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New Deal: il governo alla prova della bioagricoltura

Appello per una politica agricola attenta alle produzioni sostenibili. La richiesta di uno spazio adeguato nella transizione ecologica

New Deal: il governo alla prova della bioagricoltura

Per ora il premier Draghi non è chiamato in causa, perché ci sono due Ministri che possono dare risposte: Patuanelli dell’Agricoltura e Cingolani della Transizione ecologica. Le Associazioni ambientaliste e di produttori biologici hanno riaperto la discussione sulla Politica agricola. Dopo le dichiarazioni dell’altro giorno in Parlamento, il Ministero di Cingolani è diventato il principale interlocutore per uno spazio adeguato all’agroalimentare italiano. Mentre a quello dell’Agricoltura viene chiesto di sostenere in ambito europeo gli interessi dell’agricoltura bio, quello della transizione viene sollecitato a fare giustizia di ritardi, omissioni, negligenze rispetto a una strategia di lungo periodo. La filiera agricola è centrale nell’intreccio tra produzione, commercializzazione e consumi .

A Bruxelles le trattative tra Commissione, Consiglio e Parlamento sono in corso per il varo del nuovo regolamento PAC. La preoccupazione maggiore è che si stia pensando ad aiuti alle aziende di maggiori dimensioni per ettari e capi allevati, trascurando quelle delle aree interne e montane. Praticamente uno squilibrio strutturale cui rispondere con dati e qualità.

L’Italia,in questo quadro, è tra i Paesi che ha già i più forti squilibri nella distribuzione degli aiuti PAC: l’80% va al 20% delle aziende. Nei diktat politici l’Associazione Cambiamo Agricoltura – protagonista dell’appello ai due Ministri – assolve la Presidente Ursula Von Der Leyen che ha mostrato l’ambizione di voler allineare l’agricoltura alla traiettoria generale del “Green Deal”. Però, nella proposta di regolamento in itinere a Bruxelles, non c’è traccia degli obiettivi di quella traiettoria, “tra questi il dimezzamento dell’uso di pesticidi in campo e di antibiotici negli allevamenti, la riduzione dei fertilizzanti e la crescita dei presidi per la sostenibilità dello spazio rurale, costituiti dalle aree naturali e dalle aziende e distretti che coltivano con metodo biologico.”

La sostanza dello scontro è una borsa di 387 miliardi di euro di sostegni che potrebbero finire nelle casse delle multinazionali: “soldi dei contribuenti destinati a sostenere la chimica di sintesi, la grande proprietà terriera, le monocolture e gli allevamenti intensivi.”

Tornando all’Italia ed alle risposte attese dal governo, che senso avrebbe la rivoluzione green tratteggiata da Cingolani senza rimuovere queste dicotomie? Nelle aziende bio italiane c’è sconforto, ma determinazione. Spingono durante la scrittura del Recovery plan perché si aspettano un ruolo attivo del nuovo governo sia nella revisione del PNRR e del suo capitolo ‘agricoltura’, sia nella redazione del Piano Strategico Nazionale. Occasione d’oro che mette, ancora una volta, la politica davanti a decisioni complesse dove l’alimentazione, la spesa per la tavola, i consumi, non siano solo fenomeni mediatici, ma indicativi del livello di soddisfazione e di maturità di un Paese.

La politica “dovrà amministrare risorse europee per oltre 40 miliardi di euro da spendere entro il 2027, da trasformare in incentivi per avviare la transizione agroecologica, rafforzare il ruolo di agricoltura e allevamento nelle aree interne del Paese, trasformare l’Italia nella patria del cibo giusto, sano e sostenibile”. Più chiaro di così per darsi da fare ?

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