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Montecristo, l’isola dei misteri ai tempi del Covid

Racconto dalla leggendaria isola dell’arcipelago toscano, protagonista del romanzo di Dumas (ma non solo). Storicamente disabitata, dal 1971 è Riserva naturale: qui non prendono i cellulari e non si può fare il bagno. Il sito per prenotare una visita è giù sold out per tutto il 2021 -FOTOGALLERY

Montecristo, l’isola dei misteri ai tempi del Covid

In tempi di virus, l’isola di Montecristo è “Covid free” di suo. In questi 10 km quadrati di roccia granitica (di origine vulcanica) nel bel mezzo del Tirreno, ufficialmente dell’arcipelago toscano ma storicamente terra di nessuno a metà strada tra Italia e Corsica, non c’è infatti bisogno di vaccini o quarantene. Nell’isola raccontata da Alexandre Dumas, che in realtà secondo le versioni ufficiali l’ha vista solo da lontano, rimanendone fatalmente affascinato, non vive nessuno e anche i pochi animali presenti sopravvivono in un habitat non infestato dall’uomo ma comunque inospitale anche per loro. Le famose vipere si nutrono solo di lucertole e secondo gli esperti sono sottopeso. I rapaci, tra cui l’imperioso nibbio reale, sorvolano l’isola nella vana speranza di avvistare qualche ratto, ma qui non ce ne sono più da tempo. Le padrone dell’isola sono circa 200 capre selvatiche, le cui caratteristiche genetiche testimoniano una biodiversità millenaria (sono di una specie rara, presente solo in Asia Minore e in qualche isoletta dell’Egeo), mentre in mare si possono avvistare facilmente foche monache e balenottere azzurre.

Per tutelare queste forme di vita, che sono continuo oggetto di studio, Montecristo è oggi una riserva naturale biogenetica: protetta Demanio dal 1971, amministrativamente fa parte della vicina (oltre 1 ora di navigazione in traghetto) isola d’Elba ed è una delle 149 aree gestite dal Comando carabinieri per la tutela della biodiversità e dei parchi. Gli unici umani presenti sull’isola sono dunque una manciata di carabinieri che a turni di due settimane presidiano l’isola, accompagnati talvolta da gruppi di ricercatori che per una missione così nobile beneficiano anche di fondi europei, e da un massimo di 2.000 visitatori l’anno, che possono raggiungere Montecristo rigorosamente attraverso le visite guidate organizzate dal Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano, a gruppi di massimo 70-80 persone per volta. Si va e si torna in giornata: oltre agli alloggi per il personale di servizio, sull’isola del Conte immaginario di Dumas non c’è nient’altro. Solo la corrente elettrica, un piccolo molo nell’unica spiaggetta (bellissima ma piccola) di tutta l’isola e non prendono nemmeno i cellulari.

Ed è anche per questo, oltre che per la sua conformazione irta e inaccessibile, che non è stato possibile e pensabile sfruttare questo gioiellino per attività turistiche. Il suo fascino e il suo mistero sono intatti, dalla notte dei tempi. “E’ l’isola più protetta di tutto il Mediterraneo”, giurano le guide del Parco nazionale. Ma in passato non sempre è stato così. La storia di Montecristo è infatti intrisa di eventi realmente accaduti e leggende, di fatti di sangue, di scorribande di pirati, di vicende religiose e di narrazioni letterarie, tanto da consegnarne l’immagine di un posto “maledetto”. Sebbene non sia raro nel mondo trovare isole incontaminate e di cui si conosce poco (si pensi all’isola di Pasqua), per la sua relativa vicinanza alla terraferma Montecristo rappresenta un unicum: nell’era in cui qualsiasi posto è raggiungibile, abitabile, coperto da WiFi, l’isola a sole due ore e mezza di traghetto da Piombino è ancora avvolta nel mistero. Di questo luogo così selvaggio e silenzioso si sa poco, e quel poco potrebbe non essere vero.

Secondo la leggenda, i primi a darle un nome furono i Greci, che la chiamarono “Ocrasia”. Il nome attuale le fu dato probabilmente da San Mamiliano, uno dei primi e dei pochi uomini ad averla effettivamente abitata. Nel V secolo, fuggito da Palermo in seguito alle persecuzioni di Genserico, Re dei Vandali, fu fatto prigioniero e venduto come schiavo. Riuscito a fuggire in modo avventuroso, dopo essere fuggito in Sardegna si rifugiò sull’isola, allora abitata da un drago, che egli stesso avrebbe sconfitto. San Mamiliano visse poi in estrema solitudine e meditazione in una grotta (detta oggi “Grotta del Santo”), ribattezzando l’isola in “Mons Christi” (appunto Monte di Cristo). L’unica opera che testimonia il passaggio dell’uomo sull’isola è proprio l’Abbazia di San Mamiliano, che gli fu però dedicata dopo la sua morte: costruita nel ‘600, fu per secoli abitata da monaci benedettini, ai quali va probabilmente attribuita l’introduzione delle capre, uno dei pochi animali adatti a vivere sui ripidissimi fianchi di questa montagna di 645 metri emersa dal mare, a stento percorribili da escursionisti attrezzati.

Anche la vipera, una delle poche specie avvistabili, potrebbe essere stata introdotta dai monaci, che come noto possedevano notevoli abilità farmaceutiche, per le quali probabilmente sapevano utilizzare anche nelle giuste dosi il velenosissimo siero del rettile (ancora oggi ad esempio il siero di vipera è un prodotto cosmetico utile per contrastare l’​invecchiamento della pelle, ma probabilmente non era questo l’utilizzo che ne facevano i monaci…). Gli insediamenti comunque furono sempre sporadici e con poche persone alla volta, che raggiungevano l’isola per brevi periodi, anche come meta di pellegrinaggio per celebrare la memoria del santo. Non è da escludere che per garantire il sostentamento dei monaci fossero stati introdotti altri animali da fattoria, ma di loro non c’è più traccia da tempo. Pochi animali sono adatti a sopravvivere su questo scoglio dalle caratteristiche piuttosto aride, dove non abbonda nemmeno l’acqua e la stessa vegetazione non è quella tipica della macchia mediterranea. Ci sono pochi, secolari lecci, non mancano arbusti e erbe aromatiche: fittissima la presenza del rosmarino, che emana un profumo particolarmente e non catalogabile.

La tranquilla routine di Montecristo, se così si può dire, si interrompe bruscamente nel 1553: da quella data, potrebbe essere il set di un film, come Pirati dei Caraibi, o perché no Mediterraneo di Gabriele Salvatores (a cavallo tra le due Guerre mondiali è stata anche presidio militare), ma anche di romanzi come l’Isola del Tesoro di Stevenson o lo stesso Conte di Montecristo, che proprio qui è idealmente ambientato. Proprio ai fatti del 1553 si ispira parzialmente il celebre libro dello scrittore francese Alexandre Dumas: l’isola fu predata dal leggendario pirata ottomano Dragut, all’epoca al soldo proprio dei francesi probabilmente alla ricerca di un tesoro di cui però non si ha certezza. Da quel momento Montecristo inizia a diventare terra di nessuno, luogo di scorribande di banditi e briganti, e occasionalmente di pescatori. inizia la sua fase “maledetta”, testimoniata anche da uno degli spigoli dell’isola, Punta dei Fanciulli, che riferisce di un evento particolarmente cruento. Intorno alla metà dell’800 una tartana sarda in viaggio da La Spezia verso Livorno fu attaccata dai briganti, che presero in ostaggio due bambini e scapparono verso Sud. Giunti nei pressi di Montecristo, sgozzarono i due fanciulli e li gettarono in mare.

Poco dopo, Montecristo fu acquistata da quello che potrebbe essere definito il suo “vero” Conte: un facoltoso inglese, George Watson Taylor, fu la prima persona ad avviare seriamente il progetto di andare a vivere sull’isola, di fatto disabitata per secoli. Erano gli anni del Romanticismo, che come ideale rappresentava anche interesse nei confronti della natura incontaminata, spirito di avventura, slancio di eroismo. Taylor trasformò l’approdo di Cala Maestra introducendovi terrazzamenti e piantandovi numerose specie arboree, anche esotiche. In questo contesto, realizzò anche la costruzione del primo edificio dai tempi dell’Abbazia di San Mamiliano (di cui tra l’altro è rimasto solo la struttura principale e qualche rudere), poi chiamato Villa Reale e tutt’ora sede del presidio dei carabinieri. Lo spirito del progetto è un po’ alla maniera coloniale degli inglesi, rappresentato qualche decennio dopo dalle opere e dalle attività di Gerald Durrell a Corfù, che hanno dato origine – per rendere l’idea, se si ha occasione di vederla – alla serie tv The Durrell’s.

Dopo una breve esperienza come colonia carceraria (per la quale effettivamente si presterebbe, in condizioni da carcere allo stesso tempo dorato e duro…), si arriva alla fine dell’Ottocento e al primo inquilino italiano ufficiale di Montecristo: già di proprietà dello Stato italiano, che nel frattempo si era unificato, l’isola fu ceduta in affitto, come riserva di caccia, al nobile Carlo Ginori Lisci, ne fece una sorta di circolo esclusivo frequentato da pochissimi eletti dell’alta società, tra cui Renato Fucini, Giacomo Puccini e lo stesso Vittorio Emanuele III, in procinto di salire al trono. Tanto il principe era affascinato dall’ambiente, e dalla fauna (allora probabilmente più popolosa di adesso, e anche la vegetazione più folta), che volle trascorrere qui la luna di miele con la moglie Elena del Montenegro.  Si arrivò al punto che nel 1899 Ginori cedette al Re i suoi diritti sull’isola, con queste parole: «Se io sono, come mi avete chiamato, il vero conte di Montecristo, voi ne siete il sovrano; il mio è un possesso provvisorio, il vostro un dominio sovrano. Cedo i miei diritti».

Durante le Grandi guerre, a Montecristo fu installata una postazione militare italo-tedesca. Nel 1948, durante un’esercitazione militare, un bombardiere inglese precipitò sull’isola provocando la morte di tutti i sette occupanti. Nel 1949 si tentò di destinare Montecristo all’attività di pesca: la Direzione generale del Demanio diede in concessione l’isola ad un consorzio di cooperative di pescatori e affini, la Consorpesca, ma l’esperimento abortì poco dopo. Ancora pressoché intatta, negli anni del boom economico Montecristo rischiò di essere spolpata come meta turistica, facendone un resort esclusivo ma di gusto discutibile, soprattutto per la natura del luogo, che poco si presta all’improvvido sfruttamento che siamo abituati a vedere oggi in Italia e in giro per il mondo. Nel 1970 la società romana Oglasa creò il Montecristo Sporting Club per clienti di elevata condizione sociale, sfruttando la caccia d’inverno e il turismo d’estate. In quel caso fu un’intensa e meritevole campagna giornalistica, avviata da L’Espresso, a sottrarre questo gioiellino alla speculazione. Con una scelta in controtendenza nel mondo di oggi, il 4 marzo 1971 Montecristo fu dichiarata Riserva Naturale dello Stato.

Dal 1977 la tutela è stata riconosciuta anche in ambito europeo, includendola nella Rete europea delle Riserve Biogenetiche del Consiglio d’Europa. Con decreti del Ministero della Marina del 1979 e del 1981 è stata infine istituita, sulle acque che circondano l’isola, una zona di tutela biologica per un raggio di 500 metri, poi aumentato ad 1 km. Qui oggi arrivano solo le forze dell’ordine e un gruppo selezionatissimo di escursionisti (il sito per prenotarsi, ma il 2021 è già sold out), che possono girare solo se accompagnati da guide, senza raccogliere piante e non facendosi nemmeno venire in mente di fare il bagno in mare. E’ ovviamente vietato pescare e persino fumare, senza posacenere portatile. Ma lasciando l’isola, esattamente come l’abbiamo trovata, rimane la sensazione che qualcosa di irraccontabile qui ancora accade. Che i misteri di Montecristo non sono ancora finiti.

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