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Moda italiana, ottimismo sul 2022 ma con due incognite

Il 2022 viene visto dai maggiori osservatori un anno in crescita per il settore del lusso e della moda. Anche per le imprese italiane. Sullo sfondo resta per tutti il grosso tema del supply chain che potrebbe gravare su prezzi al retail e margini.

Moda italiana, ottimismo sul 2022 ma con due incognite

Si chiude oggi la kermesse milanese della moda dedicata all’uomo, dopo quella di Firenze della scorsa settimana: le prime sfilate chiave dell’anno in Europa visto che quella di Londra è stata annullata causa Covid.

A serpeggiare tra modelli e buyer la domanda chiave è stata una sola: come sarà quest’anno per il settore del lusso e della moda, in Italia in particolare?

Gli osservatori internazionali interpellati da Firstonline vedono – pur tra molte insidie – un buon recupero nel 2022 soprattutto negli Usa, un andamento più tiepido in Europa e di conseguenza anche in Italia, che resta comunque un fiore all’occhiello internazionale.

“Il settore della Moda Italiana chiuderà l’anno 2021 con un fatturato complessivo attorno ai 90 miliardi di euro. Nel 2019 erano stati 100 miliardi e nel 2020 erano stati 75” dice Armando Branchini, Strategic Advisor, EY Fashion, Luxury and Retail Practice . “Quindi nel suo complesso il settore è cresciuto parecchio, soprattutto negli ultimi 6 mesi”.

A livello globale il recente report di Bof (Business of fashion) e Mckinsey vede “una ripresa dell’industria della moda per il 2022, con vendite che supereranno del 3-8% i livelli registrati nel 2019, più marcata in Cina e negli Stati Uniti, e più lenta in Europa”.

Se si guarda in particolare alla Moda di alta gamma in Italia -che rappresenta circa un terzo del totale della Moda Italiana- si vede una crescita nel 2021 di quasi il 30% rispetto al 2020 riuscendo a raggiungere il livello di fatturato totale del 2019” dice ancora Brandini. “Nessun Paese al mondo ha tante marche di alta gamma nella Moda come l’Italia”.

“A livello globale ci troviamo di fronte e una sorta di euforia post-bellica, un impulso a godersi la vita dopo i mesi nel pieno della pandemia, dice Luca Solca, senior research analyst global luxury goods di Bernstein. “Il 2021 ha chiuso molto positivamente con i consumatori di tutto il mondo che sono tornati a spendere in maniera importante per i prodotti di moda e di lusso e nell’alto di gamma ancora più del 2019, in alcuni casi anche il doppio. Anche in Europa, nonostante l’assenza dei turisti, le vendite sono al 70% di quelle che erano nel 2019”. Il punto di domanda potrebbe essere la presenza del buyer cinese, “ma ho visto molti compratori a Shangai, Pechino, Shedun: mi aspetto un trend molto positivo, con il settore dell’alta gamma in crescita del 11-12%, fino a punte di +18-19% per i big player” prevede Solca.

Ottimismo viene sottolineato anche dallo studio “Global Luxury Brands Survey Report” realizzato dalla società di consulenza e brokeraggio Willis Towers Watson sulla base di interviste a 100 decision maker: “I brand del comparto del lusso si dicono ottimisti, sottolineando che le vendite online potrebbero aver raggiunto un punto massimo”.

Per tutti tuttavia valgono gli stessi rischi che stanno gravando sui mercati internazionali da quelli legati alla diffusione della pandemia coi conseguenti lockdown a quelli del supply chain.

Proprio le pressioni sulla supply chain sono state identificate dai manager intervistati nel rapporto Bof-Mckinsey come “la principale sfida che potrebbe mettere a rischio il ritmo di questa ripresa” e ciò potrebbe voler dire “un impatto negativo sui margini nel 2022 e un aumento dei prezzi retail da una media del 3% fino a picchi del 10%”.

“Dopo quasi due anni di turbolenze, il settore della moda a livello globale è pronto a riprendersi. Tuttavia, le aziende dovranno affrontare importanti sfide relativamente alla supply chain, data la pressione esercitata dai maggiori costi e colli di bottiglia logistici che ricadrà sul consumatore sotto forma di prezzi più alti e forniture ritardate” dice Imran Amed, fondatore e CEO di The Business of Fashion. “Le aziende dovranno quindi rivedere i propri modelli di filiera per renderli il più possibile flessibili e resilienti”.

Questi indicazioni -valide certamente per tutti- diventano imperativi per le aziende italiane che dovranno dimostrare una tempra forte e innovativa.

Secondo l’ottava edizione del Global Powers of Luxury Goods, lo studio annuale di Deloitte, che esamina e classifica i 100 Top Player del settore Fashion & Luxury a livello globale, l’Italia emerge come il primo paese del lusso mondiale, con ben 26 aziende fra le prime cento (ma solo una nella Top 10), seguita dalla Francia, che ne piazza solo 8 tre le prime 100 (anche se 4 fra le migliori dieci).

“In Italia c’è una forte polarizzazione che avvantaggia le imprese che operano nella competizione di valore, con marche note e forte capacità di innovazione ed hanno in genere rilevanti dimensioni” dice ancora Brandini. “Viceversa risultano meno dinamiche le imprese di dimensione più limitata, che operano prevalentemente nella competizione di prezzo, che non sono contraddistinte da marche note e che seguono le leader per innovazione di prodotto e processo”. Nei mesi a venire “alcuni imprenditori ed imprese familiari devono rivedere gli approcci tradizionali ed a innovare prima di tutto la cultura d’impresa. E decidere di quotarsi in Borsa oppure passare la mano” conclude Brandini.
Ermenengildo Zegna si è quotato alla borsa di New York lo scorso dicembre tramite una fusione con la spac americana di Investindustrial.

Zegna
FIRSTonline

“I piccoli, nel momento in cui competono contro i giganti, devono inventarsi qualcosa di nuovo” dice Sonca riferendosi al mercato italiano. Bene ha fatto Moncler per esempio che ha inventato un nuovo modo di presentare le collezioni, ha tagliato con il vecchio format, con le sfilate di moda, e attraverso il «Genius event» ha saputo creare un enorme interesse intorno alla nuova collezione” dice ancora Sonca aggiungendo che invece “Tod’s e Ferragamo hanno bisogno di ammodernare il marchio puntando sul tema dell’informalità e uscire quindi dal settore formale ora più difficile. E anche lo stesso Armani ha bisogno di allargare le sue prospettive”.
Da qualche tempo si vocifera di alcune alleanze anche se Re Giorno recentemente ha declinato la proposta di  Exor.

Negli ultimi anni nel risiko dei brand del lusso sono stati molti a passare il confine italiano.

L’ultimo è stato Etro, acquistato da L Catterton, la maggior società di private equity globale legata a Lvmh. Il colosso del lusso francese Kering ha fatto grandi acquisti in Italia mettendo nel suo portafogli GucciBottegaVenetaPomellato, DodoBrioni e Richard Ginori.
Dal 2012 Valentino è passata a Mayhoola Investments e Versace è stata venduta all’americana Capri Holdings Ltd di Michael Kors.
L’altro potente polo francese del lusso, Lvmh di Bernard Arnault, in pochi mesi ha acquistato Loro Piana, Fendi, Emilio Pucci, Acqua di Parma, e Bulgari.

Anche la Cina è venuta a far shopping di brand in Italia portandosi a casa Krizia, Mila Schön, Sergio Tacchini, Ferrè, Sergio Rossi, La Rinascente.

Infine, Buccellati è stata acquistata da Richemont, mentre La Perla, è passata agli olandesi di Sapinda.

Altri restano italiani convinti.

Prada, che nel portafoglio vanta firme come Miu Miu, Car Shoe, Church’s e Marchesi 1824, è quotato a Hong Kong, con al timone Patrizio Bertelli e la famiglia di Miuccia Prada, con il figlio Lorenzo.

Tod’s anche dopo che nei mesi scorsi Lvmh ha aumentato la sua partecipazione dal 3,2% al 10%.

E poi Max Mara, Diesel, Dolce&Gabbana, Aeffe, Moncler e Brunello Cucinelli, ma anche Diesel, con il patron Renzo Rosso, proprietario del gruppo Otb, che nell’ultimo decennio ha fatto incetta di brand come Marni, Maison Margiela, Viktor & Rolf e recentemente Jil Sander.

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