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Micossi: “Tutti i rischi di un’unione bancaria a metà”

Il crollo in Borsa delle banche europee si spiega soprattutto con la mancanza di un’assicurazione Ue sui depositi e di una garanzia pubblica di ultima istanza in caso di crisi sistemica – Pesano anche l’eccesso di liquidità – Inoltre, l’idea di limitare la quota di titoli di Stato detenuta dalla banche rischia di minare ulteriormente la stabilità.

Micossi: “Tutti i rischi di un’unione bancaria a metà”

Pubblichiamo di seguito un estratto dell’audizione al Senato di Stefano Micossi, direttore generale di Assonime, sul Completamento dell’Unione economica e monetaria europea (il cosiddetto “Documento dei cinque Presidenti”). 

L’acuta instabilità che si è sviluppata nelle settimane scorse sui principali mercati finanziari ha trovato un epicentro nel sistema bancario europeo, esponendo i rischi di un’unione bancaria a metà, dove mancano sia un sistema europeo di assicurazione dei depositi sia una garanzia pubblica di ultima istanza per il caso di una crisi sistemica.

In questo quadro, le prime applicazioni della nuova direttiva BRRD sulla risoluzione delle banche in crisi – a quattro piccole banche locali in Italia e al Banco Espirito Santo in Portogallo – hanno risvegliato la consapevolezza negli investitori, inclusi i risparmiatori al dettaglio, dei rischi connessi alla detenzione di obbligazioni bancarie subordinate e potenzialmente convertibili in capitale al superamento (verso il basso) di certe soglie di capitale minimo.

Si può ricordare, al riguardo, che circolano in Europa oltre 90 miliardi di obbligazioni bancarie cd. co.co.s (contingent convertible bonds), emesse soprattutto da banche tedesche e svizzere. Tutti questi titoli sono esposti al rischio di conversione in azioni e riduzione del valore in caso di difficoltà della banca emittente, secondo le nuove regole sugli aiuti di stato per le aziende bancarie solventi ma illiquide (going concern), secondo le regole della direttiva BRRD per le banche insolventi (gone concern).

Questo è stato probabilmente il detonatore del forte calo dei corsi di azioni e obbligazioni bancarie, nonostante il rafforzamento del capitale e degli accantonamenti degli ultimi anni. Ma pesano anche altri fattori. Le nuove politiche di quantitative easing spingono verso lo zero anche i tassi d’interesse sulle lunghe scadenze, compromettendo il modello tradizionale di business della banca commerciale basato sulla trasformazione delle scadenze (borrow short, lend long).

Inoltre, i tassi negativi sui depositi delle banche agiscono come una tassa sull’intermediazione bancaria, dato che le banche non osano trasferirne il costo sui depositanti, per il timore di un tracollo della raccolta. Il cattivo andamento dell’economia aggrava questa crisi di redditività nelle economie meno dinamiche (Italia inclusa). Infine, i bilanci delle banche sono appesantiti, in alcuni casi, da masse importanti di prestiti ‘incagliati’, che potrebbero essere mobilizzati rapidamente solo al prezzo di rettifiche patrimoniali significative; in altri casi da attività tossiche di incerto valore.

Si aggiunge a tutto questo il fatto che in alcuni paesi l’investimento in titoli di stato rappresenta una quota rilevante dell’attivo, risvegliando lo spettro del circolo vizioso tra crisi bancaria e crisi del debito sovrano. L’allargamento degli spread tra i titoli pubblici portoghesi, spagnoli e italiani rispetto ai bund tedeschi può riflettere anche questi timori.

Inoltre, l’irrigidimento delle regole prudenziali degli ultimi anni ha comportato costi rilevanti per le banche. A questi si aggiunge l’incertezza sul punto di arrivo, che continua ad essere un target mobile, dato che la definizione dell’assetto finale resta aperta e probabilmente comporterà requisiti addizionali di capitale e di liquidità.

Sia le regole sugli aiuti di stato alle banche, sia la direttiva BRRD prevedono che in caso di crisi sistemica l’autorità competente possa sospendere le regole sul bail in di creditori e azionisti; allora sarebbe possibile, come già si fece in Europa nel 2008, prevedere una garanzia pubblica per le passività delle banche. Se la crisi si aggravasse, questa sarebbe probabilmente la via d’uscita inevitabile, ma per ora non si verificano ancora le condizioni per agire in tal senso.

Resta che l’assenza di un sistema comune di assicurazione dei depositi e di un sostegno fiscale europeo di ultima istanza in caso di crisi sistemica non rassicura sufficientemente depositanti e creditori delle banche: è un sistema monco esposto a rischi di instabilità considerevoli.

In questo contesto, si discute a Bruxelles (Consiglio dell’Unione), a Francoforte (Consiglio per il Rischio Sistemico) e a Basilea sull’ipotesi di limitare l’esposizione delle banche ai rischi sovrani; è stata avanzata anche l’ipotesi di sviluppare meccanismi per la ristrutturazione automatica del debito pubblico di paesi che richiedano l’assistenza dell’Esm. Il rischio che simili meccanismi rendano il sistema magari più attento ai rischi, ma certo non più stabile, è elevato.

Naturalmente è vero che i titoli del debito sovrano non sono più percepiti dagli investitori come privi di rischio, dopo le ristrutturazioni del debito cipriota e di quello greco, e già di questo la Bce tiene conto nei suoi stress test. Resta che il buon funzionamento del sistema finanziario richiede l’esistenza di un’attività priva di rischio, la quale può solo venire in esistenza come risultato di una decisione congiunta di emettere titoli di debito garantiti congiuntamente dagli stati membri dell’Eurozona.

Dobbiamo sapere, peraltro, che le difficoltà e i freni nel negoziato sull’unione bancaria hanno origine in misura importante nei timori suscitati nei nostri partner dalle difficoltà che incontriamo a riportare sotto controllo il debito pubblico. Se il rapporto tra il debito pubblico e il Pil non iniziasse a scendere, quest’anno, quelle resistenze diventeranno più forti.


Allegati: Audizione al Senato di Stefano Micossi

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