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NANETTI DELLA POLITICA – Fitto e Civati, le convergenze parallele nel nullismo

NANETTI DELLA POLITICA – Raffaele Fitto a destra e Pippo Civati a sinistra imperversano sui giornali e nei talk show con le roboanti dissidenze verso i vertici di Forza Italia nel primo caso e del Pd nel secondo, ma sotto il tatticismo non si capisce quale sia la loro proposta alternativa per il Paese – Sotto i “no” un gioco a somma zero.

NANETTI DELLA POLITICA – Fitto e Civati, le convergenze parallele nel nullismo

Due facce di una stessa medaglia, quella dei dissidenti pregiudiziali di Forza Italia e del Pd che vorrebbero scalare le gerarchie dei rispettivi partiti senza avere la forza di proporre alternative percorribili. I due movimenti che fanno capo a Pippo Civati nel Pd e e Raffaele Fitto in Forza Italia non sono da accomunare perché portatori di valori opposti ma paralleli – perché a ben vedere non è affatto il caso – ma perché si inseriscono in un contesto rottamatore in potenza che nessuno dei due ha però le idee e la forza per trasformare in reale. Entrambi sono espressione di posizioni politiche diverse da quelle del loro partito di appartenenza, in modo differente ma anche parallelo.
 
Da una parte, Fitto propone una linea politica non poi così dissimile da quella berlusconiana di oggi, ma ne traccia delle modalità completamente opposte a quelle che hanno sempre caratterizzato la Casa delle Libertà. La sua protesta, quindi, è sulla forma, sul metodo, piuttosto che sul contenuto delle politiche della parte moderata del Paese. Certo, questo discorso, in potenza, può tradursi in un appoggio di formazioni politiche diverse da quelle di Forza Italia, si veda Nuovo Centrodestra e i leghisti moderati che fanno capo a Tosi – il riferimento alle prossime elezioni amministrative è fin troppo chiaro.
 
Dall’altra sponda dell’emiciclo parlamentare ci sono i tormenti del giovane Civati, renziano della prima ora e poi ingelositosi del premier. Le rivendicazioni di Civati assumono una consistenza ben diversa da quelle della sua controparte conservatrice. Il parlamentare di Monza, infatti, propone una lettura della Sinistra diametralmente opposta a quella della maggioranza del Partito Democratico e, neanche a dirlo, del governo Renzi. A voler essere critici, quella di Civati è una Sinistra obsoleta, incentrata su schemi sociali ed economici superati, ancora alle rivendicazioni vetero-sindacali difese dal segretario della Fiom Maurizio Landini, orientata alle dinamiche parlamentari del dissenso più che alla governabilità. Volendo, però, limitarsi a un giudizio di fatto – lasciando da parte le opinioni nel merito – è evidente una netta discrasia tra questo tipo di politica e quella intrapresa da più di un anno dal suo partito, da Renzi su tutti. Questa si concentra sul processo decisionale della democrazia, sul concetto di maggioranza come regola aurea, sulla necessità di un superamento delle logiche sindacali in nome di una realtà sempre più globalizzata che necessita di competitività più che di protezione di diritti obsoleti e soprattutto su un progetto di modernizzazione del Paese a cui Civati dice sempre di no per ragioni tattiche ma senza saper proporre contenuti alternativi davvero praticabili e capaci di coagulare un consenso largo.
 
Quindi, dov’è che si somigliano le due esperienze dissidenti di Destra e Sinistra?
 
Civati e Fitto sono uguali nelle modalità di gestione del sentimento di dissidenza di cui si fanno portavoce. Entrambi non mancano mai nel sottolineare quanto siano erronee le scelte della leadership del loro partito, dalle dinamiche interne a quelle parlamentari e a quelle di gabinetto. Le scelte di entrambi sono inscrivibili nel sempre fornito albo d’oro del “tutto fumo e niente arrosto”. Sentimenti di così dura opposizione non possono, verosimilmente, coesistere a lungo all’interno dello stesso soggetto politico.
 
Entrambi, Civati e Fitto, sanno bene di non avere quello che in inglese si chiama bargaining power, potere di contrattazione, sufficiente a creare una forza politica propria.
 
Se Civati, dovesse uscire dal PD e fondare un nuovo soggetto politico, la sua forza elettorale e contrattuale in Parlamento si ridurrebbe ancor di più, ammesso e non concesso che riesca a superare l’ipotetica soglia di sbarramento dell’Italicum del 3%, salvo che non si unisca a quel che rimane di Sel. Un partito a sinistra del PD avrebbe la stessa modesta importanza strategica della minoranza PD capeggiata da Civati già adesso. Il gioco, perciò, non vale la candela e sarebbe solo una mossa di facciata, perché l’effettiva capacità di questa nuova ipotetica realtà non si discosterebbe da quella attuale – con il rischio di non essere eletta come successe a Fausto Bertinotti con Rifondazione comunista o la beffa di unirsi al “vecchio” PD in un’unica lista dove perderebbe l’autonomia guadagnata.
 
In parallelo, il movimento di Fitto non ha una vera e propria base politica, che invece condivide sia con lo stesso Berlusconi, sia con la parte moderata della Lega di Flavio Tosi e – le ultime dichiarazioni prospettano anche questo scenario – con il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano. Lo strappo sarebbe uno schiaffo alla leadership che lo ha cresciuto e “pasciuto”, senza proporre qualcosa di diverso – come in parte prova a fare Civati – con il solo scopo di assumere il comando del partito cui non è legittimato da nessuno. Eppure, Fitto ha la fortuna di avere quei soggetti politici di cui sopra potenzialmente in asse con la sua iniziativa e le prossime elezioni amministrative potrebbero funzionare da banco di prova per una nuova realtà politica. Fitto, inoltre, combatte con una leadership assente: Berlusconi, infatti, sta sempre più eclissandosi dalla sua dimensione politica per tornare a quella imprenditoriale, che certamente gli compete di più – si guardino a titolo esemplificativo le operazioni Rai Way e Milan. Al contrario, Civati si trova a scontrarsi con la personalità più forte che la Sinistra italiana ha conosciuto dopo Berlinguer e Craxi.
 
Un gioco a somma zero a sinistra e uno scacchiere confuso e decapitato a destra. Il tutto, insomma, non sembra far altro che portar acqua al mulino di Renzi, sia come capo del Governo, che come miglior leader del più forte partito italiano – e, numeri alla mano, europeo. 

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