla scarsa disponibilità di energia elettrica dovuta all’insufficienza di impianti di generazione e ai limiti della rete di distribuzione. Come in altri Paesi limitrofi, le attività commerciali e la telefonia hanno visto un significativo sviluppo nell’ultimo decennio raggiungendo un peso nel PIL pari rispettivamente al 16,6% ed al 10,8%. Il settore finanziario (3% del PIL) è stato interessato da una grave crisi tra fine 2008 e inizio 2009: la liquidità generata dalla vendita di gas e petrolio investita in attività finanziarie e nell’immobiliare aveva alimentato una bolla, esplosa quando il prezzo del petrolio è sceso a causa della recessione mondiale. La bassa qualità del portafoglio crediti e l’eccessiva esposizione diretta o indiretta (mediante i titoli azionari offerti in garanzia dai clienti) ai mercati finanziari hanno messo in difficoltà numerosi istituti di credito, verso cui la Banca Centrale è dovuta intervenire in soccorso. Nove importanti banche sono state ricapitalizzate per 4 miliardi di dollari complessivi a fronte di sensibili perdite su crediti, mentre tre di queste sono state nazionalizzate. Inoltre, è stata istituita l’Agenzia Governativa AMCON, con il mandato di acquisire i crediti non esigibili. Il superamento della crisi finanziaria e gli elevati rendimenti hanno attirato nel biennio 2012-13 consistenti capitali dall’estero per investimenti di portafoglio e offerto un sostegno alla valuta locale. A partire dalla seconda metà del 2013 questi afflussi hanno tuttavia rallentato e la valuta è stata interessata da spinte al deprezzamento, divenute particolarmente forti nella seconda metà del 2014 a seguito del calo delle quotazioni del greggio.

Secondo dati preliminari, la crescita del PIL ha accelerato al 6,2% nel 2014 dal 5,4% dell’anno precedente. Il comparto idrocarburi, pur avendo registrato un nuovo calo (-1%), ha mostrato una migliore tenuta rispetto al 2013, quando i problemi di sicurezza nella regione produttiva del Delta del Niger e le periodiche interruzioni dell’attività in diversi impianti dovute a scarsa manutenzione avevano determinato una caduta della produzione del 13%. Il settore non-idrocarburi ha registrato una crescita in termini reali del 7,0% rispetto al +7,5% nel 2013. L’accelerazione dell’attività di coltivazione agricola (+4% da +2% l’anno prima), il settore più importante dell’economia con un peso superiore al 20%, è stata bilanciata dalla frenata di alcuni servizi, in particolare commercio, comunicazioni e immobiliare. L’attività di costruzione ha continuato a registrare tassi di crescita sostenuti (+13,1%), spinta soprattutto dalla domanda in continua crescita. Di conseguenza, le costruzioni hanno avuto una ricaduta positiva sulle produzioni correlate come il cemento che, assieme alla trasformazione alimentare e al tessile-abbigliamento, hanno contribuito all’aumento (14,7%) della produzione manifatturiera complessiva.

Come pubblicato dall’analisi del Centro Studi Intesa Sanpaolo, si ritiene che, nel corso del 2015, l’economia risentirà della discesa del prezzo del petrolio e della minore spinta dalla spesa pubblica dopo le elezioni, con stime PIL attese attorno al 4,5%. Il tasso tendenziale d‘inflazione ha chiuso il 2014 al 7,9%. Nel primo trimestre di quest’anno, il deprezzamento del cambio ha determinato nuove pressioni inflazionistiche, con il tendenziale salito all’8,5%. Tuttavia, gli elevati tassi d’interesse sono attesi favorire un rientro parziale delle pressioni entro fine anno.

La Bilancia dei Pagamenti della Nigeria registra un consistente surplus di conto corrente (mediamente pari al 16% nel quinquennio 2009-13), determinato dalla parte commerciale e dai trasferimenti, soprattutto rimesse. Il conto finanziario, al netto voce “errori e omissioni” (l’ampio deficit di questa posta segnala capitali speculativi in uscita), risulta in equilibrio grazie a consistenti investimenti diretti esteri e di portafoglio che bilanciano rilevanti deflussi per altri investimenti. Nei primi sei mesi del 2014, il surplus corrente si è ridotto a 6,1 mld da 8,3 mld nello stesso periodo dell’anno precedente a causa principalmente della diminuzione del surplus commerciale (sceso a 17,6 mld da 22,2 mld). Nello stesso periodo, il conto finanziario è passato in deficit (3,4 mld) per effetto del calo di IDE e investimenti di portafoglio e la riduzione delle posizioni aperte in valuta. Queste dinamiche riflettono crescenti preoccupazioni riguardo gli sviluppi politici interni e la tenuta del cambio. Nel primo semestre 2014 la bilancia dei pagamenti ha registrato un deficit di 5,5 mld rispetto a 3,8 mld. Le riserve valutarie, pari a circa 37 mld lo scorso giugno, sono scese ulteriormente nei mesi successivi anche a seguito degli interventi della Banca Centrale a sostegno della valuta, chiudendo il 2014 a 34,2 mld. Questo dato si confronta con un fabbisogno finanziario estero stimato da EIU pari a 16,5, per un reserve cover ratio pari a 2,1. Le riserve superavano a fine 2014 l’intero debito estero pari a 21,3 mld a fine 2014 (comunque quasi triplicato rispetto al 2006 quando il paese aveva beneficiato del programma di riduzione del debito dei paesi poveri).

A differenza di altri mercati esportatori di materie prime, la Nigeria non ha sfruttato il lungo ciclo favorevole delle materie prime per rafforzare e diversificare l’economia, che resta fortemente dipendente da agricoltura e idrocarburi, due settori fortemente influenzati da fattori al di fuori del controllo delle Autorità, come cambiamenti climatici e prezzo del petrolio. I maggiori proventi dalle esportazioni di idrocarburi accantonati nel Fondo ECA sono stati ormai quasi del tutto utilizzati per finanziare la spesa pubblica. Il deficit pubblico non-oil è particolarmente elevato (vicino al 40%) e il controllo della spesa corrente (si vedano le voci salari, sussidi e trasferimenti), che sarebbe necessario per rendere la posizione fiscale sostenibile nel medio periodo, appare di difficile attuazione a fronte di un’ampia quota della popolazione in povertà e delle pressioni politiche. La precarietà del quadro politico, le profonde divisioni regionali e le azioni destabilizzanti dei gruppi fondamentalisti nel Nord e delle bande che agiscono nella regione petrolifera del Delta del Niger nel Sud del Paese, cui concorrono fattori economici e di natura confessionale, rendono problematica l’attuazione delle riforme di cui il Paese avrebbe bisogno. In particolare, si veda il settore idrocarburi, dove il sistema dei sussidi assorbe consistenti risorse dello Stato e dove, a causa del cattivo funzionamento degli impianti di raffinazione, l’80% del combustibile viene importato. Negli ultimi anni, il peggioramento della posizione esterna e di quella fiscale con il conseguente aumento del debito pubblico e di quello estero, senza dimenticare il deterioramento del clima politico, hanno portato le agenzie di rating S&P’s a tagliare a marzo il rating del debito sovrano in valuta da BB- a B+ e Fitch ha introdurre un outlook Negativo al suo rating BB-.

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