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Meno spesa pubblica per crescere di più

Il centro studi “Economia Reale” di Mario Baldassarri ha presentato i risultati del suo modello econometrico in base al quale, rimodulando e tagliando selettivamente la spesa pubblica corrente e riducendo Irpef e Irap, si potrebbe raddoppiare al 2,2% la crescita del Pil nel 2018 – Costosissima invece una ipotetica uscita dall’euro, ma le regole e la governance europea vanno migliorate.

Meno spesa pubblica per crescere di più

Ogni anno Mario Baldassarri, economista allievo del Nobel Modigliani, presenta le previsioni sull’andamento dell’economia italiana elaborate dal proprio centro studi “Economia Reale”. E come al solito offre alcune proposte che, sulla base delle risultanze del modello econometrico utilizzato, sarebbero in grado di accelerare il tasso di crescita del PIL, di ridurre con maggiore rapidità la disoccupazione e di migliorare sia il deficit che il debito pubblico grazie proprio alla maggiore crescita del PIL.

Non si tratta di una ricetta keynesiana classica, basata cioè su un forte aumento della spesa pubblica in deficit, ma di una ricomposizione della spesa stessa attraverso tagli alle spese correnti (ed agli sprechi) per ridurre la pressione fiscale sulle imprese e sulle persone e per aumentare gli investimenti pubblici. E i tagli alla spesa non sono così dirompenti come si potrebbe immaginare e quindi potrebbero essere attuati senza suscitare le reazioni di tutti coloro che sulla ridondanza della spesa pubblica campano, ed a volte, anche bene.

Baldassarri propone di tagliare le spese per acquisti di beni e servizi della PA di 10 miliardi per il 2018 e di altrettanti per il 2019. Inoltre occorrerebbe, a suo parere, ridurre i “trasferimenti a fondo perduto” cioè le somme che lo Stato e gli enti locali, regalano a vario titolo agli operatori economici e che, come è stato più volte dimostrato non hanno alcuna funzione di stimolo vero dello sviluppo. Una riduzione di circa 15 miliardi per ciascuno dei prossimi due anni. Ma questi soldi così recuperati non andrebbero a riduzione del deficit pubblico, ma dovrebbero essere utilizzati per ridurre di pari importo l’Irpef ai cittadini e l’Irap alle aziende.

In parte minore potrebbero essere utilizzati per accelerare gli investimenti pubblici che negli ultimi dieci anni sono calati di oltre il 30%. Il bello della proposta, che non è di austerità, e tanto meno lacrime e sangue, sta nel fatto che una diversa composizione della spesa provocherebbe, secondo le indicazioni del modello econometrico di Baldassarri, un forte rimbalzo del PIL che invece di salire nel 2018 di solo l’1% circa, potrebbe arrivare a crescere di circa il 2,2% portando ad un abbassamento del rapporto con il deficit e con il debito.

Inoltre si avrebbe una robusta riduzione della disoccupazione con un aumento del numero degli occupati di oltre 300mila unità rispetto all’anno in corso. Naturalmente si tratta di un esercizio econometrico che da dei risultati che non possono essere presi alla lettera anche perchè non si tiene conto di tante altre variabili che in concreto potrebbero presentarsi e modificare il trend. Tuttavia si tratta di simulazioni utili per dare delle indicazioni di massima ai decisori della politica economica. E queste ci dicono in primo luogo che il problema dell’Italia non è tanto quello di ingaggiare un braccio di ferro con l’Europa per avere uno 0,2% in più o in meno di flessibilità sul bilancio pubblico, ma quello di variare con più coraggio la composizione delle voci di spesa.

Infatti mentre la battaglia sull’aumento dello 0,2% del deficit del 2017 che si sta combattendo a Bruxelles non sembra portare grossi vantaggi sul livello della crescita attesa per quest’anno (ferma, secondo il Rapporto, allo 0,6% molto di meno di quanto stimato dal Governo), questa robusta, ma non drastica, rimodulazione della spesa porterebbe vantaggi notevoli sia all’occupazione interna, sia ai rapporti del bilancio pubblico che si avvicinerebbero ai target fissati dalle regole UE. In questo modo migliorerebbero anche le aspettative degli operatori e dei consumatori sull’economia italiana, rafforzando quella “fiducia” sul futuro che è indispensabile nelle decisioni di investimento e di consumo.

Le analisi di Baldassarri non si limitano alle previsioni sulla nostra politica economica, ma esaminano anche alcuni aspetti cruciali sulla politica europea soprattutto per quel che riguarda il cambio dell’ Euro ed il famoso vincolo di bilancio del 3%. Sull’Euro la simulazione mette in luce l’errore compito dalla Bce, prima dell’insediamento di Draghi, quando vennero aumentati i tassi d’interesse e ridotta la quantità di moneta proprio mentre la FED negli Stati Uniti agiva in senso diametralmente opposto. Questo ha portato ad una ingiustificata sopravvalutazione del cambio dell’ Euro che ha fatto perdere all’intera Europa diversi punti di PIL e di occupazione.

Da notare che anche la Germania avrebbe avuto notevoli benefici se il cambio si fosse mantenuto sempre intorno ai livelli attuali, quelli ai quali lo ha riportato Draghi con i QE. Naturalmente la Germania avrebbe dovuto usare i maggiori avanzi di bilancio e del commercio con l’estero, per allargare la propria domanda interna facendo stare ancora meglio i propri cittadini. Sulle regole di bilancio la proposta di Baldassarri è interessante. Invece di fissare una regola rigida sul deficit complessivo, bisognerebbe, a suo avviso, fissare vincoli stringenti sulle spese correnti per le quali dovrebbe essere categorico il pareggio, ed in cambio concedere spazio per il finanziamento degli investimenti a debito. Anche qui si agisce sulla composizione della spesa pubblica e non tanto su una cieca ed assoluta austerità.

In linea generale quello che viene fuori da questi studi, e che è stato confermato dalla maggioranza dei professori intervenuti nel successivo dibattito, è che è assurdo è costosissimo pensare ad una uscita dall’Euro, come vanno raccontando i nuovi “sovranisti” in
giro per l’Europa, ma che esistono una serie di modifiche, tutto sommato non dirompenti, che potrebbero migliorare il funzionamento dell’Euro e della governance europea, in modo da mettere il vecchio continente nella migliore situazione per affrontare le sfide del mercato globale che non possono essere fermate con il vecchio e dannoso protezionismo.

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