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Meno bond, ora gli italiani puntano sul risparmio gestito

Dall’indagine di Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi emerge che sale al 47% il numero di famiglie in grado di risparmiare e al 63,6% la percentuale di chi dichiara di avere un reddito sufficiente per il suo tenore di vita. La solidarietà familiare spiega i bassi tassi di copertura assicurativa.

Meno bond, ora gli italiani puntano sul risparmio gestito

Italiani sempre più in grado di risparmiare, nonostante la crisi. O piuttosto, a dimostrazione di una ripresa che se ancora riguarda debolmente i consumi, converge invece in una delle attività storicamente preferite dagli italiani: il risparmio. A rivelarlo è una ricerca presentata a Torino da Intesa Sanpaolo e dal Centro Einaudi, l’Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani aggiornata al 2018, secondo la quale sale oltre il 47 per cento del campione il numero di famiglie in grado di risparmiare: nel 2017 erano il 43,4 per cento. E non è tutto: la percentuale di intervistati che dichiara di avere un reddito sufficiente o più che sufficiente sale dal 60,8 al 63,6 per cento.

Ad essere interessata a questa tendenza è proprio Intesa Sanpaolo, che ormai fa della bancassurance il principale obiettivo del prossimo piano (e proprio la sede del grattacielo di Torino sarà il nuovo polo dell’attività assicurativa), con il fine di replicare quanto fatto nel Vita – ramo nel quale Intesa è il primo operatore in Italia per raccolta – anche nel Danni e nel cosiddetto wealth and protection management: l’indagine infatti rivela anche la principale motivazione del risparmio degli italiani è proprio quella di far fronte agli imprevisti (43%), poi ci sono figli, vecchiaia, e casa.

Tra i rischi assicurabili il più sottovalutato è quello della salute, per il quale vale ancora la famiglia come strumento privilegiato di solidarietà e garanzia. Emergono proprio per questo ampi spazi per una più elevata domanda di coperture assicurative, per far fronte ai rischi legati alla salute, agli imprevisti e alla vecchiaia, anche in relazione all’evolversi del nostro modello socio-culturale, dove il settore pubblico provvede sempre meno a questo aspetto.

“La crisi – ha commentato Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo – ha provato ad incrinare, ma per fortuna con scarso successo, uno dei tradizionali punti di forza del nostro paese: la capacità delle famiglie di accumulare attività reali e finanziarie. Gli italiani hanno storicamente mostrato una attitudine a risparmiare molto e indebitarsi poco, anche se nel tempo la propensione al risparmio si è progressivamente ridotta, in linea con le principali economie avanzate”.

Di seguito la sintesi della ricerca:

La ripresa si consolida: sale dal 61 del 2017 al 64 per cento circa del campione la percentuale di chi dichiara di avere un reddito sufficiente o più che sufficiente per il suo tenore di vita. Dall’Indagine svolta nel 2017 emergeva una ripresa lenta e incompleta dei bilanci di famiglia. La rilevazione del 2018 è più rassicurante: i segni della ripresa sono più diffusi tra le categorie del campione e interessano tutti i sottogruppi. Ben il 92 per cento degli intervistati dichiara di provvedere autonomamente, senza ricorrere ad aiuti di terzi, al bilancio della famiglia; si dimezza dal 40 al 20 per cento la quota di capifamiglia, non indipendenti finanziariamente, che afferma che il suo stato è causato dalla crisi. Il saldo tra giudizi di sufficienza e insufficienza del reddito si porta a +55,6 per cento, in progresso di circa 5 punti rispetto al 2017 (+51) e risulta quasi doppio rispetto al minimo toccato nel momento peggiore della crisi (+30).

Crescono i risparmiatori. L’area del non-risparmio, ossia delle famiglie che non hanno messo da parte alcunché nei dodici mesi precedenti l’Indagine, si contrae dal massimo storico del 61,3 per cento degli intervistati nel 2012 al 52,7 per cento nel 2018. Specularmente, la percentuale di famiglie risparmiatrici si porta oltre il 47 per cento, dal 43,4 per cento del 2017. La propensione al risparmio (calcolata chiedendo agli intervistati quale percentuale del reddito abbiano risparmiato) risale lievemente al 12 per cento del reddito, il valore più alto dal 2001.

– Età della pensione: migliorano le aspettative sul tenore di vita. Dopo aver temuto per alcuni anni di non riuscire a sostenere il tenore di vita durante la vecchiaia, gli intervistati tornano a ritenere di potercela fare. Il saldo tra ottimisti e pessimisti sulla possibilità di sostenere il tenore di vita nella vecchiaia sale a +31,2 per cento, in netto aumento sia sull’anno precedente (+19,1 per cento), sia sul minimo toccato nel 2016 (+6,7 per cento): il valore del 2018 è il migliore della serie storica a partire dal 2007. Solo il 21,7 per cento delle persone con meno di 35 anni dichiara però di aver sottoscritto il 2° o il 3° pilastro pensionistico e avrà dunque una forma di integrazione della pensione obbligatoria. Tendono a prevalere negli italiani una certa passività nei confronti dei rischi collegati all’invecchiamento e la preferenza al “far da sé”: si provvede infatti da soli ad accantonare e investire il necessario per auto-assicurare i rischi legati alla vecchiaia.

Motivi del risparmio: pesano gli imprevisti, seguono futuro dei figli e vecchiaia. La principale ragione di risparmio è quella genericamente precauzionale, che interessa il 43 per cento circa dei risparmiatori “intenzionali”: appare particolarmente diffusa tra le donne, i più giovani e i più anziani. Seguono il futuro dei figli (21,1 per cento), la vecchiaia (19,7 per cento) e la casa (14 per cento). Prima della crisi, la casa occupava la seconda posizione (26 per cento), dopo l’incertezza (42 per cento) e prima della vecchiaia (21 per cento).

Per 9 risparmiatori su 10, l’avversione al rischio è assoluta e la sicurezza degli investimenti viene sempre al primo posto. Quando il risparmiatore si trasforma in investitore, mette al primo posto l’obiettivo di non perdere neppure un centesimo di quanto ha risparmiato. La sicurezza rimane, di gran lunga, il principale obiettivo, ed è citata al primo posto come obiettivo da circa 3 intervistati su cinque; seguono il rendimento di breve periodo (13,6 per cento), la liquidità (11,7 per cento) e, per ultimo, il rendimento nel lungo periodo (6,7 per cento).

Il risparmio gestito sorpassa le obbligazioni. La luna di miele dei risparmiatori con le obbligazioni è terminata: le detiene in portafoglio il 19 per cento degli intervistati (29 per cento nel 2007) e, per i possessori, esse rappresentano ormai solo il 24 per cento dell’attivo (36 per cento nel 2015). Dalle obbligazioni gli investitori intervistati sono usciti in due direzioni: la liquidità (favorita dal tasso di inflazione inferiore all’1 per cento) e il risparmio gestito. Nell’edizione del 2018, il 21,4 per cento del campione ha dichiarato il possesso di almeno una forma di risparmio gestito (negli ultimi 5 anni): i sottoscrittori di fondi comuni sono risultati il 10,9 per cento (7,2 per cento nel 2015), quelli di ETF il 7,3 per cento (2,3 per cento nel 2015), quelli di polizze unit linked il 2,8 per cento (2 per cento nel 2015).

Assicurazioni: investimento e protezione

Rischi: sottostima pressoché generalizzata. Gli intervistati appaiono in grado di stimare correttamente pressoché solo i rischi da furti e rapine in casa; risultano invece sottostimati tutti gli altri rischi, da quello degli incidenti automobilistici gravi a quello degli infortuni, all’invalidità nella terza e quarta età. Appare evidente dai risultati della survey anche una limitata capacità di formulare probabilità corrette associate a un semplice esperimento basato sul lancio di un dado; più di un terzo del campione tende inoltre a sopravalutare sistematicamente la fortuna alle lotterie.

La salute è buona, ma poco assicurata. Il 15,5 per cento del campione si è rivolto ai servizi sanitari privati nei dodici mesi precedenti l’intervista, ma solo il 2,8 per cento l’ha fatto grazie a un’assicurazione o a una copertura mutualistica, mentre ben il 12,7 per cento ha pagato di tasca propria (out of pocket). Inoltre, l’8,6 per cento ha rinunciato a curarsi nei mesi precedenti l’Indagine; il 46 per cento di questi ultimi ha addotto una motivazione economica alla rinuncia. Secondo l’Indagine, la diffusione delle polizze sanitarie riguarda il 9,7 per cento degli intervistati. Tenendo presente l’intenzione a sottoscrivere in futuro una polizza, appare latente una domanda potenziale pari a 1 nuova polizza ogni due sottoscritte. La sottoscrizione di queste polizze è direttamente correlata al livello del reddito.

Long Term Care (LTC): un mercato assicurativo poco sviluppato, mentre la spesa out of pocket delle famiglie per far fronte a questi rischi sfiora i 15 miliardi l’anno. Con un’aspettativa media di vita alla nascita di 82,8 anni, l’Italia è il quarto paese dell’OCSE per longevità; l’aspettativa degli anni di vita in buona salute è tuttavia pari a 58,5 anni. Queste dinamiche hanno determinato l’allungamento del numero di anni nei quali crescono sia la domanda di cure intensive, sia la probabilità di contrarre patologie croniche e/o invalidanti. Entro il 2050 2,2 milioni di persone potrebbero essere nella necessità di sostenere i costi per la non-autosufficienza, che già attualmente comportano una spesa di 9 miliardi annui per l’assunzione di badanti e di 5 miliardi per il pagamento di rette di degenza in strutture di ricovero. Considerando il nostro campione, il 37 per cento degli intervistati con più di 65 anni ha dichiarato di possedere una disabilità, almeno di livello lieve; la diffusione delle coperture per l’inabilità nella vecchiaia (LTC) riguarda tuttavia meno del 10 per cento del campione. Il 42 per cento delle coperture dichiarate dipende da una assicurazione collettiva, il 58 per cento da una assicurazione individuale. L’8,5 sarebbe propenso ad investire in una polizza LTC, ma solo pochi dichiarano di aver pianificato concretamente la spesa (2,8 per cento). La propensione complessiva alla sottoscrizione di polizze LTC è, come il possesso, crescente con il reddito: chi guadagna meno di 1.600 euro, nel 68 per cento dei casi semplicemente non ha disponibilità di denaro per assicurarsi, dato che si riduce al 39 per cento sopra i 2.500 euro di reddito netto mensile.

Assicurazioni Vita: sottoscrizioni ancora poco orientate a proteggere dal rischio morte e a integrare i redditi da pensione. La sottoscrizione di una polizza che paga un capitale in caso di morte è stata dichiarata dal 9 per cento degli intervistati: questa percentuale dipende dal reddito, poiché alle classi inferiori di reddito corrisponde solo il 5 per cento di assicurati, contro il 15 per cento delle classi superiori. Le polizze vita che hanno un contenuto pensionistico-previdenziale sono invece più diffuse. Ne possiede una il 17 per cento del campione complessivo; il 28 per cento degli imprenditori; il 24 per cento dei dirigenti; il 17 per cento degli impiegati; il 19 per cento degli operai; il 19 per cento dei laureati e il 18 per cento delle persone che hanno conseguito il titolo di scuola media inferiore. La propensione a sottoscrivere una polizza del terzo pilastro da parte di chi ancora ne è sprovvisto è del 17 per cento. Anche in questo caso, però, solo il 3 per cento (sul citato 17 per cento) dichiara di averlo già in programma, mentre la parte preponderante (il restante 14 per cento) è composta da intenti dichiarati che però non passeranno necessariamente all’investimento concreto.

La business insurance è destinata a crescere. Aumentano i rischi del “fare impresa”: da quelli informatici, a quelli di compliance, a quelli di responsabilità civile, a quelli legati alla internazionalizzazione delle aziende. Un intervistato su cinque (331 su 1.544) ha un’attività di impresa o professionale, ma solo il 20 per cento ha un’assicurazione sui beni strumentali del suo lavoro e solo il 14 per cento ha una polizza di RC. Il meno ssicurato in assoluto è il rischio informatico (3 per cento). Tra le polizze che gli imprenditori pensano di sottoscrivere in futuro, la più appetibile (29 per cento) è quella che rimpiazza il reddito in caso di inattività forzata.

Sottoassicurati per reddito, ma anche per gap di financial literacy. L’Indagine conferma l’ipotesi che gli italiani siano sotto-assicurati. Ad esempio, solo il 20 per cento dei proprietari ha un’assicurazione sulla casa; solo il 7,5 per cento ha un’assicurazione per la responsabilità civile, ma ben il 56 per cento si dichiara “preoccupato” se dovesse risarcire un danno da 1000 euro; solo il 14 per cento ha sottoscritto un fondo pensione aperto o chiuso, ma il 52 per cento dichiara di essere preoccupato per il mantenimento del tenore di vita quando sarà in pensione. In definitiva, pur con 1,4 polizze assicurative pro-capite (sono escluse quelle obbligatorie sugli autoveicoli), gli italiani hanno in portafoglio più rischi futuri che coperture. Le cause della sottoassicurazione sono potenzialmente diverse e numerose: alcuni (approssimativamente il 5-10 per cento) si autoassicurano, ossia hanno patrimoni che possono assorbire i danni economici della realizzazione concreta dei rischi cui sono esposti. Per il resto del campione il discorso è differente. Le maggiori cause sono due: 1) la sottovalutazione e sottostima dei rischi, anche dovuta a una ridotta competenza ed esperienza media in economia e finanza (ritorna il tema dell’Indagine 2017 sul gap italiano di financial literacy); 2) il potere di spesa di parte degli intervistati: sotto la soglia dei 2.500 euro di entrate trovano allocazione ben poche assicurazioni, a parte quelle obbligatorie.

Serenità e paura: il calcolo di un “indice di fragilità” rivela le differenze di esposizione ai rischi dei sottogruppi del campione. Il rischio più elevato e rilevante (citato dal 73 per cento degli intervistati) consiste nel dover affrontare una malattia (in famiglia) cronica e invalidante. Al secondo posto una malattia cronica non invalidante (64 per cento); al terzo la necessità di affrontare cure dentarie (60 per cento). Una malattia acuta da affrontare preoccupa il 57 per cento del campione, valore che scende al 43 per cento dei più giovani e al 42 per cento se si guadagna un reddito superiore a 2.500 euro. Risarcire improvvisamente 1.000 euro impensierisce il 56 per cento degli italiani, ma solo il 34 per cento di quelli che incassano più di 2.500 euro al mese. Seguono, in ordine decrescente di valore del rischio, la necessità di affrontare un lungo periodo di inattività e di calo del reddito; la cura di sé o del proprio partner della vita nella terza e quarta età; la possibilità di mantenere il tenore di vita durante la pensione; la cura degli anziani (genitori, zii, nonni); la preoccupazione per un infortunio nel tempo libero. Un “indice di fragilità” (calcolato come media della frequenza di paura per tutti i rischi indagati e per ciascuna categoria) è stato costruito per sottolineare il bisogno di coperture. L’indice medio del campione è 61. Il valore minimo (0) è quello dei dirigenti, mentre in cima alla classifica della paura (e quindi del bisogno di sicurezza) si trovano le persone con istruzione minima (70), con reddito più basso (73), le donne casalinghe (75), i disoccupati (90), le persone prive di un’indipendenza economica (87), gli operai (100, massimo dell’indice di fragilità), le coppie con figli minori (77), chi vive nel Sud Italia (70). Al contrario, ai minimi della scala di fragilità si trovano i dirigenti (0, minimo assoluto), i laureati (34), chi guadagna più di 2.500 euro (34), chi abita nel Nord-est (44), chi ha tra 18 anni e 24 anni (37, perché probabilmente sottovaluta i rischi più lontani) e infine i single (41).

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