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Ma il blogger è un vero giornalista? Negli Usa il caso Cox divide il mondo del web

GIORNALISMO WEB – Il caso Cox sta dividendo l’America: non basta una connessione internet per esercitare la libertà di stampa – Come il caso Watergate dimostrò, la verifica dei fatti e il controllo degli articoli è ciò che distingue realmente il giornalismo dalla comunicazione senza regole

Ma il blogger è un vero giornalista? Negli Usa il caso Cox divide il mondo del web

La signora Crystal Cox, che da Portland (Oregon) tiene un blog su argomenti connessi alla finanza e all’industria, ha accusato il co-fondatore dell’Obsidian Finance Group, Kevin Padrick, di essere un ladro e un bugiardo, ed è stata denunciata per diffamazione. Davanti al giudice Marco A. Hernandez, Cox ha sostenuto di avere ricevuto le informazioni riguardanti Padrick da una fonte affidabile e riservata, della quale non intendeva fare il nome. Questa strategia difensiva avrebbe salvato dalla condanna qualunque giornalista nella maggior parte degli Stati americani (Oregon compreso) poiché agli esponenti dei media tradizionali è riconosciuto il diritto di proteggere le proprie fonti. Il giudice Hernandez è stato dunque costretto a rispondere a una domanda piuttosto complessa: un blogger può essere considerato un giornalista?

La risposta è arrivata dopo qualche ora di riflessione: poiché Crystal Cox non era affiliata a nessuna organizzazione giornalistica, non aveva ricevuto un addestramento alla professione, non obbediva agli standard richiesti dal giornalismo, come la verifica dei fatti e il controllo degli articoli da parte di qualcun altro, non poteva essere considerata una giornalista. Se non era in grado di provare le sue accuse in altro modo che citando una fonte anonima, doveva essere condannata a pagare un risarcimento di 2,5 milioni di dollari.

Di fronte alla sentenza, il mondo del web si è ovviamente diviso. Molti pensano che la libertà di stampa debba essere garantita a chiunque abbia una connessione internet, altri insistono sul fatto che bisogna continuare a difendere le regole e le gerarchie che governano la professione di giornalista. Anche Bernstein e Woodward, i cronisti del caso Watergate, citavano fonti anonime, ma ogni loro articolo era discusso, prima di essere pubblicato, con il direttore, l’editrice Katharine Graham, e uno stuolo di avvocati. Ed è solo grazie a questo approfondito lavoro di controllo che alla fine hanno vinto.

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